Il Diario
Parte prima
di Ruggero Scarponi
Una volta mentre stavo viaggiando in treno, (sono ferroviere e smontavo da un turno di servizio), un tale con il quale stavo conversando, così, tanto per far passare le due ore che mancavano alla stazione d’arrivo, mi confidò, tra le tante chiacchiere, che in passato aveva provato a tenere un diario.
- Come mai, le piaceva scrivere? – chiesi con viva curiosità , forse perché sarebbe piaciuto anche a me fare altrettanto, senza esserci mai riuscito.
- Per la verità – rispose – da quando in terza media il professore di lettere, mi dette da leggere “Il Diario di Anna Frank”, ho sempre desiderato di poter tenere un quaderno, tutto mio, in cui confidarmi e trascrivere gli eventi significativi della vita.
- E come è andata? –domandai sempre più incuriosito.
- Sinceramente non ne ho fatto nulla. O meglio ho provato qualche volta, ma senza riuscire a superare la prima settimana.
- E certo che tenere un diario richiede una bella dose di costanza – commentai.
- Non creda sa – ribatté il mio interlocutore – non era la costanza a mancarmi. D’altronde io mi mettevo a scrivere la sera, dopo il lavoro e prima di cena, uno spazio di tempo vuoto che il Diario prometteva di riempire proficuamente.
- E allora, cosa l’ha fermato?
- Vede – rispose con un leggero imbarazzo – per quanto mi sforzassi, non riuscivo a scrivere nulla d’interessante e finiva che ogni giorno era uguale all’altro e di conseguenza anche le pagine del Diario risultavano monotone.
- Ma forse – obiettai – lei si preoccupava troppo di trascrivere i fatti aderenti alla realtà . Tenere un diario, dicono, non significa fare la pura cronaca giornaliera. Anzi la parte più interessante sarebbe rappresentata dalle nostre riflessioni sugli accadimenti della vita, buoni o cattivi che fossero ma in grado, in ogni caso, di far emerge il nostro io, di fronte a noi stessi, come davanti a uno specchio. Per questo non è necessario scrivere tutti i giorni. Per quanto ne so può accadere che si saltino intere settimane. Dirò di più, anche questi vuoti possono raccontare qualcosa, un po’ come le pause musicali su uno spartito. Da sole le pause non dicono nulla ma inframmezzate tra le note, come sanno esprimere significati altrimenti impossibili!
- Sarà come dice lei… – rispose sospirando l’uomo – ma si vede che non avevo la stoffa.
- Questo non lo credo – dissi – uno che ha letto Il Diario di Anna Frank mi suggerisce l’idea di una persona sensibile, una condizione, questa, indispensabile per scrivere un Diario.
L’uomo restò pensieroso senza rispondere e io presi a guardare fuori dal finestrino in modo da lasciar cadere la conversazione che mi rendevo conto stava diventando sgradita al mio amico.
E invece dopo aver riflettuto fu lui a ricominciare. - Iniziai di lunedì come mi sembrava giusto dovendo iniziare una fase nuova della vita. E cominciai con pignoleria a elencare tutti i fatti della giornata. La prima sera, ricordo, fu un’esperienza esaltante. Avevo riempito due pagine del Diario e avevo dovuto usare una grafia minuta per non rischiare di debordare sullo spazio riservato al giorno seguente. La cosa mi era piaciuta talmente che l’indomani non vedevo l’ora di tornare a casa per trovarmi a tu per tu con quel nuovo amico, per così dire, che mi stavo coltivando da solo. Terminai dopo aver scritto come la sera precedente tutte le minute cose che mi erano capitate durante la giornata. Tuttavia, posata la penna, fui sopraffatto da un senso d’insoddisfazione quasi un’inquietudine. Mi domandavo per esempio a che pro scrivere fatti che si ripetevano uguali tutti i giorni. Mi spiego meglio: ore sei sveglia, ore sei trenta caffè con fetta biscottata spalmata di marmellata. Ore sei e quarantacinque, uscita di casa e così via fino alla sera. Dopo una settimana mi accorsi che l’unica variante a quella tediosa routine era stata la marmellata che avendo terminato quella di ciliegia sostituii con la prugna. Così abbandonai.
- Abbandonò? – domandai quasi di soprassalto, un po’ divertito dalla descrizione di tutti quei particolari quasi surreali.
