l'analisi di Gardner Direttore del
Worldwatch Institute di Washington
cresce la domanda mondiale
di prodotti agricoli
il 60% in più previsto per il 2050
Cementificazione galoppante, diffusione dei biocarburanti e crescita della popolazione mondiale rischiano di mettere in crisi l’intero ecosistema terrestre.
L’analisi del direttore dello storico istituto di ricerca di Washington: serve un cambio di approccio economico, industriale, culturale. A partire dalla riduzione degli sprechi di cibo: “Ogni cittadino in Nord America ne butta via 56 chili ogni anno”
“In due anni la sola California ha perso un’area grande come 15 San Francisco a causa della cementificazione. Eppure, è previsto che, da qui al 2050, la domanda globale di prodotti agricoli crescerà del 60%”. Una contraddizione per nulla marginale che rischia di mandare in tilt la vita di intere popolazioni e di minare interi ecosistemi.
A denunciare il problema è Gary Gardner, direttore di ricerca del prestigioso Worldwatch Institute di Washington, intervenuto tra i relatori del l’XI Forum Internazionale dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura.
Un pericolo doppio, quello della cementificazione, perché va ad aggiungersi a una crescente pressione sul sistema agricolo mondiale. Molti i fattori da considerare, secondo Gardner: “dobbiamo considerare che la domanda di prodotti agricoli sta aumentando a causa della crescita demografica, dei cambi di stile alimentare nei Paesi in via di sviluppo in cui si sta consumando sempre più carne e della diffusione dei biocarburanti”.
Un problema, quest’ultimo, che rischia di sottrarre cibo a chi ne ha bisogno. “Già oggi il 40% delle granaglie prodotte negli USA sono prodotte per il settore dei biocombustibili. E la percentuale sale al 50% per le barbabietole da zucchero coltivate in Brasile e all’80% per il girasole prodotto in Europa”.
La soluzione ovviamente non è facile ma è comunque inevitabile se non si vuole arrivare a una condizione insostenibile entro metà secolo. E le vie d’uscita non possono riguardare un solo settore. “Servono ad esempio interventi a livello di uso delle risorse idriche, per aiutare gli agricoltori a usarle meno e meglio. In questo campo, i margini di miglioramento sono impressionanti. Le realtà più attente hanno già dimostrato di poter dimezzare i propri consumi. E poi occorre ridurre gli sprechi di cibo che oggi si aggirano sui 56 kg a testa per anno in Nord America e a 13 chili nell’Africa sub-sahariana. Serve inevitabilmente un ripensamento nel settore biocarburanti”. E a tutto questo si deve però aggiungere anche un cambio culturale ed economico: “Dobbiamo cambiare il nostro approccio al cibo. Non può essere più considerato una merce come le altre ma deve finalmente essere riconosciuto come un diritto universale basato su principi etici invalicabili”.
Occorre inoltre, una maggiore e più corretta informazione per la Salvaguardia della Natura e sul rapporto tra produzioni agricole, problemi di malnutrizione e modelli di sviluppo, partendo dalla fotografia del mercato agricolo mondiale e dal ruolo degli attori coinvolti per arrivare a prospettare le possibili linee di riforma che permettano di aggredire in modo efficace la piaga della fame.