#153 - 4 aprile 2016
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterà in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascerà il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore è già  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore è la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererà  l'amore per il potere, sia avrà  la pace (J. Hendrix)
Racconto

Le Secche di S.Andrea

( parte prima )

di Ruggero Scarponi

Il tempo e il luogo

Ci sono luoghi su questa terra in cui gli antichi spiriti e le primordiali forze della natura si manifestano misteriosamente fuori da quelle leggi fisiche che gli uomini da tempo immemore indagano e approfondiscono. Uno di questi luoghi è stato il teatro della storia che ho deciso di raccontare. Ho preso questa decisione per assolvere un dovere e mantenere una promessa. Il dovere di rendere noti , come diretto testimone, fatti che la sola ragione e i nostri deboli sensi non riescono a spiegare interamente, e una promessa, fatta al mio più caro amico, Renè Benoit, di raccontare a tutti la vicenda in cui per salvare la mia, ha perso la sua vita, contro forze che umanamente non poteva contrastare.
Tutto ebbe inizio in un periodo compreso tra il 3 e il 30 di giugno, secondo la datazione conservata sul diario che giornalmente mi ero impegnato a compilare. Tuttavia quando, secondo i miei calcoli, al 30 di giugno, fui tratto in salvo dalla nave da guerra della marina americana, il calendario a bordo dell’unità militare indicava il giorno 4 giugno! Il luogo degli avvenimenti può essere localizzato in corrispondenza di una diramazione della faglia di Sant’Andrea al largo delle coste della California, tanto da essere indicato in maniera ufficiosa, dal momento che non è presente su nessuna carta nautica come: le Secche di Sant’Andrea. L’incerta definizione del luogo è probabilmente dovuta al fatto che queste secche emergono e si inabissano in base all’irrequieta attività dei fondali marini. Pertanto la loro comparsa è imprevedibile e imprevedibile è anche la parte o le parti emergenti sulla superficie del mare.

Il Naufragio

Mai avrei pensato di vivere una simile avventura. Mai avrei pensato che fosse possibile al giorno d’oggi, in un tratto di mare relativamente vicino alle coste della California, trovarsi coinvolti in avvenimenti che ci riportano indietro nel tempo fino ai remoti limiti del mito e della magia.
Eppure il giorno 3 di giugno alle ore 22,30, si verificò uno di quei fatti inspiegabili che ha originato la storia che vado a raccontare. Mentre trascorrevo una placida serata sull’yacht di proprietà del mio amico René, ascoltando buona musica e chiacchierando in compagnia di alcuni compagni di traversata, avvertii chiaramente un colpo secco sotto la chiglia prodotto da qualcosa che non riuscimmo a identificare. Appena 5 minuti dopo ci trovavamo a bagno nell’oceano. Stupore e terrore furono le prime reazioni. Donne, bambini e uomini passarono in pochi istanti dal paradiso di una confortevole imbarcazione da diporto all’incredibile e imprevisto salto nelle acque oceaniche. L’affondamento fu tanto repentino che si riuscì a calare in acqua solo un piccolo canotto di gomma. Un canotto omologato per 8 persone divenne la scialuppa di salvataggio per 10 uomini 6 donne e 6 bambini, il più piccolo di soli 5 anni e il più grande di 13. René come proprietario dell’yacht e unico esperto di navigazione prese subito il comando della piccola imbarcazione cercando di individuare una possibile rotta. Era circa la mezzanotte, ci trovavamo in mezzo all’oceano e la notte era paradossalmente splendida e piena di stelle. Verso le 2 del mattino si alzò una brezza leggera. Senza strumentazione non eravamo in grado di capire dove la corrente ci stesse trasportando, e d’altronde con solo due pagaie a disposizione tentare di seguire una rotta era impossibile. Dopo circa un’ora la brezza leggera si trasformò in un vento sostenuto che, bagnati come eravamo e con indosso solo il costume da bagno ci fece rabbrividire. La corrente prese a trasportarci impetuosa ma non sapevamo dove. Così impetuosa che sembrava fosse un fiume. Alle 6 cominciò ad albeggiare. Per un istante ci sembrò di essere fuori dall’incubo. Di sicuro saremmo stati avvistati e tratti in salvo. Tuttavia ci rendevamo conto che i soccorsi non sarebbero scattati prima delle 9 o le 10 del mattino, l’orario in cui di solito si comunicava con i famigliari rimasti a terra. I bambini cominciavano a mostrare i primi segni di insofferenza. All’inizio il naufragio era stato da loro vissuto quasi come un gioco ma ora il freddo, la mancanza di cibo e bevande ne stava mettendo a dura prova la resistenza. Io fui il primo a scorgere qualcosa verso occidente, in direzione opposta al sorgere del sole. Dapprima sperai che si trattasse di una nave, poi poco a poco mi resi conto che doveva trattarsi di un isolotto. La corrente ci sospinse fino alla spiaggia . Scendemmo a terra senza difficoltà.

