Con l’augurio che
l’Abbazia di Borzone
non sia solo un monumento
di passate memorie
ma un luogo vivo
capace di una proposta antica e sempre nuova
Borzonasca (Genova)
Abbazia di Sant'Andrea
di Dante Fasciolo
Il complesso abbaziale di Borzone sorge nella media Val Sturla, nell’entroterra chiavarese, in comune di Borzonasca ad un’altitudine di circa 350 mt.s.l.m.
Immersa nel verde nell’immediata vicinanza del Parco dell’Aveto poggia su terreni terziari di età paleocenica, composti da scisti argillosi arenacei. Quest’ultimo materiale fu utilizzato per l’edificazione della torre e della chiesa.
Borzone fu certamente un significativo crocevia commerciale tra la costa e l’immediato entroterra. Per il suo ruolo strategico vi furono eretti roccaforti e castelli di difesa da parte dei conti di Lavagna, i Fieschi.
Nel luogo in cui sorge l’abbazia di Borzone, in Val Sturla, i Bizantini eressero al tempo della “guerra gotica”, nella prima metà del VI sec., un baluardo difensivo sede di un distaccamento militare, a presidio di un itinerario transappenninico che dalla regione rivierasca conduceva in Val Padana.
I complesso abitativo denominato “Araxi”, in prossimità dell’Abbazia,
costituiva quasi sicuramente nell’VIII sec. il luogo doganale.
Purtroppo il sito sta andando incontro ad un notevole degrado
nonostante la sua importanza storica e architettonica.
Quando e da chi sulle rovine della fortezza bizantina fu edificata la chiesa con annesso monastero col titolo di Sant’Andrea continua ad essere motivo di incertezza e discussione storica.
Due documenti anche se controversi storicamente attesterebbero la presenza di un nucleo a Borzone di antica data: il primo è del 774 in cui Carlo Magno delimitando la giurisdizione del monastero di Bobbio cita Borzone, e il secondo è del 972 in cui Ottone I riconferma la giurisdizione di Bobbio citando espressamente “il monastero e la villa di Borzono“.
Un documento certo che menziona il monastero di Borzone è tuttavia una bolla dell’11 aprile 1120 di papa Callisto II (1119-1124) che ne conferma il possesso all’Abbazia di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia. In un altro documento notarile del 1128 il monastero di San Siro a Genova riceveva una pensione dal “monastero di Borzone“ di “denarios sex Bruniatenses”..
Sembra dunque plausibile indicare come d’altronde un’ininterrotta tradizione locale conferma che Borzone sia fondazione dell’Abbazia di San Colombano di Bobbio, nell’Appennino piacentino, la quale nel VIII-IX secolo aveva esteso la sua influenza in tutta la Val Sturla sino al mare.
La chiesa abbaziale è un vero gioiello artistico e un monumento fra i più importanti del patrimonio storico e architettonico ligure. E’ l’unica in Liguria per l’adozione contemporanea dei materiali utilizzati: pietra e mattone. Essa inoltre costituisce un “unicum” anche a livello architettonico e per questo, e altri motivi, rimane tuttora un vero e proprio problema critico.
Ultimi studi hanno messo in evidenza alcune concomitanze con l’architettura cristiano-araba mudejar tipica di alcune zone della penisola iberica intorno al X secolo. E’ tuttavia problematico trovare una correlazione tra tale stile architettonico e Borzone. Comunque sarebbe da tenere presente che non mancarono fondazioni casaidiane già nell’XI sec. in Castiglia. Il confronto appare in ogni caso molto interessante.
Il paramento identico sia esterno che interno della facciata e dei fianchi corrisponde con poche modifiche alle murature originarie (probabilmente l’architettura è longobarda ovvero VIII-IX sec.), giocate sulla dicromia dei due materiali di costruzione impiegati: la pietra e il mattone (materiale questo inutilizzato a quell’epoca in questa zona), e sulle ritmate proporzioni del doppio ordine di arcatelle cieche che ininterrottamente la percorrono dando un’impressione di grande armonia e raffinatezza nonostante la povertà dei materiali. Questa soluzione architettonica si può considerare un caso unico nell’ambito dell’architettura religiosa non solo altomedievale.
