#210 - 10 febbraio 2018
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerà il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Racconto

La presenza

di Ruggero Scarponi

Ora, quello che ho da raccontarvi, non è una storia inventata.
Mi è capitata davvero ieri notte, poco prima di coricarmi.
E’ una storia piuttosto misteriosa, che mi ha lasciato incerto se riportarla per iscritto o meno, fino a stamattina.
Dunque tutto è iniziato ieri pomeriggio, subito dopo pranzo.
Mi sono seduto al computer per scorrere i giornali on line con le ultime notizie, quando d’improvviso, ho sentito prepotente il desiderio di scrivere.
Non sapevo nemmeno io, perché, sapevo solo che desideravo scrivere, lo desideravo più di ogni altra cosa.
Ho fatto come faccio sempre, in questi casi, quando penso di avere una buona idea da costruirci sopra un racconto, ho aperto un file di word.
A questo punto le mie mani hanno cominciato a muoversi sulla tastiera indipendenti dalla mia volontà.
Di seguito, il testo che ne è scaturito, rappresenta il succo della storia.

Si, un po’ mi dispiace. Può sembrare strano, irrazionale addirittura, ma è come vi ho detto. Che mi dispiace. Per ottant’anni ho vissuto atterrito, di notte, dalla Presenza, poi, da un giorno all’altro, è scomparsa. Ma forse non ve ne rendete conto, e perché dovreste?
Non sapete nemmeno chi io sia. Di me, della mia persona, avete fatto una conoscenza, breve e superficiale solo stasera. Mi avete guardato, forse. Avete detta qualche parola.
Ma niente sapete della mia interiorità, della mia anima.
L’unica cosa di cui avete avuto conoscenza è stata del mio corpo mortale.
Credo di aver conosciuto la Presenza, più o meno dall’età di cinque anni, forse prima, mi è difficile essere preciso in questo.
Quello che ricordo perfettamente, invece, è la paura.

La Presenza si materializzava di notte, e sostava, in piedi, all’angolo opposto della stanza, rispetto al mio letto. Io mi rannicchiavo, terrorizzato, sotto le coperte e dopo poco mi addormentavo profondamente. Al mattino, al risveglio, la Presenza era svanita.
Una nuova giornata ricominciava.
La famiglia, la scuola, poi, crescendo, i primi amori.
Ogni sera, prima di coricarmi, mi dicevo che certe paure erano cose da bambini che non aveva senso che un giovanotto, fidanzato per di più, sportivo, anche, potesse provare.
Eppure, ogni notte, nonostante tutto, la Presenza giungeva nella mia camera per terrorizzarmi.
Era una sagoma scura. Non ne ho mai scorto il volto, lo sguardo, ma forse non era necessario.
Le ho provate tutte.
Leggevo fino a tarda notte per tenere la luce accesa il più possibile.
A volte fino al mattino.
La Presenza giungeva solo con il buio, questo lo sapevo.
Ma sapevo anche che certi trucchi non servivano a dissiparla, ma solo a nasconderla.
La Presenza era dunque dentro di me?
Io, potevo essere io stesso, la Presenza?
Una parte di me che non conoscevo e che odiavo o che mi odiava?
L’unica cosa di cui sono fermamente convinto è che non aspettava altro che mi avvicinassi.
Sapevo che se la smania di conoscenza mi avesse spinto presso di lei, mi avrebbe ghermito.
Ho immaginato tante volte il suo ghigno feroce e predatorio.
Non l’ho mai fissata direttamente, la scorgevo da sotto le coperte con la coda dell’occhio, tremante.
Non ho mai nemmeno provato a parlarne con chicchessia, con nessuno.
Questa è la prima volta.
Non so perché non è qui a terrorizzarmi.
Forse perché sono morto. Credo di essere morto, da alcuni particolari, da tutta questa gente che mi ronza intorno, per esempio. O sono morto io o è morta la Presenza. In ogni caso ne sento la mancanza.
Potrà sembrarvi una bizzarria da parte di un vecchio rimbecillito eppure, vi assicuro, che ora come ora mi sarebbe di grande conforto la Presenza. Persino il terrore che ero abituato a provare mi sarebbe gradito. La sua fine mi sembra che mi spalanchi un vuoto incolmabile un abisso angoscioso.

Tutto qui. Ho letto e riletto più volte la storia nella speranza di cavarne un senso o un indizio che potesse spiegare l’urgenza di scriverla.
Poi l’ho archiviata tra i miei racconti e ho passato il resto del pomeriggio in varie faccende.
Tuttavia mi sentivo addosso un malessere che sembrava accrescersi con il trascorrere delle ore.
Finalmente, dopo aver sostato davanti alla tv fino a tardi, mezzanotte era trascorsa da un pezzo, mi sono deciso.
Quella storia che avevo scritto, non rappresentava nulla per me, non era roba mia, non la volevo.
Anzi mi agitava e a un certo punto ho persino temuto che la Presenza evocata dal racconto potesse prendere vita. Con orrore ho creduto che potessi davvero trovarmela di fronte nel buio della mia stanza.
Non potevo più restare in quella situazione e allora sono tornato al computer con l’intenzione di cancellare il file di quella che secondo me era una storia maledetta.
Purtroppo, però, nonostante i più disparati tentativi non sono riuscito a eliminarla.
Oramai si è installata nel computer come un virus che non riesco ad eliminare neanche formattando il disco rigido.

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