- Ma non mi arresi – aggiunse il tizio subito dopo – e già la settimana seguente misi in atto la nuova strategia. Avrei scritto le azioni ripetitive solo una volta evitando di descrivere fatti e cose che non avevano particolare rilevanza.
Ma anche stavolta mi trovai in una palude. Mi avvidi non senza sconcerto che tra la levata mattutina e la ritirata serale, per usare un gergo militare, tutto quanto avveniva in mezzo era incredibilmente ripetitivo.
Il lavoro, la mensa, il viaggio in tram ecc. Solo e sempre le stesse cose.
Per farle comprendere quanto fosse noiosa la mia vita le racconterò cosa contenevano le pagine del Diario di allora.
Ore sei, sveglia, ore sette e trenta lavoro, ore tredici pranzo, ore 17 e 30 ritorno a casa su autobus, ecc. Completavo con la cena e la ritirata per il riposo notturno. Una barba inverosimile, converrà anche lei, spero! – disse queste parole cercando la mia approvazione. Lo guardai con bonaria condiscendenza quasi con tenerezza poiché questo sentimento m’ispirava sinceramente. E sì perché mi colpiva l’ansia del poveretto di confidarsi con qualcuno in maniera intima senza riuscirci. Aveva intuito che un Diario poteva servire a questo scopo, ma si sentiva spaesato di fronte all’impresa come un guerriero che si perda d’animo proprio all’inizio di un combattimento. - Ma possibile – ribattei accalorato – che non aveva proprio nulla da dirsi, nulla su cui riflettere? Anche solo di quello che le passava per la testa! – Poi a bruciapelo domandai:
- Mi scusi l’invadenza, ma lei è sposato? – data l’età non più giovanile mi sembrava equo che fosse da annoverare più tra gli sposati che tra i fidanzati.
- No – disse con un filo di voce – non sono stato mai neanche fidanzato…
- E che vuol dire? – incalzai con energia – anzi qualche tormento interiore può essere la benzina giusta per queste opere, per farle correre spedite. Scrive soltanto chi ha qualcosa da sognare, da desiderare. Uno che si sente appagato e ha già tutto dalla vita cosa scrive a fare? Invece gli uomini s’interessano soprattutto degli spiriti inquieti, cercano là , dove si annida la sofferenza, in coloro cioè che tramite la loro esperienza possono esserci maestri e in cui ci si possa immedesimare. Pensi per esempio se avesse affidato al suo diario le riflessioni su una certa ragazza che le sarebbe piaciuto di conoscere. Magari quella con cui faceva tutti i giorni il viaggio in tram e che non trovava il coraggio di fermare. Avrebbe potuto scrivere di lei, per confidarsi e magari a forza di confidenze trovare anche una soluzione. Queste sono le cose che interessano! E’ l’animo umano, con le sue debolezze i suoi fallimenti che si desidera conoscere. Anche se poi a leggere quello che si scrive sarà solo l’Autore come nel caso del diario.
- Ecco, appunto, ha detto giusto. – Infatti, a mettere fine alla seconda prova fu il senso di inutilità da cui fui sopraffatto. Immaginai di poter fare chissà quante cose invece di consumarmi a scrivere ovvietà che tra l’altro avrei letto solo io.
- Lei è veramente un osso duro! – esclamai allargando la bocca in un sorriso spontaneo. Io cerco di dimostrare che è la persona più adatta a scrivere un Diario e invece si ostina, direi quasi, se ne compiace, a raccontarmi solo i fallimenti. Ma Santo Cielo – continuai con calore – Un Diario è un Diario! E’ una scrittura intima. Si potrà leggere in seguito per ritrovarvi qualcosa di noi che il tempo e la vita hanno trasformato, oppure qualche aneddoto o qualche informazione, ma in ogni caso la natura stessa di un diario richiede la segretezza, l’intimità più assoluta. E allora che vale dire che le veniva di scrivere solo cose noiose. Può darsi che come in tutte le cose, sia necessario fare esperienza, per imparare, ad esempio ad osservare. Per imparare a trascrivere le cose che soltanto noi sappiamo di noi stessi. Diamine! Ci vuole un po’ di fede, in tutto, anche a scrivere un diario.
(continua)