L’Isola

Fu un sollievo e per un po’ godemmo del fatto di trovarci al sicuro sulla terraferma. René mi chiese di prendere il comando della situazione essendo io il più anziano. Nessuno si oppose. La situazione di cui avrei dovuto occuparmi era la seguente. Un gruppo di naufraghi, sbarcati non si sa dove, privi di tutto, composto da 22 persone, 10 uomini di cui 4, i marinai che avevano costituito l’equipaggio dello yacht, Tony, un italiano, François il cuoco di bordo, francese, l’altro francese Albert e Frederick un tedesco di Amburgo, . C’era poi René il proprietario dell’imbarcazione e mio amico fraterno. Carlo un italiano marito di una delle 6 donne , Elisabetta, con i figli Stefano di 13 anni Roberta di 11 e Silvia di 8. Javier cognato di René avendone sposato la sorella Marie. Avevano con loro il piccolo Jacques di 5 anni. Martin, un belga amico di René con la fidanzata Martine (simpatica coincidenza di nomi!) . Charles, un giovane sub di 22 anni con la sua compagna, una signora americana, sub anche lei, da poco divorziata e molto ricca Meg con i figli Steve di 7anni e Roy di 6 . Confesso che prendere il comando di un gruppo di persone in una situazione di assoluta impotenza era veramente imbarazzante. Sentivo che tutti si aspettavano proposte concrete per uscire da quell’emergenza. Eppure già al momento di scendere dal canotto, non so come, ma mi era apparsa chiara una sola cosa. Non sarebbe stato facile uscirne fuori e Dio solo sapeva a quale prezzo, seppure…Non dovevo assolutamente dare l’impressione di avere questi timori. Mi sforzai di sembrare sicuro e per dimostrare che avevo un piano d’azione organizzai una squadra per esplorare l’isola. L’isola! Si trattava di una piccola formazione di scogli a semicerchio con due linee di spiaggia bianca a nord e a sud degli scogli (dall’alto doveva apparire vagamente come un omega greco). L’unica cosa apprezzabile era la presenza di una cavità con l’apertura rivolta verso la piccola baia costituita dagli scogli e che si poteva adattare bene a rifugio in grado di ospitare agevolmente tutto il nostro gruppo. La cavità o grotta che dir si voglia era dotata di una copertura in grado di ripararci da pioggia e venti oceanici. Durante il giorno ci avrebbe fornito l’ombra per difenderci dal sole cocente. Ma per il freddo notturno, al momento non vedevo molte soluzioni.

Mistero

Durante la veloce esplorazione René mi si accostò e senza farsi sentire dagli altri mi disse:- Sai cosa ha provocato il naufragio? - Rimasi sconcertato a questa domanda. Gli eventi erano precipitati talmente in fretta che non avevo avuto modo di riflettere sulla causa dei nostri guai. O meglio ero talmente convinto che l’urto, tale da rovesciare la nostra imbarcazione, fosse per forza di cose dovuto a uno scoglio che tra me e me avevo liquidato lì la questione.- Che vuoi dire? - Risposi con interesse e perplessità. - Voglio dire – disse - che noi non abbiamo urtato nessuno scoglio né altro ostacolo naturale, di questo sono certo, ero in plancia e gli strumenti non hanno segnalato nulla in proposito. – Forse - dissi io - un balenottero o un altro grosso pesce... - Pas de tout - tagliò corto René - nessuna traccia sugli strumenti, radar e scandagli.- E allora? - Un bel mistero - concluse, fermandosi a scrutare la linea di costa lungo la spiaggia che stavamo percorrendo. Sembrava stesse cercando punti di orientamento. - Conosci quest’isola? - Chiesi, tentando di indovinare i suoi pensieri. Scosse il capo, ma si capiva che qualcosa agitava la sua mente. A un certo punto mi disse, - senti, naturalmente non sono sicuro, di quello che sto per dirti, ma penso di non sbagliare dicendo che siamo finiti sulle secche di Sant’Andrea. - La cosa dovrebbe preoccuparci? - chiesi - Se così fosse - rispose - potremmo trovarci nel bel mezzo di un enigma irrisolto, ammesso che non si voglia parlare esplicitamente di mistero. E saremmo solo all’inizio dei nostri guai.

