Arance e martello
con la Z di Zoro
di Giada Gentili
“Arance e martello” ha scavallato la linea del mokumentary, del film comico e del racconto grottesco. Raccontare dell'Italia dei nostri tempi iniziava appena a diventare stucchevole (all'incirca dal 1995): sul grande schermo sono passati i precari, presidenti della Repubblica improbabili, dottorandi e ricercatori-spacciatori, ogni punto di vista sembrava esser stato scandagliato. Poi arriva un giornalista con una telecamerina, poche pretese e una storia che per quanto stravagante risulta credibile, che tira su un lungometraggio degno di nota e non-scontato. Nell'agosto del 2011, anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia, della caduta di B., a ridosso del Rubygate, del giaguaro smacchiato e tutta l'allegra compagnia, si narra la storia di un mercato a Roma Sud (non a Sud di Roma, per carità) che rischia la chiusura. Impregnato della romanità alla Verdone e della satira di Zoro, il film ha il grande pregio di sorprendere lo spettatore, sopratutto dalla metà del racconto in poi. “Arance e Martello” è anche un film corale in cui tutti e nessuno sono i protagonisti.
La grossa pecca rimane invece il “troppo 2011”, probabilmente per l'assenza di distribuzione “Arance e Martello” è uscito tre anni dopo i fatti narrati e si sa che gli italiani hanno memoria breve. I rimandi alla figura di Miss Rubacuori (nei titoli di testa), la satira verso Alemanno (sindaco della Capitale allora) potrebbero sfuggire con facilità.
Non sfugge al contrario la critica all'attaccamento delle ideologie (con le falci e i martelli possiamo giusto spaccarci le arance), la tendenza al giudizio facile, alla follia che può, letteralmente, colpire chiunque. Uno spicchio dell'Arancia di Zoro racconta della Roma vera (Totti è compreso nel pacchetto e ce lo ricordano troppe volte), non quella poco tangibile ai più de “La grande bellezza”. Da vedere per gli innamorati di Gazebo, da provare se vi piacciono le arance e portatevi i tranquillanti se siete politichesi convinti.