Delirio Daltonico
di Angelo Zito
Corre il verde
spensierato fanciullo dai lunghi capelli
per sterminate distese
dove l’immobilità del marrone
ne punteggia con insistenza la fuga
e tace
tace il marrone maestoso
fiero della sua forza
del senso del tempo
e imprevedibile sbuca fuori l’azzurro
inconsistente, tenue,
capriccioso e volubile
al pari di bella donna
non sa la durata di sua vita
né gli importa
ma ride, ride,
come una fontana imprevedibile
come l’acqua di un torrente fratta dalla roccia
gli fa eco
più compostamente un giallo
moralista, perbenista,
pieno di tutte le sue contraddizioni
sa cosa vuole
ma non sa cosa non vuole
è aperto e arioso
e subito dopo chiuso in sé
schivo e impenetrabile
è amore e odio
starei per dire
è bianco e nero
ma è giallo.
Lo adocchia con un intento ben visibile
un rosso,
sprigiona a sua insaputa,
ma sarà poi vero?,
una sensualità accesa
rotonda a guisa di sfera
pronta ad aprirsi all’improvviso e a fare un sol boccone
dell’inconsapevole giallo.
Sono ragazzi
sono colori
hanno dalla loro tutta l’irruenza e l’irresponsabilità
della loro giovane età
chi avrebbe in animo di sgridarli?
Un arancione, forse?,
carico della sua esperienza
e della sua riconosciuta autorevolezza
o un blu compassato
presidenzialista
irrimediabilmente votato alla prevaricazione.
Ma candido si affaccia un rosa
smunto, pallido
innamorato di se stesso e delle nuvole
non ha occhi
per altri che non sia uno specchio
e un beige che gli passa accanto
discretamente tentatore
non riesce ad attirare la sua attenzione
e si scioglie
liquefacendosi quasi
al calore freddo della delusione provata.
Non è così un viola
carico delle sue attenzioni
per l’inafferrabile colore del cielo
vorrebbe imitarlo
o contaminarlo con i suoi toni caldi
ma è lontano anni luce
e se ne sta lì impermalosito
e rancoroso
ha mirato troppo in alto
solo i poeti hanno l’illusione di afferrare la luna.
Ecco allora che un argento,
dire freddo è nelle cose,
sibila come un vento
il glaciale disinteresse per tutto che lo circondi
non sa di leggi, non sa d’amori,
non ha ricordi o sogni
è piazzato nel cavo di una nicchia
e sembra attendere il passeggero
per colpirlo alle spalle.
Frivolo, seducente,
ammaliatore di fanciulle smunte
e ammaliatore di fanciulle floride
occhieggiante ganimede
pronto ad offrire la coppa
ricolma di ambrosio nettare
s’avanza con passo di danza
un inconsistente indaco
vanta ascendenze in alto loco
ma la sua scia non lascia il segno
è poca cosa.
E adesso altri e altri
si affacciano
vorrebbero avere un loro spazio
una loro apparenza
e si sfiorano, si toccano, si urtano
una poltiglia blobbosa li trasforma
ne annulla i contrasti,
una babele di lingue e di forme senz’anima,
non c’è una luce ad illuminarli
a farli risaltare, a dargli una identità
è il nuovo che avanza
senza ideali, senza sogni
ma piacciono,
curioso?,
piacciono tanto
e da loro figliano altre generazioni
si rinnovano i verdi,
si moltiplicano,
i rossi hanno scoramenti improvvisi
il blu solo un’idea e niente più
piange il rosa in un angolo
non ha parole il beige
solo l’azzurro continua a ridere
chissà perché?
il giallo si apparenta al marrone
piangono i figli dell’indaco
per non parlare del viola.
Immoto, all’angolo,
riflette tutto, tace,
non ha ricordi o sogni
non sa d’amori o di passato
nascosto nel cavo della sua nicchia
attende il passeggero
per colpirlo alle spalle
l’impenetrabile argento.