#166 - 12 settembre 2016
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrŕ in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerŕ il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchč ti morde un lupo, pazienza; quel che secca č quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport č l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte č costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista č colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Racconto

Il cameriere

parte prima

di Ruggero Scarponi

Lavoravo come cameriere nel ristorante del signor Leone, quando una sera di un giorno qualunque, arrivò l’uomo con la borsa di pelle nera. Si sedette a un tavolo e io appena lo vidi intuii che qualcosa sarebbe cambiato, nella mia vita.
Signore, dissi, è ancora presto, il servizio di cucina inizia fra mezz’ora.
Quello sollevò appena la testa per osservarmi da dietro gli spessi occhiali scuri.
Sembrava non avesse compreso quello che gli avevo detto. Restai così, davanti a lui, pensando che forse era forestiero e non parlava la nostra lingua.
Dopo un po’ rispose, non fa niente, aspetto.
Come desidera, ribattei, appena possibile tornerò per prendere l’ordinazione.
Il signor Leone, che era seduto alla cassa, nella sala attigua, vedendomi passare mi chiese:

  • Vannì, chi è quello? Glielo hai detto che è ancora presto?
  • Si, ma…ha detto che non fa niente, che aspetta.
    Il signor Leone grugnì, contrariato. Non gli piaceva che i clienti restassero in attesa, in sala, prima che si cominciasse a servire.

Mi trovavo bene a lavorare nel ristorante del signor Leone. Lui si fidava di me che in pratica gli facevo da direttore di sala. Oramai, però, mi ero fatto anziano e con suo grande rincrescimento stavo pensando di mettermi a riposo.
Non sarĂ  facile sostituirti, mi diceva a volte, a fine giornata, mentre mi allungava un generoso extra.
Avevo trascorso tutta la mia vita a fare il cameriere. Nei bar, nei pub, nei ristoranti e perfino su una nave da crociera, una volta.
Rosa, l’affittacamere dove soggiornavo, mi rimproverava di non aver avuto coraggio nella vita, che sicuramente, avrei trovato di meglio da fare.
Il cameriere è un lavoro dignitoso, rispondevo, anzi, è un’arte vera e propria. Per saper accogliere e accontentare i clienti ci vuole…
Un mestiere serio, altro che trafficare con piatti e bicchieri, ribatteva cocciuta, quello lo possono fare tutti. Quello va bene quando si è giovani e si devono guadagnare i soldi per uscire con la ragazza, ma da anziani…via! Ci vuole un lavoro vero, ci vuole. Guardati tu, per esempio, se avessi fatto un altro mestiere, forse a quest’ora eri già bello che sistemato, con una moglie, dei figli e una casa di proprietà.
Quando attaccava, Rosa, poteva andare avanti per delle ore, le veniva naturale. Io la lasciavo dire. Lei blaterava, quasi sempre dopo che avevamo fatto l’amore, nella mia camera, mentre si rivestiva e io leggevo il giornale.
Non era cattiva Rosa e a suo modo mi voleva bene.
A volte quando rientravo la sera, sul tardi, dopo l’orario di chiusura del ristorante, la trovavo che mi aspettava ancora sveglia.
Nell’attesa si metteva a guardare la televisione, seduta su una sedia della cucina con in mano un bicchierino di brandy e l’immancabile sigaretta stretta tra le l’indice e il medio della mano destra.
Se era di umore buono saltava su di corsa ad abbracciarmi. Mi gettava le braccia al collo e poi mi passava le dita delle mani tra i capelli.
Vannì, diceva, stasera la luna ti ha lasciato i suoi raggi tra i capelli, sono morbidi, d’argento come le onde del mare a mezzanotte.
Ma se era di humor nero, non si alzava dalla sedia e aspettava che le baciassi la guancia cascante di anziana, unta di fard.
Vannì, puzzi di fritto, diceva aspra, sono i capelli che ti puzzano, fatti una doccia, prima di andare a letto.
Rosa era un’anziana donna cui il tempo non aveva fatto sconti. Ma da giovane era stata bella.
Nella sala da pranzo c’era una foto in una ricca cornice d’argento che la ritraeva con il marito durante il viaggio di nozze.
Questa ce l’hanno scattata a Venezia, diceva, quando si accorgeva che la guardavo.
Tuo marito era un bel giovane, dicevo per farle piacere, sapevo che ne era stata molto innamorata.
E tu pure, aggiungevo, eri molto bella, insieme formavate una bella coppia.
Rosa non rispondeva ma una piega d’amarezza le deformava un poco la bocca.
La vita è spesso crudele, sentenziava.
Tu però, sei ancora bella, dicevo sincero, mentre la prendevo tra le braccia per darle un bacio.
Gli anni si sono posati su di te come un ornamento, declamavo, un po’ serio e un po’ faceto per sdrammatizzare l’atmosfera che si era fatta triste e carica di ricordi.
A Vannì, sbottava in fine, per farmi capire che certi giochetti con lei non funzionavano, ma va a morì ammazzato!
L’ornamento degli anni, di cui Rosa era ben consapevole, erano i diversi chili di grasso che le si erano accumulati nei punti più curvilinei e ora, in lei, non c’era praticamente più nulla della fresca figuretta ritratta nella foto, anche se a dire il vero, il doppio mento che le gravava la fisionomia del viso, non aveva cancellato del tutto una certa luminosa bellezza.
Comunque, dite quello che volete ma a me le camere in affitto sono sempre piaciute.
La maggior parte delle persone le considera squallide e non vede l’ora di trovarsi una casa tutta per sé. Quasi tutti si lamentano che sono anonime, senz’anima. Io, invece, mi ci trovo benissimo. E poi c’è il vantaggio che spesso sono tenute da donne sole, mature, ansiose, spesso, di entrarti nel letto.
Questo è il genere di relazioni che prediligo, senza sforzo e senza impegno.

