Giornalisti in prigione
Turchia, la più grande prigione al mondo per giornalisti
di certosino
La Turchia del superpresidente Erdogan e il ricordo della libertà di stampa.
Ankara precipita al 155° posto (su 180) nella classifica “World Press Freedom”: «Il tentato golpe di luglio è stato usato come pretesto per una purga senza precedenti».
L’Italia, nella classifica mondiale risale da fondo classifica da paura dove era precipitata ed un 52° posto che fa solo un po’ vergogna.
156 giornalisti in carcere, e non avevano fatto la cresta sulle trasferte come il nostro ex senatore Augusto Minzolini.
Gente perbene, insomma, colpevole di non amare abbastanza il super presidente Erdogan, una parte di aver simpatizzato alla congiura delle forze armate e di una parte di Turchia laica che nel luglio scorso voleva liberare il Paese dal despota, una parte per esservisi opposta politicamente scrivendogli contro, e una ventina di loro, accusati di «insulti al presidente», che è bestemmia!
Già per queste poche righe sopra, se fossimo in Turchia, sarebbe galera anche per Remocontro.
Perché in Turchia la libertà di stampa è di fatto revocata, in galera anche lei, e la magistratura indipendente ci ha preceduti nelle stesse prigioni.
E se non è galera, è paura della galera. «Censura e autocensura sono imperanti nel mondo dei media turchi», confessa Can Dündar, ex direttore del quotidiano turco, dal suo esilio tedesco.
Can Dündar, aveva almeno documentato l’esistenza di un convoglio dei servizi segreti turchi che tentava di trasportare armi in Siria ed è riuscito a procurare qualche vero fastidio al despota.
L’episodio aveva chiarito al mondo il doppiogiochismo dell’islamista Erdogan con lo Stato Islamico in funzione anti-Assad nelle prime fasi della guerra siriana. Pensate che questi fatti, citati nella scheda di Wikipedia sulla Turchia, ha motivato la censura all’enciclopedia online cancellata dalla possibile lettura la scorsa settimana.
L’atmosfera di tensione che circonda le realtà giornalistiche turche si riflette nelle classifiche sulla libertà di stampa che fanno da sfondo a questo “World Press Freedom Da”. Se già l’anno scorso Ankara veniva classificata come «non libera» dal rapporto di Freedom House e collocata al 150° posto su 180 Paesi nell’indice “World Press Freedom” di Reporters Without Borders, quest’anno la sua posizione è precipitata ulteriormente fino al 155° posto.
Nella breve nota esplicativa la Turchia, definita «la più grande prigione al mondo per chi lavora nel settore dei media», e viene detto che il governo ha utilizzato, a partire dal fallito golpe della scorsa estate, «la lotta al terrorismo come pretesto per una purga senza precedenti».
Purga che ha colpito con particolare durezza le testate legate al movimento culturale di Fethullah Gulen, il predicatore turco accusato di aver ispirato il fallito golpe di luglio dalla sua residenza negli Stati Uniti, dove vive da fine anni Novanta.
Chi minimizza l’emorragia di stampa libera nel Paese evidenzia come esistano ancora, malgrado le forti pressioni, testate di opposizione che criticano il governo e attaccano il presidente Erdogan. Ma ne sono state chiuse quasi duecento nell’ultimo anno, oltre alla revoca di quasi mille tessere stampa, agli arresti e alle espulsioni di giornalisti stranieri come Gabriele Del Grande, tutto motivato dalle molteplici minacce terroristiche, dallo Stato Islamico a Gulen, ai curdi del Pkk.
Del resto il rapporto 2017 sulla libertà di stampa di Reporters sans Frontieres ci dice di “un mondo in cui gli attacchi contro i media sono diventati ordinari e gli uomini forti sono in ascesa. L’età della post-verità, della propaganda e della soppressione delle libertà, soprattutto nelle democrazie”. Vista la giornata celebrativa, che in questo campionato di democrazia non solo comunicativa, senza sperare di insidiare il medagliere di Norvegia (prima), Svezia (seconda) e Finlandia (terza),