Il cameriere
Parte seconda
di Ruggero Scarponi
Quello era venuto per me, me lo sentivo.
Quando finalmente fummo pronti con il servizio, mi avvicinai per porgergli il menu.
Lo sfogliò distrattamente e poi chiese:
Le fate le bistecche alla brace? E senza attendere risposta aggiunse, e un’insalata verde, per favore.
Al sangue? Domandai.
Mi fissò interrogativo.
La bistecca, dico, la vuole al sangue o ben cotta?
Al sangue, rispose, pronunciando lentamente le parole, quasi gustandole.
Quello ti mette i brividi addosso, dissi al signor Leone quando gli passai davanti per trasmettere l’ordinazione in cucina.
Ma chi è, lo conosci?
Mai visto, risposi, ma è strano. Sta da solo e tiene gli occhiali scuri anche in sala, con le luci soffuse.
A proposito signor Leone, cominciai, volevo dirgli dell’anello per Rosa.
Invece proprio in quel momento il tale con gli occhiali scuri mi fece cenno di avvicinarmi.
Desidera?
Mi scrutò attentamente dal basso in alto. Ero in imbarazzo a sentirmi così sotto esame.
Desidera signore? Ripetei nuovamente.
Posso portarle qualche cosa da bere?
Continuò ancora a fissarmi per qualche secondo poi sorrise, si tolse gli occhiali scuri e ridendo sommessamente rispose:
Del vino rosso, bello rosso, rosso sangue!
Poi abbassò lo sguardo e si rimise gli occhiali scuri, continuando la sua risata sommessa quasi soffocata.
La scena non era sfuggita al signor Leone che subito, appena gli fui a tiro, mi disse:
Ma insomma Vannì, si può sapere chi è? Sembra proprio che ce l’abbia con te.
Giuro che non lo conosco, risposi smarrito e vagamente preoccupato, mi sembra un folle. Non l’ho mai visto prima.
Nel frattempo mi chiamarono per servire la bistecca.
Lo feci con grande professionalitĂ .
Gli usai tutti i riguardi e gli servii da bere come si deve, chiedendogli se il vino era di suo gradimento.
Quello prese il bicchiere , annusò il contenuto, lo guardò controluce.
E’ bello rosso! Esclamò, rosso sangue!
Poi ne annusò il profumo, lungamente.
Di tanto in tanto tornava a squadrarmi con interesse, vagamente interrogativo.
Uh! Esclamò ancora, come se quell’espressione dovesse significare qualcosa per me.
Infine come Dio volle assaggiò il vino.
Lo passò e ripassò tra lingua e palato emettendo brevi e sommessi versi e schioccando frequentemente la lingua.
Quando ritenne concluso l’assaggio mi si rivolse con una smorfia di disgusto:
No, disse, questo può portarlo via.
E la bistecca signore? E’ di suo gradimento?
Per un attimo restò sorpreso alla domanda.
Guardò la carne nel piatto, con distacco, quasi con fastidio.
Non è abbastanza al sangue, disse, me ne faccia servire una come le ho richiesto, per favore.
Il signor Leone si fece avanti.
Scusi signore, qualcosa non va?
L’uomo sembrò ridestarsi e assunse un’espressione diversa, direi, normale.
Parlò a lungo con il signor Leone, ma a voce bassa, chiaramente per non essere udito.
Al termine del colloquio, che sembrava essersi svolto in maniera cordiale, il signor Leone disse:
Lascia stare Vannì, a quello ci penso io a servirlo.
E perché mai? Protestai, dopo tanti anni che faccio questo mestiere viene a dirmi che non sono più capace di servire una bistecca e un’insalata?
Non è questo, Vannì, credimi.
Ci restai male, tanto più che il tizio continuò a venire tutte le sere.
Cominciai a osservarlo con attenzione per comprendere dove mai lo avessi incontrato.
