#362 - 11 aprile 2025
AAAAA ATTENZIONE - Cari lettori, questo numero resterà  in rete fino alla mezzanotte di mercoledi 30 aprile quando lascerà il posto al n° 363 - BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi un po' di SATIRA - Nasciamo nudi, umidicci ed affamati. Poi le cose peggiorano - Chi non s ridere non è una persona seria (P. Caruso) - l'amore è la risposta ma mentre aspettate la risposta, il sesso può suggerire delle ottime domande (W. Allen) - Ci sono persone che si sposano per un colpo di fulmine ed altre che rimangono single per un colpo di genio - Un giorno senza una risata è un giorno sprecato C. Chaplin) - "Il tempo aggiusta ogni cosa" Si sbrigasse non sono mica immortale! (F. Collettini) - Non muoverti, voglio dimenticarti proprio come sei (H. Youngman) - La differenza tra genialità  e stupidità è che la genialità  ha i suoi limiti (A. Einstein). -
Cinema

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Marta Abba

Diari di Cineclub - I dimenticati - 1118. Marta Abba.


Di

Virgilio Zanolla

Marta Abba

Nessuno potrebbe mai definire Marta Abb una «dimenticata». Quand’anche non si considerasse che è stata con la Duse, Vera Vergani, Maria Melato, Emma Gramatica e pochissime altre una delle nostre grandi attrici di prosa nel primo Novecento (e scusate se è poco), a tenerne calda la memoria basterebbero due lungometraggi apparsi nel 2024: Finding Marta, il docu-film di Lorenzo Daniele sulla musa di Pirandello, interpretata da Margherita Peluso, e il film di Michele Placido Eterno visionario, dove un Luigi Pirandello (Fabrizio Bentivoglio) in viaggio verso Stoccolma per ritirare il premio Nobel per la letteratura, rivive il proprio passato e l’amore verso la Abba, interpretata egregiamente da Federica Vincenti. Ma giacché ci occupiamo in prevalenza di cinema, dobbiamo registrare come purtroppo, su questo versante la nostra attrice sia stata particolarmente sfortunata: infatti, nel corso della sua breve carriera artistica prese parte a soli due film. Lo spazio in questa rubrica, pertanto, le è pienamente dovuto.

Marta AbbaMarta Abba

Nata a Milano il 25 giugno del 1900, Marta era la prima figlia di Pompeo Abba, commerciante trapanese, e della piacentina Giuseppina Trabucchi; sei anni dopo di lei nacque la sorella Celestina (1906-92), che fu attrice di buon livello col nome di Cele Abba.
La passione per il teatro e le non ordinarie doti espressive le consentirono d’essere ammessa eccezionalmente, appena quattordicenne, all’Accademia dei Filodrammatici del capoluogo lombardo, dove studiò recitazione con Enrico Reinach e dizione con Ofelia Mazzoni, cominciando prestissimo a esibirsi in palcoscenico, anche presso la scuola di recitazione di Vincenzo Tamberlani: tanto che a diciott’anni si diplomò e nel contempo vinse il premio Castiglioni. Grazie all’insistenza del commediografo Sabatino Lopez, che credeva profondamente in lei, riuscì a persuadere i genitori ad accettare che venisse scritturata dalla compagnia meneghina del Teatro del Popolo, diretta da Ettore Paladini, con la quale nel 1923 esordì professionalmente. L’anno seguente, passata nella compagnia diretta da Virgilio Talli, si segnalò per il temperamento e la squisita sensibilità drammatica nella parte di Nina ne Il gabbiano di Anton Čechov.

