Il generale
di Ruggero Scarponi
Dopo colazione, di primo mattino, persino durante l’inverno più gelido, il generale Alessandro, era solito passeggiare per circa un’ora tra gli alberi da frutta della sua tenuta.
Era uno dei suoi passatempi preferiti e non vi rinunciava mai, se non per gravi motivi e sempre con riluttanza. Avendo compiuto sessant’anni si era ritirato dal servizio attivo da pochi mesi.
Era stato l’eroe di tante campagne e non aveva mai subito una sconfitta. Oltre alle molte decorazioni che ricoprivano quasi per intero la sua giubba esibiva a volte, in privato, a certe signore che ancora ne apprezzavano il vigore e la risolutezza, le cicatrici sulle braccia e sul torace a dimostrazione del suo valore negli scontri “corpo a corpo”.
Alla fine di una lunga e gloriosa carriera aveva raggiunto una meritata agiatezza.
In quella bella giornata di ottobre, fredda e limpida come spesso accade al principio della stagione autunnale, si preparava, a ricevere l’ossequio dei notabili locali.
Sua Maestà , infatti, l’aveva nominato Consigliere anziano del tribunale distrettuale.
Un incarico onorifico, ma non privo di vantaggi a volerne far uso, un modo grazioso per ripagare i servizi resi all’imperatore in virtù di una rendita vitalizia che si andava ad aggiungere ad una pensione non troppo generosa.
Il Generale rientrò a casa in tempo per indossare l’uniforme di gala.
Sua moglie, Maria Sofia, aveva pensato ai preparativi per il ricevimento.
Sarebbero sfilate davanti a suo marito e a lei una moltitudine di persone e l’organizzazione della cerimonia aveva richiesto settimane di lavoro.
Gli ospiti erano attesi dal primo pomeriggio ed era quindi indispensabile che fossero pronti per tempo bibite e rinfreschi considerando che molti, specie i delegati dei villaggi rurali era gente povera che viaggiava a piedi.
La festa doveva riuscire perfetta e testimoniare della dignità e del favore goduti dal generale presso l’imperatore e il popolo tutto.
Quando la padrona di casa, dopo aver più volte ispezionato tutto l’apparato cerimoniale giudicò che si potesse dare inizio al ricevimento, dette il braccio a suo marito e insieme andarono ad attendere i primi ospiti nel grande vestibolo della villa.
L’ampio locale sormontato da una cupola di stile rinascimentale, traforata da grandi finestre, era inondato di luce.
Scintillavano gli ori delle decorazioni sugli stucchi alle pareti e scintillavano i marmi multicolori del pavimento. Scintillavano le piante ornamentali, gli arredi, i vasi cinesi…E soprattutto scintillavano gli occhi azzurri quasi violetti di Cristina, la giovane figlia del Signor Stefano, amministratore dei beni di sua eccellenza il Generale Alessandro.
In tale tripudio l’unico a non gioire era proprio il Generale Alessandro.
Nonostante facesse di tutto per nascondere il malumore, proprio non gli riusciva di scacciare una vena di tristezza e un oscuro presentimento che l’opprimevano dal risveglio mattutino.
Sorridi! Lo esortò, sua moglie, sorridi o gli invitati quando arriveranno penseranno di non essere i benvenuti.
Il generale rivolse uno sguardo bonario alla consorte, scosse la testa e disse:
Deve essere a causa di questa maledetta uniforme, mi stringe da tutte le parti.
Da quando sono a riposo sono un po’ ingrassato. E questo è colpa tua, disse in tono canzonatorio.
Maria Sofia stava per ribattere, quando il generale aggiunse:
Da quando sono a riposo non perdi occasione di viziarmi. Ogni giorno mi fai servire prelibatezze e non ho più una sana campagna militare per smaltirle. La passeggiata che faccio ogni mattina nel frutteto non basta a…
S’interruppe il generale, era stata annunciata la prima visita.
Da quel momento in poi, per piĂą di due ore, avrebbero sfilato ospiti di ogni condizione.
Nobili ed ecclesiastici, funzionari governativi e militari. Parenti, amici, giornalisti di testate locali e uno persino di un giornale della capitale arrivato appositamente per stendere una relazione da presentare al sovrano. Col passare delle ore la festa si animò sempre più.
Un’orchestra suonava senza interruzione musiche da ballo.
