I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Anthony Dexter.
Diari di Cineclub - I dimenticati, 119. Anthony Dexter.
Di
Virgilio Zanolla
Il personaggio che propongo oggi è tra i più trascurati e al tempo stesso singolari della storia del cinema americano: pensate, benché abbia preso parte a diciotto film, spesso come protagonista, e sia apparso con buon successo anche in televisione, la sua notorietà è legata a una sola pellicola, peraltro ambiziosa, di scarso successo e colpita da pesanti avversità.
Al cinefilo italiano, il nome di Anthony John Dexter oggi forse suscita pochi richiami: eppure, settantaquattro anni fa esso figurò nelle nostre principali cronache cinematografiche, benché l’attore non abbia mai avuto occasione di attuare in Italia, né in film di produzione o coproduzione nostrana, o sotto la direzione di registi del nostro paese.
Si chiamava al secolo Walter Reinhold Alfred Fleischmann ed era nato a Talmage, un villaggio della contea di Otoe nello stato del Nebraska, dove i suoi avevano una fattoria, il 19 gennaio 1913. Sorto a metà Ottocento e sviluppatosi nel 1881 grazie alla linea ferroviaria tra Kansas City ed Omaha, all’epoca della sua nascita Talmage contava un centinaio di abitanti (oggi sono poco più del doppio); è situato una sessantina di chilometri a nord-est di Filley, un altro villaggetto, che nel 1911 dette i natali a un altro e ben più reputato attore, Arlington Spangler Brough in arte Robert Taylor.
Di origine tedesca, la famiglia Fleischmann era emigrata negli Stati Uniti dalla Turingia col nonno di Walter, Alfred.
Poco più che ventenne, suo figlio Alfred Carl, un pastore luterano, aveva sposato la giovanissima Elizabeth Marie Baetke, che gli dette cinque figli, tutti di sesso maschile: Hubert (1912), Walter, Gilbert (’14), Paul (’17) e Max Fredolin (’18). Dopo la morte della moglie, avvenuta all’età di trentanove anni nel 1927, Carl Alfred si risposò con Edith Marie Strien, di nove anni minore di lui.
Scolaro applicato e ottimo atleta, Walter si formò dapprima al Nebraska Lutheran College di Hebron, dove la sua bella voce primeggiava nel coro, poi, grazie a una borsa di studio sportiva ottenuta come campione di football, poté iscriversi al tuttora attivo St. Olaf College della cittadina di Northfield, nel Minnesota, fondato nel 1874 da immigrati norvegesi protestanti.
Più tardi conseguì la laurea di Master of Arts presso l’università dell’Iowa ad Iowa City, un ateneo già allora piuttosto avanzato rispetto alla media delle università americane, che includeva tra i suoi corsi anche le arti dello spettacolo. Qui ebbe il primo incontro con la scena, prendendo parte ad alcune recite amatoriali, che lo spinsero verso il teatro; sicché poco dopo, col suo diploma e soli 100 dollari in tasca, si recò a New York in cerca di fortuna.
Prima che deflagrasse il secondo conflitto mondiale esordì in palcoscenico a Broadway col nome d’arte di Walter Craig: ma l’esperienza non fu felice. Intanto, il 22 aprile 1940, ventisettenne, aveva sposato la ventunenne Marjorie Jeanne Todd (1919-2013), che lo rese padre di due figlie, Kimberly Elizabeth e Claudia. Walter insisté con la prosa e negli anni 1942-43, ancora a Broadway, apparve come Fedotik nel dramma The Three Sisters (Le tre sorelle) di Anton Čechov, e lavorò nelle commedie Ah, Wilderness! (Ah, deserto!) di Eugene O’Neill, e The Barretts of Wimpole Street (I Barrett di Wimpole Street) di Rudolph Besier. In quest’ultimo lavoro, incentrato sulla storia d’amore tra i poeti inglesi dell’età vittoriana Elizabeth Barrett e Robert Browning, l’interprete femminile era l’attrice Katharine Cornell, che restò colpita dal suo aspetto gradevole e dai suoi modi eleganti.
L’incalzare degli eventi bellici interruppe la sua breve carriera teatrale: arruolato in fanteria, Walter operò nei servizi speciali dell’esercito americano sul suolo britannico, dove al termine della guerra venne congedato col grado di sergente.
Tornato in patria, riprese a recitare. E nel ’49, non accreditato, col modesto ruolo di un impiegato della radio debuttò sul grande schermo nell’ottimo noir La via della morte (Side Street) diretto da Anthony Mann, prodotto dalla Metro Goldwyn Mayer e girato a New York, con quali principali interpreti Farley Granger, Cathy O’Donnell, Paul Kelly, Jean Hagen e James Craig.
