#221 - 23 giugno 2018
AAAAA ATTENZIONE - Amici lettori, questo numero resterà  in rete fino alla mezzanotte di venerdi 05 aprile, quando lascerà  il posto al numero 349. BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti (Papa Francesco) Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo (Alberto degli Entusiasti) Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità, vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Racconto

Alla fine dei conti

Parte Quarta

di Ruggero Scarponi

L’indomani mattina chiamo Lercari. Gli chiedo di darci un’occhiata anche lui, senza però fargli sapere chi ne è l’autore, anzi gli faccio capire che forse ne sono io stesso, un lavoro giovanile.
Dopo una settimana il critico viene a trovarmi in camerino durante l’intervallo di una commedia di Shakespeare. E’ raggiante. - Abbiamo un grande! - mi dice, - devi farmi conoscere l’autore, assolutamente - E poi strizzandomi l’occhio, - a meno che già non lo conosca…- Io continuo a fargli credere che potrei essere io.
Raimondi s’arrestò di nuovo. Stavolta sembrava calmo, il respiro regolare. E d’improvviso un urlo straziante che sembrò squarciargli il magro torace.
Palombi si precipitò al soccorso, io mi alzai di scatto senza sapere bene cosa fare, Alba, svegliatasi di soprassalto cercava di capire in che accidente di situazione si trovasse.