Una volta mi ero trovato una ragazza giovane che si era messa in testa di sposarmi.
Feci rapidamente il calcolo che con una così giovane e graziosa, avremmo finito per mettere al mondo un esercito di figli. Ne fui spaventato e la lasciai.
Tornai ben presto nelle camere d’affitto a tessere storie con le padrone desiderose di sesso e parole dolci. Se le camere d’affitto sono spoglie, per me non è un problema, il mio guardaroba è talmente ridotto da poter stare tutto su una sedia. La scrivania non mi serve, non ho mai nulla da scrivere. Scaffali per riporre i libri, non saprei che farmene. Di libri ne possiedo tre, una bibbia, regalo per la cresima di una vecchia zia per la quale stravedevo, da bambino, Anna Karenina, regalo di quella ragazza giovane che s’era messa in testa di sposarmi, e un manuale per il gioco del lotto, unico libro che abbia mai letto, gli altri due li tengo solo per ricordo.

Il signor Leone era un brav’uomo e mi trattava come uno di famiglia.
Per questo mi ero fermato tanto nel suo ristorante, invece di lasciarlo dopo un anno, al massimo, come facevo d’abitudine.
Guadagnavo bene e a Rosa potevo portarla a ballare durante i turni di riposo. Sceglievamo ambienti semplici, popolari, ma ci divertivamo. Con Rosa stavo bene e lei lo percepiva. Si sentiva sicura di me e talvolta giocava a fare la moglie. Si prendeva cura di me e alzava delle pretese.
La lasciavo fare, mi divertiva, in fondo.
Un giorno però, al ritorno da una serata trascorsa in una balera, sballonzolati dal vecchio bus che percorreva i tetri viali della periferia, mi prese una mano e me la baciò.
In quel momento fui pervaso da un senso di tenerezza come non mi era mai capitato.
Quell’anziana donna dai boccoli finti tinti di giallo e le guance gonfie, mi sembrò che fosse mia, solo mia e di nessun altro. Unica donna capace di capirmi, di sgridarmi e di gemere di vero amore per me. La strinsi forte e le chiesi di sposarmi.
Vannì, tu sei matto che ti sposo, disse, così mi frego con le mani mie. In un colpo solo perdo l’affitto che mi paghi e finisco a farti la serva dopo averti scaldato il letto.
Ma Rosa, io ti amo, rispondevo, ti amo veramente!
Ti crederò, rispondeva, solo quando ti presenterai con l’anello, allora saprò che fai sul serio.
E io l’anello te lo faccio, con un diamante grosso così! La rintuzzavo tutto accalorato.
E quando Vannì, quando? Chiedeva nella speranza che qualcosa di vero potesse esserci nelle mie parole.
Quando? Rispondevo cercando di guadagnare tempo per farmi venire qualche idea. Quando il signor Leone mi anticipa…
A Vannì, rispondeva sfiduciata Rosa, ma va a prende in giro qualcun’altra!
E invece l’idea dell’anello mi si fissò in testa, almeno fino a quella sera, quando arrivò l’uomo con la borsa di pelle nera. (continua).

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