Tempi...moderni?
Maratone
di Giuseppe Sanchioni
A tutti gli sportivi da poltrona, con particolare riguardo a quelli che la domenica indossano la loro migliore tuta colorata e così equipaggiati vanno a prendere il giornale rigorosamente in auto, non sarà certamente sfuggito il dilagare delle maratone televisive.
Recentemente, prima per le votazioni, poi per il gossip sulla formazione del nuovo governo ed infine sul toto-nome del Primo Ministro e forse in seguito per i nominativi dei vari ministeri stiamo assistendo ad interi pomeriggi di sfiancanti maratone televisive.
Seguire le quali è sicuramente impegnativo quanto e più di una vera maratona, che in fondo dura poco più di due ore, soprattutto per il fegato, a causa della fame e sete nervosa che prende chi è così temerario da seguirle.
Ore e ore, interi pomeriggi, di diretta televisiva e talkshow per raccontare il nulla che succedeva nei Palazzi, con i giornalisti che, al limite del collasso nervoso per l’imbarazzo di non aver nulla di nuovo da riferire quando veniva data loro la linea visto che non erano arrivati altri risultati oppure non c’erano dichiarazioni nuove, cominciavano a raccontare tutto da capo ripetendo con altre parole ciò che avevano già detto più volte oppure scadevano nel pettegolezzo più estremo narrando particolari che mai avremmo sognato, e forse desiderato, sapere.
C’erano pure quelli che partivano a razzo, incuranti della propria incolumità nel pericoloso traffico di Roma, all’inseguimento di chiunque fosse uscito dal Palazzo pur di registrarne una voce, uno sbadiglio, uno starnuto, un grido, un’imprecazione con la quale illustrare dietrologicamente sofisticate strategie politico-mediatiche.
Peccato che in tutto questo tempo non ci sia mai stato un cenno, una mezza maratona, una corsa campestre o anche un semplice giro del campo da pochi minuti sul perché l’ignavia dei vecchi professionisti di Governo ci abbia lasciato da pagare tre infrazioni delle procedure europee per l’inquinamento da traffico, per non aver ancora trovato il deposito delle scorie nucleari e per non aver debellato l’infezione degli ulivi. Ma anche per averci abbandonato sul più bello col tragico dilemma se a Taranto si debba morire di disoccupazione chiudendo la fabbrica oppure morire di malattia lasciandola aperta.
Alla fine della corsa, giunti al traguardo stremati da tanto sforzo, spegnendo finalmente il televisore forse sarebbe utile fermarsi un momento a riflettere, per quello che può servire, sul fatto che il Titanic fu costruito e pilotato da professionisti mentre l’Arca fu costruita e pilotata da un povero dilettante autodidatta.