#223 - 21 luglio 2018
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterŕ in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascerŕ il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore č giŕ  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore č la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererŕ  l'amore per il potere, sia avrŕ  la pace (J. Hendrix)
Racconto

Cappuccino e brioche

Parte Prima

di Ruggero Scarponi

Una mattina, mentre mi stavo recando in automobile presso un nuovo cliente da poco acquisito ed essendo in anticipo sull’orario dell’appuntamento, (detesto arrivare in ritardo) pensai che avevo il tempo sufficiente per consumare la colazione in un bar. Come molti italiani, infatti, avevo l’abitudine, al risveglio, di sorbire solo una tazzina di caffè nero, rimandando a un’ora più tarda l’assunzione di qualcosa di più consistente come un cappuccino con una brioche.
Entrai in un localino piccolo ma stipato di gente, il che faceva supporre che si trattasse di un esercizio rinomato nella zona e nel quale si faceva volentieri la fila, pur di gustarne le specialitĂ .
Nell’aria si respirava un intenso profumo di caffè che metteva di buon umore, mentre in bella evidenza su un bancone, erano disposti numerosi vassoi, ricolmi di brioches di tutti i tipi e per la verità molto invitanti.
Avendo una mattinata impegnata decisi di mantenermi leggero, per cui ordinai un caffè macchiato con un semplice lievito. L’unico difetto del locale era di essere veramente angusto così che non essendoci tavoli per sedersi si era costretti a inghiottire la propria consumazione fianco a fianco a qualche altro avventore in una posizione decisamente scomoda.
Quella mattina capitai accanto a un ometto che mi colpì da subito per il suo aspetto e l’espressione del viso. Era un tipo bassino, molto magro, con un viso scavato da profonde rughe, mentre gli occhi, di un celeste chiaro, rivelavano un animo mite e paziente. Anche lui chiese qualcosa e ben presto gli servirono un cappuccino con una brioche.
Iniziai a sorbire il mio caffè, intanto che mandavo giù a piccoli bocconi il lievito e così facendo mi accorsi che l’ometto restava impassibile, con le braccia distese lungo i fianchi, senza assaggiare nulla di quanto aveva ordinato in un atteggiamento stranamente assorto.
Ne fui incuriosito ma dovendo avviarmi all’appuntamento di lavoro non ci feci caso più di tanto. Abbandonai la postazione a qualche altro avventore che premeva impaziente dietro di me, e dopo aver pagato alla cassa me ne andai.
Il caso volle che dovessi trattenermi nella zona, per motivi di lavoro, un’intera settimana dandomi modo di frequentare ancora per qualche tempo, la caffetteria. Ogni giorno alle otto e trenta in punto (il lavoro iniziava alle nove) facendomi largo a fatica tra i numerosi clienti, mi presentavo al banco per consumare un caffè accompagnato da una semplice brioche. Immancabilmente trovavo accanto a me il curioso ometto che ogni volta dopo esser stato servito restava a guardare la sua ordinazione senza dire o assaggiare nulla.
Non posso nascondere che la cosa cominciava a suscitarmi una certa curiositĂ . Ma avendo la testa altrove non mi davo troppo pensiero.
Una volta però che per motivi di traffico arrivai un po’ più tardi notai che l’ometto se n’era già andato lasciando sul bancone la consumazione perfettamente intatta.
Interrogato con discrezione il barista, questi mi confidò sottovoce:

  • Che vuole Signore, il mondo è bello perchĂ© è vario e ognuno c’ha la sua! Comunque, “quello”, secondo me, deve essere un po’ matto. Fa così tutte le mattine. Ordina, paga e non consuma. Vai a capirla tu, certa gente.
    Assentii con la testa e poco dopo me ne andai.
    Insomma continuai a frequentare il locale per tutto il tempo che il lavoro richiese la mia presenza da quelle parti e ogni mattina mi trovai a consumare la colazione a fianco dell’ometto che silenzioso e impassibile manteneva il suo misterioso atteggiamento. Nell’ultimo giorno prima di ripartire, non mancai di passare alla caffetteria. Come fosse una cosa programmata da tempo, fu l’ometto stesso a parlarmi, subito dopo essere usciti insieme dal locale:
  • caro signore – mi apostrofò con un tono di voce dolce e molto educato – mi scusi se ho l’ardire di parlarle così, senza che ci conosciamo ma immagino che durante tutti questi giorni in cui abbiamo condiviso l’esiguo spazio del bancone, nel bar, lei si sarĂ  fatto qualche domanda sul mio conto e se per caso non sia io un poco matto ordinando ogni mattina una consumazione che regolarmente pago senza consumare.
    L’ometto aveva parlato calmo articolando in maniera chiara e precisa le parole, dando l’impressione di una persona dignitosa e sincera e io non potei astenermi dal ribattere:
  • dal tono di come mi sta parlando, escludo senz’altro che lei sia matto e poi, credo, che a questo mondo ognuno abbia il diritto di fare ciò che piĂą desidera, se lecito, senza dovere spiegazioni a chicchessia.
    L’ometto si arrestò un istante a guardarmi sorridente.
  • La sto importunando vero? - disse con autentica preoccupazione - Lei va di fretta, deve andare a lavorare.
    Guardai istintivamente l’orologio e stavo per rispondere che in effetti mi sarei dovuto sbrigare quando la curiosità di sentire il motivo per cui si era deciso a parlarmi mi vinse e risposi:
  • Ho ancora qualche minuto, veramente.
    Quello sorrise compiaciuto e attaccò:
  • vede, caro signore è che io ho un problema. Un problema che alla maggior parte della gente sembrerĂ  insignificante ma per me, mi creda, è davvero serio.
  • Se si tratta di un discorso lungo non so se ho abbastanza tempo per ascoltarla – replicai – ma…- dopo una lieve indecisione - posso provare - conclusi.
  • Lei è molto gentile -disse- e io sento che posso parlare liberamente e sfogarmi un poco senza essere preso per matto.
    Con la testa assentii lievemente. L’uomo mi era istintivamente simpatico forse per via di quel desiderio di essere ascoltato e compreso della sua bizzarra mania, anche se mi preoccupava il rischio di essere trascinato in una lunga discussione. E però ero curioso di sapere.
  • Adesso le dirò – riprese l’ometto – le dirò che il mio problema riguarda il cappuccino e la brioche.
  • Questo, veramente l’avevo intuito – dissi
  • giĂ  – assentì – questo era facile, da intuire, no? Ma il motivo, invece, è un po’ piĂą complicato. Io, caro signore, in poche parole, quando sono al bar per prendere la colazione, cosa che al mattino desidero moltissimo, glielo assicuro, non so mai decidermi se devo sorbire per primo il cappuccino oppure addentare la brioche. Questa scelta mi tormenta. Mi tormenta il pensiero di non sapere quale sia il modo migliore, la giusta procedura, se posso dire, per gustare al meglio due prodotti ugualmente squisiti, perchĂ© di certo come per tutti i piaceri deve esserci una gerarchia di valori, un modo corretto di gustare, senza disperderlo, tutto il bene di cui disponiamo.
    Lo strano ragionamento del tizio mi incuriosiva e mi turbava. Mi domandavo, infatti, perché non procedesse per esperienza diretta in modo da supportare in maniera concreta le sue scelte.
  • Mi scusi – dissi – ma non sarebbe piĂą semplice per risolvere il suo dubbio provare una mattina ad assaggiare per primo il cappuccino e la mattina dopo per prima la brioche?
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