Marta Abba

Proprio leggendo una recensione dello spettacolo che poneva in risalto le qualità della giovane attrice, firmata da Marco Praga, Luigi Pirandello decise di vederla in scena; accingendosi a formare e dirigere la Compagnia del Teatro d’Arte di Roma, fondata il 6 ottobre 1924, egli cercava una primattrice: inizialmente aveva pensato a Emma Gramatica, ma s’era poi saggiamente persuaso che per l’interprete che aveva in mente era meglio un nome nuovo, una persona più giovane e plasmabile. Pertanto inviò a Milano il suo assistente, Guido Salvini, per invitarla nella capitale. Nonostante la giovanissima età, Marta pretese, e ottenne, una paga giornaliera di 170 lire, superiore a quella di tutti gli altri attori già scritturati, tra cui Lamberto Picasso; intanto, il capocomico acquisì anche la disponibilità professionale di Ruggero Ruggeri, il più acclamato attore di prosa italiano di quegli anni. Con la nuova compagnia lo scrittore girgentino, allora cinquantasettenne, si apprestava anzitutto a promuovere i suoi lavori teatrali. Il primo incontro tra Pirandello e Marta avvenne il 7 febbraio 1925, e subito il grande drammaturgo rimase affascinato da quella talentuosissima giovane milanese. Il debutto di lei avvenne il 22 aprile del ’25 al teatro Odescalchi di Roma, nella parte della protagonista in Nostra Dea, la «commedia moderna» di Massimo Bontempelli alla sua prima rappresentazione; tra gli altri interpreti, Lamberto Picasso, Enzo Biliotti e l’allora venticinquenne Gino Cervi. Il successo fu notevole, e arrise in particolare a Marta, che con la sua pregnanza scenica incantò tra i molti il grande critico Silvio d’Amico.

Marta AbbaMarta Abba

Per lei, che era innamorata del suo teatro, Pirandello scrisse Diana e la Tuda (1926), L’amica delle mogli (’27), Come tu mi vuoi (’29) e Trovarsi (’32); e dopo le rappresentazioni italiane, portò la compagnia in tournées nelle principali nazioni europee e nel continente americano, suscitando ovunque grande interesse e imponendosi ben presto come il più importante drammaturgo del primo dopoguerra. Marta era la sua musa ispiratrice, l’interprete più calzante delle sue opere teatrali, che talvolta - è il caso di Come tu mi vuoi - sapeva anche arricchire con spunti e suggerimenti. L’esperimento del Teatro d’Arte durò tre anni: nell’agosto 1928 la compagnia si sciolse per sopravvenute difficoltà finanziarie; Pirandello decise di recarsi in Germania, per tentare di promuovere le sue opere nel rigoglioso cinema tedesco: Marta lo raggiunse poche settimane dopo, soggiornando con lui in un albergo di Berlino, in camere separate ma comunicanti.

Marta Abba

Sposato dal 1894 con Antonietta Portulano e padre di tre figli, Pirandello era un marito infelice: per un insieme di cause, tra cui alcuni drammi familiari, fin dai primi anni del Novecento sua moglie aveva sviluppato una forma schizo-paranoide, dove frequenti e immotivati attacchi di gelosia non erano esenti dalle aggressioni fisiche; finché nel 1919 si rese necessario ricoverarla in una clinica per malattie mentali, sulla via Nomentana, dove morì nel 1959, all’età di ottantotto anni. Il suo rapporto professionale con Marta, di lui più giovane di trentatré anni, si sviluppò presto sul piano sentimentale, in un corposissimo carteggio che copre gli anni dal 1926 al 1936, cioè alla morte dello scrittore: ben 798 lettere (560 di lui, 238 di lei), che videro la luce integralmente solo tra il 1994 e il ’95. Tra loro non vi fu mai nulla di fisico, o perlomeno non si hanno prove di ciò: sebbene vi siano velatissimi indizi a proposito di un’«atroce notte» di lui all’Hôtel Plinius di Como nel 1925 e un episodio avvenuto nel ’29 durante il loro soggiorno a Berlino.