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E’ da notare come conseguentemente l’antica chiesa fosse pressoché priva di finestre (l’unica visibile ora è quella in alto a destra ma è incerto se sia originaria) e priva di qualsiasi realizzazione di affreschi, dati di fatto che creano non pochi problemi sia storici che architettonici.
La chiesa originaria, costruita sul prolungamento della torre, aveva all’origine una semplice forma rettangolare formata da due quadrati uguali con un tetto a capriate coperto d’ardesia.
L’ordine inferiore e quello superiore delle arcatelle cieche un tempo maltate di bianco sia all’esterno come all’interno, mentre tutta la parte in mattone era ricoperta di uno strato di cocciopesto di color rossastro con tracciate linee bianche per riprendere il disegno dei mattoni, sono separati da tre e due file di mattoni disposti a dente di sega e stuccati anch’essi con malta bianca.
Le pareti esterne, a differenza di quelle interne, differiscono tutte per le diverse dimensioni degli elementi che la compongono: le arcatelle hanno altezza e larghezza inferiori o superiori in rapporto ai dislivelli del terreno.
Caratteristica della fiancata sud è la presenza di un portale, che permetteva ai monaci l’accesso alla chiesa all’altezza del presbiterio. Questo portale è stato quasi sicuramente modificato dagli interventi del 1242: si nota chiaramente come sia stato inserito sul lato della chiesa in un secondo momento.
Questo portale si innestava in un corridoio coperto, probabilmente della stessa epoca del portale, che congiungeva il monastero con la chiesa come vero e proprio lato del chiostro.
Purtroppo la Sovrintendenza negli interventi di restauro degli anni ’60 ne decise l’abbattimento.
Ci spostiamo sul lato nord. Interessante, e in certo qual modo curioso, notare incisa leggermente in una pietra una piccola croce. Si tratta forse di una testimonianza dell’antichità del monumento, in quanto tali croci poste all’esterno erano usate nell’altomedioevo come segno della consacrazione della chiesa. Essa è posta a circa metà della lunghezza della parete ad un’altezza di circa un metro e mezzo.
Sugli angoli della facciata appaiono quattro pietre lavorate. Sembrerebbero a prima vista simili alle pietre utilizzate per la torre, ma ad un’osservazione più attenta esse appaiono invece presumibilmente come delle “mamme longobarde”. Ovvero pietre scolpite ricollegabili ad antichi riti di fertilità in uso in insediamenti appunto longobardi. Esse venivano solitamente poste, per tradizione, sulle pareti delle abitazioni, delle stalle o dei fienili. La loro presenza sia sulle più antiche case di Borzone (ma anche qui occorre rilevare la deplorevole situazione di un patrimonio storico artistico pressocché scoparso per diversi motivi) che sulle mura della chiesa abbaziale starebbe ad indicare nel caso della nostra chiesa sicuramente ad un loro riutilizzo nella sede attuale. Anche questo dato potrebbe essere indizio utile per la datazione della chiesa stessa.
Passiamo ora all’imponente torre campanaria . E’ costruita per due terzi in conci bugnati di arenaria e si affianca all’edificio della chiesa. Questa torre non è coeva alla chiesa: infatti per diversi motivi la torre appare chiaramente successiva. Tuttavia un esame attento della prima parte della torre vista dal lato est mette in evidenza che la prima parte, che poggia su una muratura precedente, si prolungava delimitando il presbiterio della chiesa – in origine non vi era abside – il che pone non pochi problemi di interpretazione sull’origine della torre stessa.
La torre è a pianta quasi quadrata e presenta una muratura spessa circa un metro. Alcuni conci sono di enorme grandezza: anche di quasi due metri per un peso di circa una tonellata e mezza. L’innalzamento e il completamento della torre in mattone si ebbe, come attesta la lapide ivi inserita, nel 1243 ad opera dell’abate Gerardo da Cogurno grazie alle donazioni di papa Innocenzo IV (Fieschi).
Nell’ultima parte della torre, in laterizio, che tenta di riprendere i motivi ornamentali già presenti nelle pareti della chiesa abbaziale (fila di arcatelle cieche sormontate da due archi ciechi, file di mattoni a denti di sega) erano inserite quattro trifore (una per lato). Ne sono rimaste purtroppo solo due, in quanto le rimanenti con l’inserimento delle campane nella cella campanaria andarono perdute.