La comunità si organizza

L’esplorazione dell’isola fruttò la localizzazione di varie carcasse di barche e yacht di precedenti naufragi. In qualche caso se ne sarebbe potuto ottenere materiale di sicura utilità, soprattutto legna da ardere per scaldarci di notte e cucinare. Avevamo trovato in un vecchio yacht attrezzatura da cucina ancora utilizzabile e addirittura cibo in scatola che insieme a un po’ di pesce che riuscivamo a catturare nella baia avrebbe contribuito egregiamente a integrare la nostra dieta, almeno per un mese. Per l’acqua, al momento non c’erano problemi, un violento acquazzone aveva generosamente riempito vari contenitori che avevamo approntato per l’occasione. Tra il cibo in scatola che avevamo trovato c’erano alcuni tubi di latte condensato. Per i bambini una risorsa decisamente importante. Lo yacht in questione ci rifornì anche di qualche altro conforto. 1 cassa da 12 bottiglie di vino rosso, di cui 8 ancora integre. 1 bottiglia di whisky scozzese e addirittura 10 kg di cioccolata in blocchi, conservata miracolosamente in un contenitore a tenuta stagna. Frugando in tutti i cassetti e possibili recessi, trovammo altro materiale interessante. Bloc-notes e penne per scrivere ancora utilizzabili. Avremmo tenuto un diario giornaliero. Con i residui di alcune vele le nostre signore, grazie a un coltello e a un paio di forbici riuscirono a confezionare delle tuniche che si rivelarono provvidenziali nella nostra condizione. Così in breve ci preparammo ad affrontare la permanenza sull’isola. Il cibo e qualche piccolo attrezzo, nonché il primitivo abbigliamento contribuirono a darci un po’ di sollievo e qualche speranza. Qualche battuta scherzosa e qualche sorriso nonché i giochi dei bambini ebbero un effetto salutare su tutti noi. Eravamo approdati sull’isola, spogliati di tutto e sfiduciati. In 3 giorni eravamo riusciti a garantirci una sopravvivenza, almeno per qualche tempo e a rimetterci in forze con cibo sufficiente e in qualche caso anche gradevole. Nel diario appuntavo scrupolosamente tutta la vita della piccola comunità, la data, le condizioni meteorologiche, i ritrovamenti di materiale, di cibo, la pesca e tutto quanto ritenevo importante sia per tenere occupata la mente sia per dare una direzione alle nostre attività. Feci in modo di assegnare a ciascuno dei compiti ben precisi per tenerli impegnati e far crescere il senso di responsabilità. Impegnai anche i bambini affidando ai più grandi la custodia dei più piccoli consentendo pertanto alle mamme di dedicarsi a mansioni più impellenti. Cercavo soprattutto di evitare, per quanto possibile i momenti di ozio e il parlottare indolente foriero di pensieri disfattisti e pessimistici. Era indispensabile che ci sentissimo un gruppo affiatato. Cercai di spezzare la naturale inclinazione a costituire dei circoli di poche persone a danno di altri che rischiavano di esserne esclusi. Organizzai turni di guardia di possibili avvistamenti di navi. Disposi dei turni per adempiere le faccende quotidiane, come l’approvvigionamento idrico, la pulizia, la cucina ecc.
Organizzai persino una mini-scuola per i bambini, dal momento che avevo a disposizione due professoresse, una di lingua francese ed una di matematica, nonché René che impartiva nozioni di marineria e oceanografia a tutti quanti. Non dimenticai lo svago, organizzando partite di calcio con un pallone di gomma trovato sugli scogli e partite di pallavolo. Ma soprattutto cercai di organizzare un efficiente piano di lavoro. Programmai 3 settimane per riparare, con materiali di riciclo, in modo sufficiente a riprendere il mare la migliore delle carcasse che trovammo nella baia. La piccola comunità mi si strinse intorno e io stesso mi meravigliai di quanto prendevano seriamente la mia funzione di comandante. Fummo talmente presi dalle nostre attività che non penso di esagerare affermando che arrivammo a vivere momenti intensi di vera condivisione fraterna. Sapevo tuttavia che questa situazione idilliaca non sarebbe durata a lungo, alcune situazioni andavano seguite con particolare attenzione onde evitare esiti spiacevoli e pericolosi contrasti. Carlo ed Elisabetta per esempio, che avevo provveduto a separare nei turni lavorativi, di norma in famiglia si bisticciavano in continuazione. Inoltre avevo già notato sullo yacht che Martine la graziosa ragazza belga non era insensibile al sorriso insinuante di Albert, suscitando il risentimento e la gelosia del fidanzato. Queste ed altre situazioni mi spinsero a impegnarmi strenuamente sul lavoro in modo da rispettare il programma fissato. Se si fosse prolungata la data di partenza il rischio di disgregamento del gruppo a causa di liti occasionali o per incompatibilità caratteriali sarebbe stato fortissimo. Un mese era il tempo massimo per ottenere il massimo dell’efficienza.
(continua)

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