Non riuscivo a capire perché ce l’avesse con me e soprattutto perché non diceva chiaro e tondo cosa voleva.
Una sera ne parlai con Rosa.
Mi ascoltò seria e preoccupata.
Vannì, mi supplicò, sta lontano da quell’uomo, può essere pericoloso.
Decisi che era giunto il momento di affrontarlo, l’avrei fatto l’indomani al termine della cena.
La sera seguente, infatti, dopo che ebbe terminato di mangiare, mi avvicinai al suo tavolo.
Ma quello, senza darmi tempo di parlare, m’invitò a sedermi.
Mi voltai verso il Signor Leone, non sapendo cosa fare, ma ne ricevetti un cenno di assenso e che potevo accomodarmi al tavolo del misterioso signore.
Stavolta l’uomo mi sorrise bonario, prese la borsa di pelle nera che recava sempre con se e ne trasse alcuni fogli.
Lei si chiama Giovanni Brega?
Si, risposi leggermente titubante.
Detto Vannì?
Esattamente.
E dimora in una camera d’affitto in via del Porto n.10?
Proprio.
La sua padrona di casa è una certa Rosa Salvini?
Naturalmente.
Bene! Concluse.
Ma lei, chi è? Cosa vuole da me? Mi affrettai a dire prima che continuasse l’interrogatorio.
GiĂ , cosa voglio da lei, disse. Molto! Caro amico, molto! VedrĂ . Ha notato che mi tremano le mani? Sono un uomo inquieto. Si vede, no? Mi tremano le mani.
Assentii sgomento, non sapendo cosa pensare di quello strano colloquio.
Lei, continuò, conosce forse tale Giuseppe De Rossi? Oppure Amilcare Tiburzio, o Ferdinando Reis, o Michele Magione o…S’arrestò un istante in attesa di una mia risposta.
Mi guardava di sottecchi, furbesco, quasi ghignante.
Non conosco nessuno di quei signori, dichiarai secco.
E naturalmente, aggiunse, non conosce nemmeno tali signorine o signore, Gina, Beatrice, Anselmina, Loredana…?
No, confermai, perché mai dovrei conoscere tutta questa gente?
L’uomo rideva, di un sorriso amaro, aspro.
Non le conosce?
Non le conosco!
Alla mia reiterata negazione cominciò a ridere isterico.
Affondò le mani nella borsa di pelle nera e ne trasse delle foto.
Le distribuì su tutta la superficie del tavolo.
Le riconosce ora? Chiese puntandomi gli occhi in viso con durezza.
Guardai le foto inorridito.
Vi erano ritratte donne orribilmente seviziate. Uccise e straziate da un assassino di certo psicopatico.
Con calma l’uomo si alzò puntandomi contro una pistola.
Lei è in arresto, disse semplicemente.
Non è stato facile trovarla, sa?
Lei è stato abilissimo a cambiare identità .
Ogni volta che uccideva una sua padrona di casa, riusciva a far perdere le tracce.
Era abile e molto scrupoloso nel concepire i suoi delitti.
Ci siamo diventati matti, alla Centrale.
L’abbiamo rincorso per anni, senza mai riuscire a identificarlo.
Poi, finalmente, è saltato fuori il suo errore, quello che l’ha tradito.
Per quanto fosse abile a cambiare nome, indirizzo e cittĂ , non ha mai pensato di cambiare professione.
La costante di un pensionante cameriere, è stata quella a metterci sulle sue tracce.
Per fortuna stavolta siamo arrivati in tempo e la Signora Rosa l’ha scampata.
Ha rischiato di fare la fine di tutte le altre che l’hanno preceduta.
Ma forse anche per lei qualcosa era cambiato.
Per quanto ci risulta dalle indagini la Signora Rosa è stata l’unica alla quale aveva fatto una proposta di matrimonio, non è vero?
Si, confermai, l’unica.
