#140 - 16 novembre 2015
AAAAA ATTENZIONE questo numero rester in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascer il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore gi in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore superer l'amore per il potere, sia avr la pace (J. Hendrix)
Racconto

Una lettera dall'isola di "C"

di Ruggero Scarponi

…”Signora, non starò qui a lagnarmi…”, ecco, ricordate? Iniziava così la lettera che vi scrissi, prima di partire, ubbidendo al desiderio di Sua Eccellenza il Margravio, vostro marito. Ebbene, Signora, tutto quanto mi fu chiesto, fu da me diligentemente compiuto e ora sono pronto a riprendere il cammino per ritornare a casa. Attenendomi ai suggerimenti di Sua Eccellenza il Margravio, ho già preso gli accordi necessari con l’Ufficiale Generale della piazzaforte per trasmettere alla Vs Riverita Dimora, a mezzo posta militare, tutta la cospicua rendicontazione che costituisce il diario e il catalogo dell’ispezione da me condotta all’isola di “C”.

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Il viaggio di ritorno non sarà meno lungo di quello di andata e so bene la strada che mi attende. Scriverò una relazione durante questo tempo, ve lo assicuro, per informarvi delle varie cose che ho avuto modo di conoscere e di osservare attraversando tanti paesi a noi lontani non solo geograficamente ma per lingua, costumi e abitudini. In verità, come di certo non vi sfuggì all’inizio, fui piuttosto riluttante nell’aderire alla richiesta di Sua Eccellenza il Margravio, vostro marito, quando mi chiese di intraprendere questo viaggio fino alla lontana isola di “C”. per curare i molti interessi che il vostro illustre casato vanta da quelle parti, essendo venuto meno in modo del tutto imprevisto e repentino, il vostro stimatissimo amministratore, Signor di “S”. Riluttante, è vero, ma non certo per il servizio in sé, occasione quanto mai gradita di rendermi utile a Sua Eccellenza e a voi, mia Signora, di cui sarò sempre devoto debitore per la benevolenza più volte dimostrata nei miei confronti, quanto piuttosto per dover abbandonare il servizio nella parrocchia che mi faceste l’onore di farmi assegnare.

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L’idea di assistere, consolare e dirigere a man ferma una piccola comunità di anime semplici, era quanto desiderassi di più a questo mondo. Il solo motivo che ho da sempre reputato valido alla pietà divina nel dar umile forma umana alla mia persona. E, infatti, non ho mai cessato, nemmeno un minuto, Signora, dovete credermi, di aver fede nell’unico modo che ritengo giusto e onorevole per un uomo battezzato di combattere le lusinghe del mondo: il rigore e la disciplina. Ah! Signora, come avrei drizzato le schiene curve sotto il peso dei peccati, dei miei parrocchiani. Con quali infuocati sermoni li avrei esortati a ravvedersi delle loro nefandezze! Questi erano i miei propositi prima di partire: servire Dio e Sua Eccellenza il Margravio, vostro marito, anch’egli impegnato ad amministrare la giustizia, sebbene umana, nella quotidiana battaglia contro le forze maligne. E finalmente, estirpare la gramigna dalle anime semplici dei poveri e degli ignoranti che ben si sa come siano più cedevoli e indifese di quelle delle loro nobili signorie.

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Ma Sua Eccellenza il Margravio, vostro marito, mi chiese di lasciare tutto questo in segno di una stima che ancora oggi mi fa arrossire per l’istintivo compiacimento che muove in un povero servitore. Vi ho già riferito in alcune lettere di come affrontai il viaggio. La bontà di Vostro marito mi aveva fornito dei mezzi necessari e seguendone le raccomandazioni, resistetti all’orgoglio meschino, per malintesa sobrietà, di prendere alloggio in povere locande, luoghi pericolosi per le anime ingenue, e scelsi invece alberghi stimati in cui mi fu opportuno far risaltare la magnifica liberalità di cui ero onorato. Non starò allora a ripetervi quanto già raccontato, andrò invece a riferirvi del mio arrivo e soggiorno all’isola di “C”. E’ questa una terra, mia Signora, che più diversa non potrebbe essere rispetto alle nostre contrade.