Mi sembra che stia andando tutto bene, disse Maria Sofia, con una punta di compiacimento, mentre danzava il primo valzer con il marito.
Una festa magnifica, replicò l’uomo, sei una donna straordinaria e, mentendole con naturalezza, l’unica donna della mia vita!
Maria Sofia eccitata e felice abbandonò la testa all’indietro, tra le belle spalle nude, facendo agitare i riccioli neri della sua acconciatura.
Eppure, nonostante l’atmosfera festosa, le molte attestazioni di stima e affetto che riceveva da tutti gli invitati, l’umore del generale continuava a essere triste. Terminata la danza con sua moglie, abbandonò la sala.
Fa un po’ troppo caldo, qua dentro, ho bisogno di aria, disse a Maria Sofia che cominciava a guardarlo preoccupata.
Che succede, non ti senti bene?
No, no, come ho detto, esco a prendere un po’ d’aria..
Mi raccomando, disse Maria Sofia, non vorrei che gli ospiti si accorgessero…
Cinque minuti, assicurò il generale e uscì nel giardino.
S’inoltrò tra alcuni cespugli di oleandro. Desiderava restare solo, doveva riordinare i suoi pensieri e cercare di fugare il malessere interiore che l’agitava.
Che diavolo mi succede? Si disse, perché non riesco a essere felice, proprio nel giorno del mio trionfo.
Eppure in questo momento ho tutto quanto si può desiderare al mondo.
Le mie finanze vanno a gonfie vele, abito in una villa che potrebbe ospitare una corte, sono riverito da nobili e cittadini e sono sposato con una donna meravigliosa e intelligente. Inoltre, in virtĂą della mia fama di eroe mi prendo a piacimento amanti giovani, come quella sciocchina di Cristina.
Che cosa mi manca dunque? Perché non riesco a godere di tutto questo?
Mentre rimuginava tra sé udì giungere dalla villa diversi schiamazzi.
Accidenti, imprecò, è il momento del brindisi, devo rientrare.
Svelto guadagnò nuovamente la grande sala dei ricevimenti.
Vide sua moglie seduta su un divano che chiacchierava con alcune dame.
La raggiunse e le porse il braccio. Insieme si avvicinarono al tavolo dove i camerieri stavano riempiendo i calici con lo champagne da servire agli invitati.
Era il culmine della festa.
Il maestro delle cerimonie con un cenno invitò l’orchestra ad interrompere la musica e in breve ottenne il silenzio di tutti.
Molti invitati, allora, vollero onorare l’ospite con frasi di lode e brindisi augurali.
Anche il generale, da ultimo, recitò un breve e toccante discorso con il quale ringraziava gli ospiti per la visita e i numerosi regali che avevano riempito un’intera sala del piano-terra.
Poi di nuovo i balli, la cena dopo la mezzanotte, ancora altri brindisi augurali e finalmente oltrepassate le due di notte i congedi.
Era l’alba quando il generale e sua moglie furono liberi di coricarsi.
Maria Sofia era talmente stanca ed eccitata che faticò ad addormentarsi.
Il Generale, invece, crollò in un sonno pesante e cupo.
Si risvegliò che era mezzogiorno passato, prese una sobria colazione ed espresse a sua moglie l’intenzione di uscire a fare una passeggiata nel frutteto.
Vai pure, disse Maria Sofia, ma non tardare troppo e ricordati che entro oggi è indispensabile inviare i ringraziamenti per i regali ricevuti.
Non preoccuparti, rispose il generale, tra un’ora sarò di ritorno, si avvolse in un caldo mantello e uscì.
Era preoccupato.
Si sentiva depresso, qualcosa in fondo all’anima lo agitava e non riusciva a darsene una spiegazione.
Camminare mi farà bene, pensò.
Si avviò con passo deciso nel frutteto.
Ma al contrario di altre volte neanche la vista della frutta matura sugli alberi, lo rallegrava. Allora con rabbia raccolse un pezzo di ramo caduto e con l’abilità dell’ufficiale degli ussari tranciò di netto con un colpo preciso il picciolo di una mela che rovinò a terra fra le foglie secche.
Come per un’improvvisa rivelazione si arrestò, sgomento. Vacillò e dovette appoggiarsi ad un albero per non cadere. Restò a lungo nel frutteto, prima di rientrare a casa, visibilmente turbato.