A questo punto spostiamoci però ad Hollywood: dove il produttore indipendente Edward Small, consociato con la Columbia Pictures, si apprestava finalmente a realizzare un progetto cinematografico al quale pensava incessantemente da ormai dieci anni: una biografia di Rodolfo Valentino. Già nel 1938, infatti, aveva annunciato l’intenzione di produrre questo film, con Jack Dunn quale protagonista.
Ma portare sullo schermo senza problemi un personaggio come Valentino comportava troppi rischi da correre, e la minaccia di azioni legali l’aveva costretto a fare riscrivere mille volte la sceneggiatura originale stesa da Florence Ryan, tanto che a un dato momento pare circolassero più di trenta bozze del copione, sul quale di volta in volta avevano messo le mani anche Edward Chodorow, Stephen Longstreet, Sheridan Gibney, Frederick J. Jackson, Virginia Van Upp e George Oppenheimer, tanto che il regista designato a dirigere la pellicola, il britannico Lewis Allen, ebbe a definirla ironico «una storia immaginaria e romantica con la recitazione come sfondo». Tuttavia, malauguratamente Small non riuscì a ottenere l’autorizzazione da nessuna delle due ex mogli del divo italiano, la danzatrice Jean Acker e la danzatrice, scenografa, costumista, designer, sceneggiatrice ed egittologa Natacha Rambova: la prima, lesbica, e la seconda, che lesbica non era, creduta tale per il solo fatto di aver collaborato come art director alle creazioni
cinematografiche dell’attrice Alla Nazimova, la più nota omosessuale di Hollywood.
Si continuò a parlare del progetto anche negli anni Quaranta, quando quali ‘papabili’ nel ruolo di Rudy furono via via considerati Del Casino [sic!], Louis Hayward, Cornel Wilde, Frederik Vayder, Louis Jourdan, Helmut Dantine e John Derek; tutti bei ragazzi, ma nessuno che avesse una reale somiglianza con l’attore di Castellaneta di Taranto. Small fece ulteriormente rivedere la sceneggiatura, romanzando la storia di Rudy in modo tale da evitare cause legali sia da parte delle due ex mogli, sia quella dei fratelli di Valentino, Alberto, che viveva e lavorava ad Hollywood, e Maria. Nel frattempo, erano scesi in lizza altri due produttori intenzionati a proporre un film sull’attore: Small si accordò col primo, Jean Grippo, associandolo alla realizzazione della sua pellicola, mentre l’altro progetto, che prevedeva quali interpreti l’improbabile Victor Mature e addirittura Pola Negri, l’attrice del muto ultima amante del divo pugliese, abortì quasi subito.
All’esigentissimo Small restava comunque ancora da trovare il protagonista del film, dato che fino ad allora non l’aveva persuaso nessuno degli oltre 2.000 attori visionati su circa 75.000 candidati. Fu proprio Katharine Cornell a segnalare al produttore il suo giovane collega. Il provino di Walter andò bene, la sua fotogenia e la straordinaria somiglianza fisica con Valentino non mancarono d’impressionare tutti. Tuttavia, per quanto entusiasta Small non si limitò a sceglierlo e assegnargli il nome d’arte di Anthony John Dexter, facendogli firmare un vantaggioso contratto della durata di due anni: affinché si preparasse bene a sostenere la parte, gli fece impartire lezioni di recitazione e danza che durarono diversi mesi.
Il 2 giugno 1950 iniziarono le riprese del film, che si tennero tra il Columbia Ranch e lo Studio Samuel Goldwyn. Coadiuvava Lewis Allen alla regia George Melford, che nel ’21 aveva diretto Valentino ne Lo sceicco. Il film incluse infatti scene tratte de alcune celebri pellicole interpretate dall’attore pugliese: appunto Lo sceicco, Sangue e arena (’22), Notte nuziale (’24) e L’aquila (’25). Truccato, pettinato e abbigliato come Rudy in alcune celebri sequenze, Walter-Anthony impressionò per la sua similitudine: aveva il volto appena più largo e il mento più stretto in punta, ma lo sguardo fermo e fascinoso e la bocca volitiva erano i suoi, e il profilo si avvicinava molto a quello bellissimo del protagonista de I quattro cavalieri dell’Apocalisse; coi suoi 1,78 cm di statura, quattro più di quelli di Valentino, riusciva altrettanto snello e affascinante. Inoltre, molto portato per la danza, dimostrò d’avere appreso assai bene il tango, come si vede nella scena in cui Valentino danza con Lila Reyes (Patricia Medina), che è forse la più iconica del film.