Anche qui sembra sia stata messa in opera una bicromia andata perduta: l’interno delle arcatelle cieche e i mattoni a dente di sega erano intonacati infatti di calce bianca, offrendo in tal modo un effetto di straordinaria leggerezza.
Le trifore, in marmo bianco lunigiano, riprendono eleganti motivi gotici e sono pressocché identiche a quelle della torre della Basilica di San Salvatore dei Fieschi di Lavagna, di cui sono coeve.
Sul lato nord ed ovest, sotto le trifore, possiamo vedere il quadrante del vecchio orologio (in attesa di restauro) collocato dall’abate Repetto nel 1897 e realizzato dalla ditta “Granaglia e C.” di Torino. Il fatto che vi sia una sola lancetta è dovuto al semplice fatto che così la spesa sarebbe stata notevolmente…ridotta.
Ora ci sposiamo sul lato est della torre. A poco più di tre metri di altezza è murata una importante lapide con l’iscrizione “MCCXLIII Abbas Gerardus de Cugurno natus fecit fieri hac ecclesia et turrem“. Essa è la spina degli storici e studiosi dell’abbazia. poiché affermerebbe che tutto il colpesso è databile al 1243. Tuttavia la collocazione della lapide sembra non contemporanea alla muratura. La dicitura “hac ecclesia” suggerisce l’ipotesi che essa fosse collocata all’interno della chiesa . Infatti negli anni 1243 (stessa epoca dell’edificazione della Basilica di San Salvatore dei Fieschi di Lavagna) sia la torre come la chiesa videro ad opera del suddetto abate Gerardo da Cogorno e con il patrocinio della famiglia dei Fieschi, a cui l’abbazia era legata strettamente, importanti interventi di ristrutturazione. Inoltre la lapide appare scheggiata in alto a destra, indizio che suggerisce come essa sia stata staccata e collocata successivamente nella sede attuale. Da tutto ciò risulta l’infondatezza di voler attribuire a tale data la costruzione ex novo del complesso abbaziale della chiesa e della torre come si evidenzia anche dalla muratura in pietra alla base della torre nella parete est.
Usciamo ora dalla chiesa per ritrovarci nella zona denominata come chiostro-giardino .
Vi siamo introdotti attraverso un semplice ed elegante arco di ingresso medievale. Non si esclude che possa trattarsi di elementi della porta orginaria della chiesa successivamente spostati qui in occasione dei lavori di ristrutturazione fatti dall’abate Gerardo da Cogorno. L’entrata è posta, come in usanza monastica, ad ovest a fianco della chiesa abbaziale.
I pilastri in mattone che si notano all’interno del chiostro-giardino sono ciò che rimane di un antico pergolato costruito intorno al XIV-XV secolo.
Tenendo presente che i monaci si recavano in chiesa più volte al giorno e anche nella notte per la preghiera risulta sicuro che in antico il monastero era collegato alla chiesa da un corridoio coperto che terminava con il portale che vediamo sul fianco della parete sud della chiesa (parte del quale fu distrutto dai lavori della sovrintendenza negli anni ’50-’60).
Preziosi apparati architettonici risalenti al XIII sec. conserva invece la casa detta canonica, che fu sede della comunità monastica benedettina de la “Chaise Dieu”. Nonostante le modifiche apportate all’inizio del XVI sec. con l’aggiunta di un piano, il rovesciamento del tetto e numerosi altri rimaneggiamenti ottocenteschi e anche recenti conserva tuttora un suo fascino architettonico.
Ma ora passiamo all’interno dell’edificio sacro.
Notiamo anzitutto che tra la porta di ingresso e il presbiterio esiste una pendenza con un dislivello di circa 50 cm. Come spiegare questo fatto? Le chiese alto medievale e medievale fungevano talvolta anche da ricovero notturno per i viandanti e pellegrini. La pendenza serviva per facilitare la pulizia della navata.
Essa è orientata con l’abside rivolta ad est, dove sorge il sole. E’ questa un’indicazione precisa dettata da norme canoniche: l’altare rivolto dove sorge il sole sta a significare la Chiesa che celebra attendendo il ritorno del Signore e facendo memoria della sua resurrezione ogni mattino al momento della celebrazione eucaristica.
A partire dal 1200 fu dedicato all’apostolo sant’Andrea. Precedentemente appare la dedicazione al martire san Giorgio (fatto che accrediterebbe l’origine bizantina e militare di Borzone).