Al vederlo in quello stato, pallido e stravolto, Maria Sofia non volle sentire ragioni e subito mandò a chiamare il medico che diagnosticò un mancamento a seguito delle forti emozioni del giorno prima.
Mio caro generale, disse, dovete farvene una ragione, non siete più un giovanotto, dovete essere più indulgente con voi stesso. Questo corpo che ha servito così bene la patria e l’imperatore si merita un po’ di riguardi e di riposo. Assecondatelo e vedrete che non cadrete più vittima di certi incidenti per molti anni a venire.
Maria Sofia che gli stava accanto seduta sulla sponda del letto assentiva alle parole del medico.
Poi si avvicinò al viso del marito, lo accarezzò teneramente e sottovoce mormorò: coccole e riposo, nient’altro, capito?
Quando il dottore si fu ritirato il generale si sollevò sui cuscini e disse.
Senti Maria Sofia, ho da dirti una cosa.
Come ti sarai accorta, da qualche giorno non sono del mio solito umore.
Si, è vero, rispose la donna, e mi domandavo quale ne fosse la ragione.
Anche io in veritĂ me lo domandavo non riuscendo a capire.
Poi ieri durante la passeggiata nel frutteto tutto mi si è chiarito.
Vuoi dire, lo interruppe Maria Sofia, che il mancamento ha qualcosa a che vedere con un ricordo?
Esatto. Anche per me è stata una sorpresa ma appena certi fatti dolorosi sono riaffiorati alla memoria, tutto ho compreso. Ora, però, mi sento libero dall’oppressione e appena sarò di nuovo in forze, potrò tornare come prima.
Non vorresti raccontare anche a me che cosa ti ha tanto sconvolto? Disse Maria Sofia.
Certo, assentì il generale, mettiti comoda e ascolta la mia storia.
La donna si accomodò su una poltrona accanto al letto del marito e si mise attenta.
Dunque, iniziò il generale, questa è una storia di almeno trent’anni fa. Mi trovavo, allora, nell’autunno del 1853 nel distretto di*** come tenente del V Ussari. Il comandante del reggimento era il principe Nicola. Dalla primavera erano scoppiati dei disordini nella regione mineraria per questioni salariali.
Quando alcuni facinorosi che fomentavano scioperi e occupazioni delle miniere fecero lega con i ribelli, che da anni chiedevano l’indipendenza della regione, il V ussari ricevette l’ordine muoversi e di reprimere i moti.
Una mattina giungemmo in un villaggio dove secondo informazioni ricevute il capo anziano nascondeva armi di contrabbando. Il principe Nicola in persona era intervenuto. L’intento era di mostrare la forza dell’impero e dissuadere eventuali simpatizzanti dell’indipendenza dall’intraprendere azioni ostili.
Il capo anziano negò di possedere armi di contrabbando, ma il Principe Nicola ordinò un’accurata perquisizione di tutto il villaggio.
Finalmente dopo molto cercare, in fondo ad un pozzo, nascoste dentro casse a tenuta stagna, furono trovate le armi.
L’anziano capo-villaggio giurò con tutta l’anima di non saperne nulla.
A lui si affiancarono la vecchia moglie i figli e tanti che nel villaggio testimoniarono della sua provata lealtà all’imperatore e dell’onestà personale.
Il principe Nicola non intese ragione. In breve fece condurre il poveretto al centro del villaggio e con un ordine secco m’intimò di decapitarlo con la sciabola.
Dio mio! Esclamò Maria Sofia, quale orrore! Senza neanche un processo?
Cara la mia moglie, disse il Generale, di quei tempi e in quelle regioni ostili non era una novitĂ .
Purtroppo la guerra non lascia spazio alla pietĂ . Il piĂą delle volte, come spesso si dice, tira fuori il peggio degli uomini.
Ma tu, marito mio, non hai da rimproverarti nulla, hai agito per un ordine superiore e diretto, come avresti potuto esimerti?
Certo, rispose il Generale, che non ho nulla da rimproverarmi, ho agito esattamente come prevedeva il regolamento in caso di guerra e la presenza di formazioni ribelli nella regione lo giustificava. Tuttavia ciò che a tanti anni di distanza mi pesa, è stato il mio comportamento.