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Un devoto e timorato di Dio vi coglie subito un che di malsano che inquina ogni cosa. E' difficile da comprendere all'inizio. E’ come una misteriosa euforia. Assomiglia a un’ebbrezza che si respira nell’aria, dolce e languida e che si diffonde ovunque. Ma per entrare nel dettaglio vi dirò, come prima cosa, che non si ha certo modo di compiacersi per l’austera tenuta degli uomini e delle donne come sarebbe da noi. Sembra, infatti, che presso questa gente, indossare abiti frivoli, anziché severi e dignitosi, come si richiederebbe per rivestire la più alta opera del Creatore, sia cosa del tutto corrente. Così come ricercare la compagnia, perfino di sconosciuti, sia cosa abituale e per nulla disdicevole. Io stesso ne ho avuta esperienza, quando, essendo giunto in una piazza adiacente al porto, poco dopo sbarcato dal battello, fui apostrofato da una giovane donna che vendeva il pesce e che riconoscendomi per uno straniero subito si offrì di fornirmi i suoi servigi. E chissà di cosa intendesse mia Signora! Si, che me ne fuggii svelto, senza neanche rispondere, per sentirmi poi schernire, da una sonora risata. Dunque, come dicevo, già da questa introduzione Vi sarà facile comprendere in quali pericoli avrei potuto perdermi, se non fossi stato educato ai principi più probi.

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Il pensiero delle Loro Eccellenze e del servizio cui dovevo assolvere fu per me la bussola in quest’isola maliziosa. Subito mi misi al lavoro secondo le istruzioni ricevute alla partenza e per prima cosa, dopo aver analizzato con cura le carte lasciate in buon ordine dall’ottimo e compianto Amministratore, Signor di “S”, stilai una lista di tutti i vostri debitori ai quali feci notificare dal tribunale l’immediata ingiunzione di pagamento. Fu per me assai doloroso constatare che i crediti da esigere e di esito incerto erano ben più numerosi dei debiti da pagare. La bontà dell’ottimo Signor di “S”, che come si evidenzia dai libri contabili, era sempre incline a sconti e dilazioni sui canoni e sui noli, debbo confessarlo, ha prodotto un’autentica voragine nell’amministrazione dei Vs beni in quest’ isola. Di certo sarà stato per troppa indulgenza nei confronti di una popolazione dedita più agli ozi che all’onesto lavoro. Eppure non dovete credere davvero, mia Signora, che il Buon Dio, non abbia compensato gli isolani, dotandoli di una terra scialba e priva di attrattive. Al contrario, l’isola, per chi vi arriva la prima volta, ha tutto il necessario per suscitare un vivo entusiasmo, lodevole, se rivolto all’opera del Creatore. In essa sono diffuse senza risparmio molte bellezze naturali e ogni genere di essenze profumate. I fiori negli orti, nei giardini o sulle riviere, di fronte al mare, sono tra i più belli e colorati che si possano immaginare. Eppure tutta questa bellezza anziché innalzare l’anima degli isolani, ne seduce a tal punto l’indole da spingerli a ricercare le lascive della carne invece che gli splendori del paradiso. Questa gente che vive abitualmente sotto un cielo colorato, di un blu così intenso che neanche uno zaffiro potrebbe rendere il paragone, si comporta con deplorevole dissolutezza. La ricerca del piacere materiale e il goderne senza pentimenti costituiscono una pericolosa corruzione che tutto contamina. Vi direi con sincerità, se non temessi di annoiarvi, mia Signora, dei patimenti passati nell’adempiere gli uffici di cui mi aveva incaricato Sua Eccellenza il Margravio, vostro marito. E di come mi fosse pressoché impedito di tenermi ritirato, secondo i miei austeri costumi, dovendo invece accettare, per non offendere gli usi locali, i molti inviti nelle case dei vostri dipendenti. Forse per ingraziarsi la mia persona in veste d’intendente ero continuamente riverito in sontuose tavolate dove, dopo i molti brindisi, più di una giovane coglieva l’occasione di mettersi sfacciatamente in mostra. E spesso con danze così sfrenate da richiamare alla mente le diaboliche possessioni dei pagani. Dio benedica le nostre gelide pianure e il nostro mare ghiacciato per più mesi all’anno! Ora vedo bene come ciò sia un segno della Sua benevolenza invece che un ostacolo all’operosità degli onesti commerci. Il rigore del nostro clima non consente come nell’isola di C. l’esibizione sfrontata delle peggiori malie.