Purtroppo, nonostante gli sforzi di Small (che investì nel progetto 1.300.000 dollari), Rodolfo Valentino (Valentino), apparso nelle sale americane a partire dal 10 marzo 1951, non decollò, caso quasi unico nella carriera di quest’avveduto produttore: gl’incassi al botteghino poterono a mala pena ricoprire le spese, e la critica non s’entusiasmò. Il film ebbe un certo successo soltanto in alcuni paesi del Sudamerica, dove Dexter effettuò una tournée di danza. Ma il peggio doveva ancora venire: perché, costretti a non citare le ex mogli di Valentino nel film; per arricchirne la trama gli sceneggiatori s’inventarono tre storie d’amore dell’attore, una delle quali con la sua partner ne I quattro cavalieri dell’Apocalisse. L’attrice Alice Terry, - moglie di Rex Ingram, il regista di questo film - che era stata la partner di Rudy, indignata fece causa al produttore e a Lewis Allen chiedendo 750.000 dollari per danni. Un’altra causa per motivi d’immagine, chiedendo 500.000 dollari, la promossero i fratelli di Valentino. Ambedue i casi vennero risolti in àmbito extragiudiziale.
Dexter era stato precettato da Small per interpretare un remake de Lo sceicco, ma dopo tale bufera il progetto saltò ed egli fu protagonista dell’avventuroso Salvate il re (The Brigand, 1952) di Phil Karlson, accanto a Gale Robbins ed Anthony Quinn, ricoprendo il doppio ruolo del capitano marocchino Carlos Delargo e di re Lorenzo III di Mandorra. Quella fu la seconda e ultima pellicola prodotta da Small in cui lavorò: alla scadenza del contratto infatti Anthony non lo rinnovò; voleva sentirsi libero di vestire i panni di personaggi lontani dall’amante latino, mentre Small gli offriva soltanto quei ruoli.
I successivi tre film a cui prese parte, sempre da protagonista, furono tutti d’avventura: ne I conquistatori della Virginia (Captain John Smith and Pocahontas, 1953) di Lew Landers, rievocazione romanzata della colonizzazione della Virginia, interpretò John Smith, con Jody Lawrance nella parte della principessa indiana; ne Il tesoro di Capitan Kidd (Captain Kidd and the Slave Girl, ’54) dello stesso regista, fu il capitano William Kidd accanto ad Eva Gabor; e ne Il pirata nero (The Black Pirates, id.) di Allen Harris Miner fu il capitano Zargo ed ebbe quale partner Martha Roth; gli esterni di questa pellicola vennero girati a El Salvador. In quell’anno Anthony cominciò a lavorare anche per il piccolo schermo, apparendo in episodi di alcune serie televisive.
Nel 1956 prese parte a due film: fu Luther Blair nel fantascientifico Fire Maidens from Outer Space, scritto, diretto e prodotto dal britannico Cy Roth, Dominic Rodriguez nella commedia Colui che rise per ultimo (He Laughes Last) di Blake Edwards, accanto al cantante statunitense Frankie Laine. Nel ’57, come Billy the Kid nel western Bill il bandito (The Parson and the Outlaw) di Oliver Drake, tornò ad impersonare un personaggio storico, accanto a Marie Windsor, Sonny Tufts, Jean Parker e Charles ‘Buddy’ Rogers, e fece altrettanto vestendo i panni di Cristoforo Colombo nel comico e fantastico L’inferno ci accusa (The Story of Mankind) di Irwin Allen, accanto a colleghi di fama quali Ronald Colman, Hedy Lamarr, Virginia Mayo, i fratelli Marx, Vincent Price e via dicendo.
Con 12 to the Moon di David Bradley, nel ’60 Anthony tornò alla fantascienza, impersonando il dottor Luis Vargas, membro di un equipaggio che anticipava nella fantasia di nove anni lo sbarco sulla luna. Gli altri film a cui prese parte nel decennio Sessanta, che fu l’ultimo della sua attività, furono il noir Three Blondes in His Life di Leon Chooluck (’61), il fantascientifico Il pianeta fantasma (The Phantom Planet, id.) di William Marshall, la commedia di costume Married too Young di George Moskow (’62), la commedia ad effetto Saturday Night in Apple Valley di John Myhers (’65) e il premiatissimo musical romantico Millie (Thoroughly Modern Millie) di George Roy Hill (’67), accanto a Julie Andrews, Mary Tyler Moore, James Fox e John Gavin. Forse fu proprio la qualità di questa produzione, dopo gli ultimi anni trascorsi a interpretare ‘b movies’, a spingerlo a dire basta e ritirarsi, consapevole che nel cinema e in tv ben difficilmente avrebbe avuto altre occasioni così favorevoli.
Abbandonata la carriera d’attore, e in senso lato il cinema, Anthony riprese il vecchio nome d’arte di Walter Craig e si diede alla didattica, insegnando per una buona decina d’anni inglese, dizione e recitazione alla Eagle Rock High School presso Los Angeles. Nel 1978, raggiunta l’età della pensione, si ritirò nel nord del Colorado, a Greeley, vivendo là con la famiglia, arricchita da quattro nipoti, fino al giorno della sua morte, avvenuta il 27 marzo 2001 all’età di ottantotto anni, due mesi e dodici giorni.