  • Maledetto! – Urlava Raimondi – Maledetto! Che ho fatto! – Poi con gli occhi iniettati di sangue mi disse:
    L’ho bruciato Lanfranchi! Ha capito? Ha capito cosa ho fatto? L’ho bruciato! Ero invidioso! Non riuscivo a tollerare che mentre per me si stava avvicinando il declino, il viale del tramonto, mio fratello, la pecora nera della famiglia, potesse iniziare a trionfare. E se dico trionfare c’è un motivo. A poco a poco avanzando nell’età e con un male che mi fiaccava giorno dopo giorno, vedevo spegnersi lentamente ma inesorabilmente le luci del mio successo. D’accordo ero ancora il grande Raimondi…Ma in cuor mio sapevo, ero consapevole di come fosse iniziata la discesa. Era qualcosa che conoscevo bene per averlo visto in tanti miei illustri predecessori. All’inizio è una cosa da nulla, quasi non ne sei sfiorato. Il telefono sembra squillare come sempre, i giornalisti e… tutto quanto costituisce il successo, sembra immutato. Ma poi, nessuno sa bene perché, improvvisamente la discesa, dapprima un dolce declivio, fatto di cose minime. Qualche particina assegnata a un collega più giovane, chi se ne importa, ti giustifichi, tanto per una parte così neanche vale la pena d’impegnarsi, poi, poi, la discesa si trasforma, diviene ripida, sempre più ripida finché non finisce in un burrone. A quel punto sei un dimenticato, sei finito. Ecco perché prima che questo accada, quasi inconsapevolmente, cominci a ricordare. Vuoi ricordare. Anzi il ricordo diventa affannoso. Cominci con l’attaccare alle pareti fotografie, ritagli di giornali, ovunque hai bisogno di vederti di rassicurarti… che non sei un frutto della tua mente malata e che davvero una volta eri: il grande Raimondi.
    Per questo l’ho bruciato il capolavoro di mio fratello. In fondo non meritava il successo. Era sempre stato un cialtrone, mentre io… L’ho bruciato Lanfranchi…l’ho bruciato.
    Aveva pronunciato le ultime parole con un tono accorato, come se stesse rivivendo la scena. Aveva anche alzata una mano quasi ad allontanare la terribile visione.
    Proruppe in singhiozzi. Palombi cercava invano di consolarlo.
  • Un medico, un medico – presi a dire con insistenza
  • Vado subito -. Disse Alba che ora aveva realizzato qualcosa di quanto stava avvenendo.
  • No Signora, la prego è tutto inutile ormai – la bloccò Raimondi risollevandosi in uno sforzo estremo – è tutto inutile, inutile. Per me è finita. Si accasciò. Stette silenzioso; a tratti respirava, a fatica. Notai che da qualche minuto aveva una specie di rigidità agli arti e si toccava frequentemente l’addome. Ebbi un sospetto.
  • Maestro! Dissi concitato, per carità di Dio, non avrà fatto qualche sciocchezza…
    L’uomo mi guardò e per un brevissimo istante sorrise.
  • Una sciocchezza, caro Lanfranchi?
    Non sono mai stato tanto lucido in vita mia.
    E lei invece?
  • Io? –
  • Sì, lei Lanfranchi – Lo dica lei qual è il finale di questa storia, visto che l’ha scritta.
  • Ma maestro la prego. Il mio era un finale di fantasia. Io mi sono solo ispirato ai temi della storia che mi aveva raccontato Lercari.
  • Ma lei ha visto giusto. Le cose sono andate esattamente per come le ha descritte.
  • Maestro, sia ragionevole, se ha fatto…se ha preso qualcosa…, forse siamo ancora in tempo per…
    Ma Raimondi non sembrava prestare attenzione alle mie suppliche e continuò a raccontare, fino all’epilogo drammatico.
  • Mio fratello Giorgio mi chiamò una sera per sapere se avevo avuto modo di valutare la sua opera. Gli dissi che era mediocre. Non aggiunsi altro.
    Si è ucciso. All’alba del giorno dopo.
    Ha capito Lanfranchi, adesso, chi è che le sta di fronte? E vorrebbe anche farmi continuare a vivere? Sarebbe mostruoso da parte sua, non crede? E ingiusto anche. Ingiusto nei confronti di Giorgio, di Dolores e…e sì. Anche di quello straccetto che si portava appresso, in ultimo. Maddalena. Che nonostante tutto forse l’aveva compreso veramente a mio fratello. Gli voleva bene.
  • Ma questo, Maestro, non è teatro. Qui si tratta della vita. La sua vita.
  • Ho preso una certa cosa. Agirà lentamente, come previsto, domani mattina all’alba.
    Raimondi cadde riverso sul divano. Chiamammo un’ambulanza.
    Fu ricoverato d’urgenza al centro anti-veleni.
    Ma naturalmente come previsto dal grande attore, non ci fu nulla da fare e morì all’alba tra atroci sofferenze.
    Con mia moglie e con il nostro vicino Palombi lo vegliammo fino alla fine.
  • Non era cattivo – ripeteva Palombi, in lacrime – davvero dottore. Non so per quale ragione si sentisse responsabile dei fallimenti del fratello. Il povero Giorgio era un uomo segnato. Senza arte né parte e con la pretesa di raggiungere il successo, comunque. Mio cognato ad esempio non vi ha raccontato di come l’avesse sostenuto per tanto tempo... economicamente, intendo…
  • Ma – obiettai – diceva che non si vedevano da anni, fino a quell’incontro al tavolo del caffè dove ebbe occasione di conoscere Maddalena.
  • Infatti – rispose assorto Palombi – E’ vero che non si erano più incontrati da chissà quanto tempo. Ma i contatti li avevano tenuti. Magari solo per lettera… però ho la quasi certezza che in quelle lettere il mio povero cognato mettesse più di qualche banconota…
  • Ma insomma – dissi a un certo punto – lei, Palombi, ha potuto appurare qualcosa riguardo al testo bruciato? Voglio dire…
  • Dottore mi creda, io gli sono stato vicino in quel periodo, lui viveva qui con me da quando era rimasto vedovo e io, mia moglie e mio figlio Angelino, lo abbiamo accudito come…come…non so, come più non sarebbe stato possibile. Avevamo pena per lui, per la sofferenza che s’infliggeva, non faccio per dire ma era un grand’uomo, un artista eccelso. La stessa Dolores, la mia povera sorella, prima di lasciarci ce lo ha raccomandato, perché diceva che era troppo sensibile e che si faceva carico di pesi che non erano i suoi. Soffriva per suo fratello. Alla fine se ne faceva una colpa per essere stato favorito dalla sorte più del povero Giorgio. E poi, dottore, se lei vuol sapere della commedia scomparsa, le dirò. L’ho cercata, sapesse quanto. Prima nella memoria sforzandomi di ricordare tutti i particolari di cui mi aveva messo a conoscenza Ottavio. E poi, in casa, ovunque. Ma per quanto abbia cercato, non ho rintracciato nulla, né un minuscolo pezzetto di carta bruciacchiato, né la cenere che si sarebbe dovuta trovare nel caminetto dopo il fatto e che sicuramente Ottavio, nelle sue condizioni fisiche non sarebbe stato in grado di rimuovere del tutto. Insomma, a distanza di due mesi, posso affermare con sicurezza: io non so nulla del testo che dice di aver bruciato.
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