Nei secoli seguenti il complesso monumentale subì purtroppo diverse manomissioni. Tuttavia l’intervento di restauro dell’inizio anni ’60 riportò a vista (attraverso la demolizione di due altari laterali e degli intonaci) l’antica muratura della chiesa originaria (pietra e mattone, doppia fila di arcate cieche, due e tre file di mattoni a dente di sega) che appare identica a quella esterna pur non essendo la stessa. Come già accennato questa soluzione architettonica appare come un unicum nell’architettura altomedievale e medievale.
La sopraelevazione della copertura della Chiesa, con l’apertura di finestre nella parte alta delle fiancate e del finestrone lunettato in facciata, così come la costruzione del presbiterio, sono invece l’esito di interventi risalenti al XVIII-XIX secolo.
L’altare maggiore collocato al centro del presbiterio è un’opera pregevole in stucco, dipinto a finto marmo. Esso risale alla prima metà del XVIII secolo (abate Giacomo Devoto, 1706-40). fino al 1925 sull’altare era presente , incisa su una grata di lamiera, la scritta: “Custodit Dominus ossa eorum. Iacobus Devotus Abbas curavit hoc opus“. Vi si ricordava la deposizione nell’altare delle reliquie dei martiri.
Sovrasta l’altare il grande crocifisso ligneo della stessa epoca. Gli studiosi attribuiscono l’opera alla scuola del Maragliano, uno tra i più importanti scultori liguri in legno.
Il crocifisso fu donato all’Abbazia dall’allora card. Spina, arcivescovo di Genova in qualità di abate commendatario di Borzone.
La scultura ci presenta il Cristo crocifisso ancora vivo non con il capo reclinato, ma con lo sguardo sereno rivolto al cielo in un dialogo intimo e sofferto con il Padre. Rappresentazione plastica della parola evangelica: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”.
Sul lato sinistro del presbiterio troviamo il bel tabernacolo in ardesia datato il 1513. Si tratta del tabernacolo che era posto sull’altare maggiore prima dei rifacimenti settecenteschi. Si tratta di un’opera in bassorilievo di notevole valore artistico. L’impianto iconografico rispetta i canoni dell’epoca. La forma generale è quella di un piccolo e armonioso tempio. Nel timpano in alto il Padre eterno benedicente attorniato da due angeli. Ai lati della porta del tabernacolo due angeli in adorazione. Il tutto contornato da motivi tipici rinascimentali: fiori e piante stilizzati e animali (ippogrifi e quattro delfini). La porticina del tabernacolo originaria conservata altrove rappresenta il Cristo della Passione con chiaro riferimento all’eucarestia memoriale vivo della Passione del Signore.
Nella terza campata a sinistra troviamo l’altare barocco dedicato a Sant’Anna con bella statua lignea del XVII sec.. L’altare, in stucco, risale al 1755 ed è l’unico lasciato integro dai restauratori della Sovrintendenza negli anni ’50/60. Notevole è l’apparato architettonico dell’altare che dà l’impressione di un movimento di apertura verso l’osservatore. Di bell’effetto anche il gioco scenografico dei numerosi putti rappresentati .
La statua policroma, recentemente restaurata, rappresenta l’anziana sant’Anna, che tiene per mano quasi accompagnandola la figlia adolescente Maria. Questa è colta nell’atto del tener in mano un libro sacro mentre con lo sguardo fissa l’anziana madre quasi traendone consiglio.
Il secondo a destra è invece un altare dedicato alla Vergine Maria costruito nel 1644 dall’abate Gaspare Gazzolo come attesta l’iscrizione marmorea posta sull’architrave. L’impianto dell’altare è classico con reminescenze rinascimentali. Esso è tuttavia composto da diversi elementi di epoca e provenienza diverse.
Al centro dell’altare nella nicchia tra due cariatidi troviamo la pregevole statua seicentesca dell Vergine col Bambino. L’opera è attribuibile allo scultore lombardo Leonardo Mirano le cui opere possono essere ritrovate sia in Liguria (es. Santuario della Misericordia di Savona) come anche in Francia. In quest’opera colpisce il sorriso splendido nella sua semplicità della Vergine mentre porge al devoto il bambino benedicente. La scultura sembra opera del maestro nella figura della Vergine, mentre probabilmente la figura del Bambino è opera di un allievo (forse incompiuta).