Marta Abba

Un vivido ritratto di lei si trova nella descrizione che Pirandello dà di Marta Tolosani, la protagonista de L’amica delle mogli: «bellissima: fulva; occhi di mare, liquidi, pieni di luce». Chiamandola «Marta mia» egli le parla spesso d’amore, ma è consapevole che è la sua stessa rigida morale a confinarlo in una sorta d’impotenza psicologica a chiederle di più; mentre con glaciale eleganza ella glissa su quest’argomento, parla in prevalenza del suo lavoro, lo chiama «caro Maestro» e gli si rivolge col «lei». «Io vivo solo di teatro e per il teatro. Il resto non mi interessa se non quando può darmi un mezzo in più per esprimere un lato della verità che chiarifichi e depuri la mia sensibilità di donna; anzi cerco in tutti i modi di esserlo nel più infinito, ampio e molteplice dei modi, una donna completa nel teatro anche se poi avverrà che nella vita monca ed imperfetta, sarà la mia sensitiva anima femminile ad avere l’ultima parola!» gli scrive una volta. Eppure, alcuni biografi non escludono la possibilità che sia stata lei ad offrirglisi, ricevendo da lui un drammatico rifiuto. Quel che si sa ancora sul loro rapporto, è che nel suo testamento Pirandello destinò a ciascuno dei figli Stefano e Fausto un terzo dei suoi beni, e un sesto rispettivamente a sua figlia Lia e a Marta; in tal modo, oltre a premiare l’attrice, egli volle punire la figlia e il marito Manuel Aguirre, amministratore del Teatro d’Arte di Roma, per aver tentato di farlo interdire a causa delle perdite finanziarie della compagnia; dopo la sua morte, questa sua decisione portò a un contenzioso giudiziario tra i figli e l’attrice, vinto com’era giusto dalla Abba.

Marta Abba

Nel marzo del ’29 Marta tornò in patria e formò una nuova compagnia, puntando molto sugli attori giovani, più consoni ai personaggi del teatro pirandelliano, che costituì il nerbo del suo repertorio: portando a nuovi successi di lavori ormai consacrati come Così è (se vi pare), Il piacere dell’onestà, Il giuoco delle parti, La signora Morli, una e due, Sei personaggi in cerca d’autore, Vestire gli ignudi e La vita che ti diedi, e battezzando novità come Lazzaro (’29), Come tu mi vuoi, Questa sera si recita a soggetto (’30) e Quando si è qualcuno (’33). Ma rappresentò egregiamente anche opere di altri autori: tra le quali Penelope di Somerset Maugham (’30), La vedova scaltra di Carlo Goldoni (’32), La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio (’34, con la regia di Pirandello).

Marta Abba

Sebbene sul piano professionale le loro strade si divisero, i due continuarono entrambi a frequentarsi, sia pure in modo saltuario: e Pirandello, insignito nel ’34 del premio Nobel per la letteratura, pensò a Marta fino ai suoi ultimi giorni, tanto che il personaggio della contessa Ilse nell’incompiuto I giganti della montagna è chiaramente modellato sulla personalità di lei. Quanto a Marta, quell’anno stesso venne chiamata dal grande regista austriaco Max Reinhardt, che la volle come Porzia nello scespiriano Il mercante di Venezia, un memorabile allestimento predisposto in campo San Trovaso per il Festival di Venezia. Nel ’35 entrò a far parte della compagnia Grandi Spettacioli d’Arte diretta da Guido Salvini, dove si segnalò come protagonista nella Santa Giovanna di George Bernard Shaw. Effettuò altre tournées all’estero: nel ’32, in Francia, recitò in francese, con grande favore del pubblico, nell’apologo pirandelliano in tre atti L’uomo, la bestia e la virtù; con eguale successo nel ’36 recitò in inglese, prima in Inghilterra e quindi negli Stati Uniti (a Baltimora, Filadelfia e New York), nella deliziosa commedia Tovarich di Jacques Deval, per la cui interpretazione nel ’37 venne premiata dall’American Dramatic League. Poco prima di lasciare l’Europa ella aveva scritto l’autobiografia La mia vita di attrice, pubblicata nel 1936, dapprima sul settimanale di Roma “L’Italia Letteraria”, poi in tre puntate sulla rivista quindicinale di Torino “Il Dramma”, e infine in volume a cura della Tipografia Europa.