Pensi che ti saresti dovuto rifiutare di eseguire l’ordine? Mi rendo conto che giustiziare un innocente…
Innocente, no davvero, moglie cara, le successive indagini provarono ampiamente il coinvolgimento del capo villaggio nei moti minerari. Piuttosto fu nel modo in cui eseguii la sentenza del principe.
Ricevuto l’ordine, scesi rapido da cavallo, sguainai la sciabola e preoccupato soltanto di assestare un colpo perfetto, troncai in un batter d’occhio la vita di quell’uomo, esattamente come ho abbattuto nel frutteto una mela recidendola dal ramo cui era appesa.
Nient’altro. Nessuna emozione. Una testa o una mela sarebbe stato lo stesso. A cena quella sera avevo già dimenticato la crudele esecuzione.
Certo è duro, quello che dici, ma in guerra si può capire, disse Maria Sofia.
Perché tornarci su? In fondo non l’avevi voluta tu la guerra e l’ordine non sei stato tu a darlo.
Vedi, riprese il generale, in tanti anni non ho più pensato a quell’ episodio.
Solo adesso che mi sono congedato dall’esercito è tornato prepotentemente alla coscienza ed è questo che mi ha sconvolto perché è come se improvvisamente mi fosse chiaro che il servizio che ho prestato per tanti anni con zelo non fosse che uno schermo alle peggiori pulsioni umane. Oggi da civile sono tornato ad essere un uomo dotato di sentimenti, ma per troppi anni sono stato uno strumento di morte, incapace della più elementare forma di pietà .
Maria Sofia ascoltava suo marito a bocca aperta con lo sguardo smarrito.
Non devi! non devi, gli disse gettandosi su di lui, abbracciandolo e baciandolo sul viso, non devi fartene un cruccio. Tu hai sempre combattuto lealmente e persino l’imperatore te ne serba gratitudine. Abbandona questi pensieri, ora sei qui tra coloro che più ami e più ti amano.
Godi di quanto tu stesso ha costruito e guadagnato con coraggio e valore.
Il generale abbracciò sua moglie e insieme piansero a lungo fino ad addormentarsi una tra le braccia dell’altro.
Il giorno seguente di buon mattino i due sposi affrontarono il gravoso compito di aprire i pacchi dei regali e rispondere con un biglietto di ringraziamento, esaltando, se possibile, l’estro e la generosità che ne aveva ispirato la scelta.
All’ora del pranzo si era a circa un terzo del lavoro.
Alle undici di sera Maria Sofia finì di compilare l’ultimo biglietto.
Domattina manderemo qualcuno a spedirli, disse rivolta al generale.
Domattina, domattina, assentì l’uomo, per ora basta,, non ne posso più, andiamo a coricarci.
Si coricarono infatti, sfiniti.
Ma durante la notte Maria Sofia si svegliò sopraffatta da un senso d’inquietudine.
Mio Dio! Esclamò, ho scordato un pacco!
Scese rapida dal letto badando di non svegliare suo marito.
Indossò una vestaglia e svelta scese le scale per andare fino alla stanza dove erano stati accatastati i regali.
Che sbadata! Si disse, avevo spostato un pacco grande per prenderne uno piĂą piccolo. Quello piĂą grande deve essere finito sotto il tavolo dove stavamo scrivendo i biglietti. Meno male che me ne sono ricordata, altrimenti domattina non sarei riuscita a spedire in tempo il ringraziamento.
Giunse nella sala di corsa. Sollevò un lembo del tappeto che ricopriva il tavolo e immediatamente ritrovò il pacco dimenticato. Lo prese a due mani e si accorse che pesava non poco.
Sorrise immaginando che dovesse contenere una bella sorpresa, forse un oggetto esotico o prezioso.
Cercò invano un’etichetta per capire chi l’avesse inviato ma senza successo.
Forse sarà all’interno, pensò e si mise a recidere lo spago con cui era sigillato.
Ne sollevò il coperchio.
Ma appena ne ebbe tra le mani il contenuto tondeggiante vagamente somigliante a una testa appoggiata su un morbido cuscino di velluto, fu sopraffatta dall’orrore, un grido le restò strozzato in gola. Il cuore non le resse e crollò a terra morta.
Qualcuno della servitù, in piedi in quell’ora notturna per un convegno amoroso, giura di aver udito un’agghiacciante risata prima del tonfo della povera Maria Sofia.
Ma queste, forse, sono solo fantasie, buone per i racconti nelle sere invernali.