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Di certo, mia Signora, se fossi un genitore mi guarderei bene dal condurre in questo luogo un’ingenua figliola. La si potrebbe perdere fin dalla prima sera. Sarebbe sufficiente una di quelle notti, così abituali in quest’ isola, in cui la brezza marina sale ad accarezzare i pensieri dimenticati degli uomini mentre si diffonde il profumo delle magnolie o dei gelsomini arrampicati sulle pietre ancora calde del sole pomeridiano…Sarebbe sufficiente, mia Signora, vogliate credermi…Ma se la natura indulge alla più subdola seduzione, va anche detto che i cibi e i vini di cui si nutrono gli abitanti sono paglia gettata al fuoco dei sensi. Quante ore ho passato in penitenza per purificarmi dell’insano piacere provato nel gustare piatti e nettari in cui i colori e i sapori spingevano alla concupiscenza e all’oblio. Per fortuna nella durezza di tante prove non persi mai la speranza di ritornare alle dolcezze delle privazioni cui la mia vocazione mi aveva condotto prima di questo viaggio. Tuttavia non si creda mia Signora che il maligno rinunci facilmente ai suoi propositi. Con franchezza vi dirò che da quando mi sono predisposto a riprendere la strada di casa, sono stato assalito da una malinconia che mi atterra ogni giorno di più. Pur sapendo di come sia l’effetto di tentazioni il trastullarmi in ricordi che addirittura possono sembrare piacevoli e di come mi sia impossibile scacciare dalla mente il riso allegro e cristallino delle fanciulle dell’isola così disinvolte a paragone delle nostre contadine ruvide e scontrose, pure, provo una grande tristezza nell’anima al pensiero che procedendo verso nord a poco a poco il cielo si vada appannando, e da azzurro brillante sfumi sempre più verso il grigio. E di come alla festosa allegria di un sole baldanzoso si debba invece contrapporre il brivido del vento freddo delle lande. Infine, prima di concludere queste poche note, voglio assicurarvi che per quanto attenne l’ufficio che mi fu affidato alla partenza, e vi prego di darne notizia a Sua Eccellenza il Margravio, vostro marito, portai a termine ogni affare, nonostante quanto appena raccontato potrebbe far supporre qualche cedimento nel languore e nell’indolenza. Purtroppo, però, nonostante l’impegno profuso e l’assoluto rigore nel curare i Vs stimati interessi, non si riuscì né da parte mia con la paziente arte della persuasione né da parte del Tribunale del Re tramite le previste citazioni, a rientrare di alcuni modesti crediti, se non in minima parte. Me ne addoloro e scuso, soprattutto per essermi comportato, ahimé, come il precedente Amministratore Signor di “S” che per i canoni non pagati dai Vs. affittuari o altri debitori indigenti, non si rivolse mai all’Ufficiale Giudiziario perché procedesse con i pignoramenti. E questo perché in quest’isola, mia Signora, vogliate credermi, la vita si basa su altre categorie mentali rispetto alle nostre.
Il pieno godimento del sole, del mare e di ogni altra ricchezza donata gratuitamente all’uomo dalla generosità del Creatore è assai più importante di un foglio di carta vergato con parole e formule inventate nella tetraggine degli uffici notarili da funzionari incaricati di certificare, più le sofferenze, che le delizie dell’umanità.

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Ho riflettuto molto mia Signora, su tutto ciò e di come vivendo in quest’ isola si finisca prima o poi per accettarne pienamente il modo di vivere. Così da definire tolleranza, magnanimità, comprensione ciò che da noi sarebbe mollezza, noncuranza, lassismo. Finalmente mi sono liberato di tanti pregiudizi e avendo tutto compiuto, mia Signora, mi permetto di rendervi nota una mia sofferta decisione. Dell’ultimo minuto, o meglio di questo preciso istante, nel mentre che vi sto scrivendo. Ho deciso di restare nell’isola. Forse mi crederete ammattito a un tratto. Come darvi torto, dopo quanto vi ho scritto? E so bene anche che questo non mi aiuterà a comprendere meglio la natura del peccato. Ma forse, mi auguro, mi aiuterà a comprendere meglio la mia natura di uomo. E forse, dopotutto, a convincermi che non dovremmo confondere la gioia di vivere con il male. E i doni di Dio come pericolosi fardelli peccaminosi. Il male io credo vada ravvisato nella rinuncia alla vita. Ecco perché non posso tornare. Dovrò indagare meglio su questi interrogativi. Non posso tornare, mia Signora, fatemi il piacere di compatirmi.
Il vostro umile servitore, Intendente Generale di Sua Eccellenza il Margravio all’isola di “C”.

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