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Conclusi gl’impegni teatrali, il 28 gennaio 1938 Marta sposava a Cleveland Severance Allen Millikin, un ricco industriale nipote del magnate dell’acciaio, di cinque anni maggiore di lei, dando nel contempo l’addio al teatro. Il matrimonio tuttavia di concluse dopo una dozzina d’anni, probabilmente a causa dell’infedeltà di lui: giacché nel ’52, appena ottenuto il divorzio, Millikin sposava Marguerite (Greta) Steckert, e quell’anno stesso Marta rientrava definitivamente in Italia, tornando a stabilirsi a Milano. Qui nel ’53 riprese a recitare, formando una compagnia con Piero Carnabuci, e avviandone simbolicamente l’attività proprio a Girgenti (Agrigento) con Come tu mi vuoi; tuttavia, dopo due anni lasciò di nuovo, e per sempre, il palcoscenico.

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Ma, e il cinema? Si chiederà qualche lettore. Perché se come attrice di prosa qualcuno l’aveva definita «la Garbo del teatro», a rigor di logica la mitica svedese avrebbe ben potuto essere a sua volta definita «la Abba del cinema», in quanto quando nel ’32 interpretò Zara in Come tu mi vuoi (As You Desire Me) di George Fitzmaurice, l’unico precedente del personaggio era proprio quello teatrale dell’Ignota fornito da Marta. Quest’ultima, come del resto Pirandello, si era persuasa fin dal ’29 che con l’avvento del sonoro il cinema rappresentasse la grande occasione per una svolta professionale; un convinzione, la sua, sviluppatasi durante il primo soggiorno americano in tournée. Perciò non appena rientrata in Italia, cercò in vari modi di farsi strada nel mondo della settima arte, tra le altre cose migliorando il suo look. Ma non ebbe buona sorte: per la parte di Gina, la protagonista di Acciaio di Walter Ruttmann (’33), film drammatico tratto da Gioca Pietro!, un soggetto di Pirandello sceneggiato dallo stesso Ruttmann e da Mario Soldati, nonostante le insistenze del drammaturgo, Ruttmann le preferì la ventiquattrenne Isa Pola; tanto che, indignata, il 16 marzo Marta inviò un memorandum direttamente a Mussolini, sostenendo che la Cines l’aveva chiamata a Roma per un provino pur avendo già deciso di assegnare quel ruolo a un’altra.

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Fu lo stesso Duce a raccomandarla quale protagonista femminile del giallo Il caso Haller di Alessandro Blasetti (’33), remake di Der Andere di Robert Wiene (’31): dove Marta vestì i panni di una prostituta, accanto a Memo Benassi e Camillo Pilotto (tra gli altri attori, sua sorella Cele e la giovane Isa Miranda). Il film, noto per essere stato il primo italiano nel quale chi dirige viene indicato con la parola «regista», purtroppo non ci è pervenuto. L’anno dopo, accanto a Nerio Bernardi, Marta interpretò Teresa Confalonieri di Guido Brignone, un dramma storico imperniato sulla figura della moglie del conte Federico Confalonieri, patriota italiano condannato alla carcerazione nella prigione dello Spielberg. Sul “Corriere della Sera” l’autorevole critico Filippo Sacchi definì la sua interpretazione «completa per equilibrio, saldezza e insieme intimo fuoco, agitata commozione»; la pellicola si aggiudicò la Coppa Mussolini quale miglior film italiano al Festival di Venezia. Ma dopo questa partecipazione, ella non ebbe altre offerte dal nostro cinema, né forse le sollecitò: trascorse qualche mese a Londra per studiare l’inglese, e nell’aprile del ’36 tornò in America per Tovarich: forse pensava che dopo Broadway sarebbe potuta sbarcare ad Hollywood, ma le nozze con Millikin mutarono il suo destino. Va detto che come attrice, a partire dal 21 febbraio del ’33 ella si produsse anche in radio, lavorando in commedie e radiodrammi per l’EIAR.

Marta AbbaMarta Abba

Dopo il suo ritiro, Marta Abba visse nella sua villa presso Aulla, in Lunigiana. Nei primi anni Ottanta, vittima di una paresi che la costrinse su una sedia a rotelle, si trasferì a San Pellegrino Terme, tentando disperatamente di ritrovare la salute. Morì a Milano il 24 giugno 1988, un giorno prima di compiere ottantotto anni.

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