Interessante il fatto che una statua della Vergine col Bambino, firmata dal Mirano, che si trova nella chiesa di Saint Trophime ad Arles è pressocché identica a quella di Borzone.
Sotto la mensa del medesimo altare troviamo due bassorilievi cinquecenteschi raffiguranti rispettivamente san Benedetto abate con le relative insegne abbaziali e tra le mani un libro, probabilmente la sua “Regula Monachorum“, e sant’Andrea apostolo titolare della Chiesa con alle spalle la caratteristica croce (denominata per l’appunto di Sant’Andrea) e tra le mani il libro dei vangeli.
Collocata sopra questo altare troviamo una dipinto su tela settecentesca raffigurante l’Immacolata con ai lati sant’Antonio da Padova e san Pio V. Interessante la raffigurazione del santo pontefice che da cardinale fu abate commendatario di Borzone sino alla sua elezione al soglio di Pietro. Questa tela era posta sull’altare dedicato appunto all’Immacolata distrutto dai lavori della sovrintendenza negli anni ’60 e che si trovava nell’ultima arcata di destra dove si è riaperto l’antico portale monastico.
Ma l’opera di maggior pregio un tempo conservata all’interno della chiesa abbaziale è il monumentale polittico di Sant’Andrea. L’originale si trova al Museo Diocesano di Chiavari (visitabile il mercoledì e la domenica mattina).
Il polittico, opera del pittore di origine milanese Carlo Braccesco , fu dipinto a tempera su tavola nel 1484. Esso si colloca nella storia dell’arte italiana come una delle opere più significative del ‘400 ligure di passaggio tra lo stile gotico e il rinascimentale.
E’ una tavola giunta a noi pressocché integra di mt. 2,20 per mt. 2,80, divisa in dieci riquadri. Rappresenta al centro il patrono titolare Sant’Andrea apostolo, con i simboli del vangelo e della croce, ai suoi piedi in miniatura vediamo la figura del comittente, l’abate Alessandro Ravaschieri, sopra il santo patrono una crocifissione, (manca una parte intermedia). Ai lati, su due ordini, troviamo alcuni santi venerati nella zona ai lati (tra cui sant’Eufemiano vescovo a cui era dedicata la chiesa del priorato di Graveglia dipendente da Borzone). L‘importante opera testimonia come l’Abbazia di Borzone fosse in quell’epoca un importante nucleo non solo religioso ma anche culturale ed economico.
Alle spalle dell’altar maggiore, nella zona absidale, troviamo il bel coro ligneo, con il grande leggio antistante. L’opera, in radica di noce, è datata 1849 e fu fatta realizzare dall’allora abate parroco Repetto. La stessa data la possiamo ritrovare anche all’entrata sullo scalino della soglia quando lo stesso abate fece rifare il pavimento che quasi sicuramente era realizzato in ardesia.
In fondo alla chiesa a sinistra entrando troviamo il fonte battesimale. La parte marmorea è cinquecentesca, la copertura lignea è invece coeva al coro (1849). Essa terminava in cima con un piccolo gruppo scultoreo rappresentante il battesimo di Cristo. Purtroppo questa scultura fu trafugata recentemente. La presenza del fonte battesimale attesta la chiesa come sede parrocchiale.
Sempre in fondo alla chiesa, sulla destra entrando, è collocata una antica acquasantiera. Difficile la datazione anche se non è da escludere si tratti un’opera altomedievale.
Prima di terminare il nostro percorso non dovremo dimenticare di fare un accenno anche all’antico sagrato della Chiesa Abbaziale.
Il sagrato è caratterizzato dalla presenza di due cipressi di cui uno plurisecolare. Tale cipresso è annoverato tra il patrimonio delle piante monumentali della Liguria. La sua età è infatti calcolabile intorno ai seicento anni. Fino a pochi decenni fa ne esistevano altri tre. Ne rimane solo uno a testimonianza della lunga storia dell’abbazia di Borzone.
Usciti per tornare nelle nostre case porteremo il ricordo di un luogo di plurisecolare presenza di uomini consacrati totalmente a Dio, un luogo perciò impregnato di preghiera e di lavoro che, con la sua pace, ci fa riassaporare un ritmo e uno stile di vita che esaltando la dignità dell’uomo, la ricollega alla sua vera origine: in Dio.