E come mai non ha mai pensato di cambiare professione, ci avrebbe reso il compito di trovarlo, piĂą difficile.
Il cameriere? Dissi sorpreso, il cameriere? E’ l’unico mestiere che so fare.
L’uomo assentì compiaciuto e a un suo cenno giunsero in sala altri agenti che mi presero in consegna.
Mi condussero in prigione la sera stessa.
Al processo fui condannato a una lunga pena detentiva da scontare in una casa di pena per malati di mente.
Durante il dibattimento i periti del pubblico ministero e della difesa, tutti psichiatri e psicanalisti di fama, sostennero la mia incapacità d’intendere e di volere. Non compresi molto di tutti quei complicati ragionamenti ma in sostanza mi sembra che prevalesse la tesi che la mia attitudine all’omicidio fosse di natura compulsiva e del tutto inconsapevole sul piano della coscienza, in poche parole non sapevo quello che facevo. Essendo stato abbandonato da mia madre, appena nato, secondo quei signori, sarei stato spinto da un impulso interiore a ricercarla nelle donne mature con le quali venivo a contatto. Ma appena queste si dimostravano interessate a una relazione sentimentale scattava la molla della violenza. Era come se tradissero il mio desiderio infantile di essere amato in quanto figlio. La relazione sessuale doveva apparirmi aberrante, tale da scatenare un cieco risentimento. Dopo, sempre secondo quei signori, rimuovevo completamente il fatto per ritornare a uno stato per così dire, infantile, d’innocenza.
Oggi, sebbene, mi riesca difficile accettare l’idea di essere stato l’artefice di tanti orribili delitti, trascorro il mio tempo leggendo la Bibbia e Anna Karenina. Il manuale del gioco del lotto, no, qui dentro mi sarebbe inutile.
Una volta al mese viene a trovarmi Rosa. Mi porta qualche dolcetto e trascorriamo una mezz’ora a parlare.
Vannì, mi dice sempre, che ti dicevo, proprio il cameriere dovevi fare?
Io la guardo con dolcezza e rispondo:
Sai il Direttore, mi ha offerto di servire i pasti in sala mensa. Ho accettato. Non mi sembra vero di tornare a fare il mio lavoro.
E l’anello Vannì? Insiste Rosa, l’anello avevi intenzione di farmelo davvero o era solo per prendermi in giro.
Allora le afferro la mano (il secondino con il quale ho un buon rapporto ha finto di non vedere) gliel’ho aperta e le ho schioccato un bacio sul dito anulare.
Questo Vannì, ha detto Rosa, commossa, tra i singhiozzi, questo è l’anello Vannì? Lo sai, vero, che il tuo bacio è il diamante più grosso che potevi regalarmi! brutta canaglia che non sei altro.
Ecco questa è la mia storia.
Io qui sto bene, tutti sono gentili con me. Medici, infermieri e guardie mi sorridono e mi apprezzano per il mio lavoro. Spesso il Direttore mi chiama a servire durante i pranzi di lavoro con le AutoritĂ .
Io mi preparo per bene e indosso la tenuta di gala per il servizio in sala (è stato un regalo del Direttore). Doveste vedere come sono bravo. Volo tra i tavoli e servo i grandi vassoi ricolmi di cibo con leggerezza e rapidità .
Ieri il cappellano, mi ha informato che Rosa si è sposata con un nuovo pensionante, più giovane di lei di almeno vent’anni.
Non ci sono rimasto male, anzi. Ho voluto bene a quella donna e in fondo mi dispiaceva di tenerla legata a me che non ho un futuro.
Eppure il mio avvocato sostiene che fra qualche anno, dato il mio eccellente comportamento, potrei ottenere la semi-libertà . Speriamo, ma non è che la cosa m’interessi particolarmente.
Oso dire, infatti, di essere felice, qui dentro. Specie da quando viene a trovarmi una nuova psicologa, una certa Luisa. Bella donna, di età matura…un domani…chissà .