Spuntini per riflettere su ciò che accade intorno a noi
Al centro mondiale della cristianità
Il grande Gioco
Francesco ha dato le carte
di Giuseppe Cocco
Le prime idee che suscita l’immagine di Trump e Zelenskij seduti uno di fronte all’altro in silenzio, sono senza dubbio legate alla forza generatrice di pace del pensiero di Papa Francesco che travalica la sua morte; ma visto il luogo e la postura, come non pensare anche alla confessione.
Significativa anche la figura del vescovo di spalle che riordina la sedia che non è servita per il terzo giocatore, e a me vengono in mente le parole di Trump nei confronti di Zelenskij, sul non avere le buone carte, e così li vedo giocare a tressette col morto fuori della porta della basilica. Sebbene il morto possa essere inteso anche l’assente Putin.
L’accidia, malanno che dilaga nel mondo contemporaneo, e di accidiosi ce n’erano parecchi al cospetto della bara di Papa Francesco, certamente tra i capi di Stati e Governi, ma perché no, anche tra noi il popolo, fratelli in Cristo.
“L’apogeo del sole favorisce l’accidia, malanno che dilaga nel mondo contemporaneo, ma che stranamente è stato derubricato dall’elenco dei vizi capitali.
Oggi se n’è perduta la memoria e, nella scia di Sartre, si parla solo della noia, che è tutta un’altra cosa: normalissima depressione.
Accidia. Cerco nel dizionario: perdita del senso della vita, rinuncia a operare, negligenza, tedio, menefreghismo.
Qualcosa che ti fa dubitare della tua missione e ti risospinge verso l’effimero.”
“Il demoniaco sproloquio sul web dilaga anche perché sono ancora troppo pochi quelli che osano rispondere.
La prima guerra da combattere è contro il peggiore dei silenzi, quello della vigliaccheria.
La classe politica ha il dovere di capire e gestire le tempeste identitarie generate dalla società globale.
Ma l’odio aprioristico è un’altra cosa, è la degenerazione manipolata della paura.
È bestialità. Per questo è urgente trovare un linguaggio antagonista e un canale narrativo emozionale capace di far uscire le parole giuste dai circoli chiusi, dai patetici caffè delle sinistre morenti, e aprire i cuori delle periferie dimenticate. Dobbiamo rispondere a caldo, in modo efficace, alle provocazioni.
I valori di allora, non sono morti: “semplicemente, è diventato difficile ascoltarli in questo frastuono”.
Ma se è così, allora occorrono uomini capaci di ri-umanizzare la velocità, restituire senso alle parole, alle sillabe, alle metafore, al canto.
Gli scrittori, soprattutto, dovrebbero fare in modo che “questo flusso costante di notizie, informazioni, pareri, parole, non perda per strada il suo carico più prezioso: il senso dell’umano”.
Una sfida titanica.
Sono pieno di dubbi: non so se i valori toccati con mano in questo viaggio sopravvivranno.
Di certo, la sfida è di ridar loro voce prima che sia tardi, in questo mondo di plastica, frenetico e iperconnesso.
Gli artigiani della parola hanno un compito importante da svolgere, con urgenza. Brecht scrisse: “Non si dica mai che i tempi sono bui perché abbiamo taciuto”.
Non voglio che i miei nipoti mi rinfacciano la stessa cosa e so che ci sono molti modi di non tacere di fronte all’odio. Si può rispondere con l’anatema, l’ironia, la serena fermezza, la citazione biblica.”
[sintesi dal capitolo “Il demone di mezzogiorno” «Il filo infinito» di Paolo Rumiz]