#358 - 1 dicembre 2024
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Cinema

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Franca Bettoja

Diari di Cineclub - I dimenticati , 114.


Di

Virgilio Zanolla

Non tutti i ‘dimenticati’ sono tali per qualche disgrazia che ne ha troncato la carriera, come la morte precoce, problemi di salute, contrasti professionali, o a causa dell’altalenante fortuna, che porta cineasti e pubblico a mutamenti nel gusto e nella stima.
Nella ricca e variegata storia della settima arte, c’è stato pure qualcuno che, in certa misura, ha voluto egli stesso scivolare nel limbo dei carneadi, lasciandosi in pratica quasi dimenticare: è il caso di una bravissima attrice italiana mancata solo un paio di mesi fa, attiva tra gli anni Cinquanta e Sessanta, che pur prendendo parte solo a ventitré film ha impresso una traccia indelebile nel panorama del nostro cinema: Franca Bettoja.

Franca BettojaFranca Bettoja

Nata a Roma il 14 maggio 1936, - lo stesso giorno in cui, dal balcone di piazza Venezia, Mussolini proclamava la fondazione dell’impero - Franca era membro di una celebre famiglia di ristoratori e albergatori, oggi giunta alla quinta generazione, che ha le sue origini in Maurizio, un commerciante di vini il quale avviò l’attività ricettiva nel 1875 acquistando un’antica osteria presso la basilica di Santa Maria Maggiore, e mutandola in albergo.
Il suo esordio davanti alla macchina da presa avvenne all’età di diciannove anni, in un’anonima particina nel melodramma Un palco all’opera (1956) di Siro Marcellini, con Aldo Silvani, Isa Barzizza, Alberto Farnese, che attraverso il racconto di un anziano ex direttore di orchestra rievoca le figure e gli amori dei compositori Gioachino Rossini, Gaetano Donizetti e Vincenzo Bellini.
Ebbe molto più spazio alla sua seconda partecipazione, nell’avventuroso Gli amanti del deserto (1957), pellicola di produzione italo-spagnola: uno scontato polpettone mal diretto (da Goffredo Alessandrini, Gianni Vernuccio, Fernando Cerchio e León Klimovsky), male interpretato (da un barbutissimo Gino Cervi, Carmen Sevilla e Ricardo Montalban) e male montato, dov’ella vestì i panni di Zuleika, una giovane donna innamorata del protagonista Said, sultano usurpato, che alla fine viene uccisa per non averlo tradito. Girato in Egitto all’epoca della crisi di Suez, il film risente della confusione del momento, e di dissidi che scoppiarono all’interno della troupe; Franca seppe comunque sfruttare al meglio la natura drammatica del personaggio. Seguì, quell’anno stesso, il melodramma sentimentale La trovatella di Pompei di Giacomo Gentilomo, girato in gran parte a Tivoli; dove però aveva una parte secondaria, gl’interpreti essendo Alessandra Panaro, Massimo Girotti e Carlo Giustini.

La ventiduenne attrice era ormai pronta ad affrontare il suo primo ruolo impegnativo, quando Pietro Germi la volle al suo fianco come coprotagonista de L’uomo di paglia (1958). È la storia di Andrea Zaccardi, operaio, marito di Luisa e padre del piccolo Giulio, uomo alacre e tranquillo, che durante una visita a moglie e figlio al mare conosce Rita Fabiani, una giovane che vive nel suo stesso condominio, fidanzata con Marco, soldato di leva. Tra Andrea e Rita nasce un’attrazione irresistibile, e profittando dell’assenza della famiglia i due intrecciano una relazione. Mentre però Rita si è abbandonata totalmente alla passione, pur essendo sinceramente innamorato di lei Andrea non riesce a staccarsi dalla famiglia, perciò decide di troncare il loro rapporto. Una sera in cui lei telefona chiedendo di vederlo, col pretesto di portare fuori il cane Andrea esce di casa e si avvia al luogo dell’appuntamento; ma il piccolo figlio Giulio, scorgendolo, lo segue; quando Andrea e Rita sono ormai a vista il bambino rischia d’essere investito da un camion che colpisce invece il cane, straziandolo: Andrea accoglie tra le braccia il figlio piangente, e tra lui e Rita corre un definitivo sguardo d’addio. Pochi giorni dopo, mentre la famigliola è per strada si ode la sirena di un’autoambulanza: è venuta a rimuovere il corpo di Rita, gettatasi da una finestra di casa sua, al quarto piano. Andrea confessa la sua colpa alla moglie, che sconvolta, lo abbandona col figlio. Finché la sera di S. Silvestro, nel tornare a casa solo, cupo e disperato, Andrea ritrova Luisa e Giulio. Tutto sembra tornare normale, ma Luisa dice a se stessa che «non sarà mai più come prima, mai più».
Benché si trovasse appena al suo quarto film, e il primo da protagonista, nei panni di Rita Franca offrì una prestazione di sorprendente intensità, sia per la partecipazione emotiva che per la finezza delle espressioni. Tanto che ottenne una nomination al premio Grolla d’Oro quale migliore attrice protagonista, mentre Germi fu candidato alla Palma d’Oro a Cannes quale migliore regista, e il film nel 1959 si aggiudicò il Nastro d’Argento per la migliore regia e il miglior commento musicale, opera del maestro Carlo Rustichelli.

Franca Bettoja

Dopo quest’esito felice, ella venne chiamata a lavorare nel melodrammatico Le insaziabili (Tant d’amour perdu, 1958) di Léo Joannon, accanto a Pierre Fresnay, Gabriele Ferzetti ed Anne Doat: una produzione francese, ispirata dal romanzo di Balzac Papà Goriot e incentrata su due dispotiche sorelle, figlie di un industriale in declino finanziario, che sono innamorate dello stesso uomo; dove interpretò da par suo una di esse, Annie.
Nel 1959 apparve in due film: l’avventuroso Apocalisse sul Fiume Giallo di Renzo Merusi e il drammatico La notte dei teddy boys di Leopoldo Savona. Il primo, una coproduzione italo-francese che ebbe come altri protagonisti Anita Ekberg, Georges Marchal e George Wang, è incentrato sulla distruzione di un ponte sul Fiume Giallo, durante la rivoluzione cinese del 1950; Franca interpreta suor Celeste, una giovane missionaria che ha cura di un gruppo di bambini asiatici orfani. Il secondo, con Geronimo Meyner, Corrado Pani, Enio Girolami, Alessandra Panaro, Massimo Girotti e Andrea Checchi, racconta del ricatto perpetrato da tre studenti di liceo nei confronti del sor Annibale (Mario Carotenuto), proprietario del bar dove sono soliti trovarsi; Franca veste i panni di Orietta Fantoni, sorella di uno dei tre ricattatori.

L’anno dopo, lavorò in altri due film: il drammatico Cavalcata selvaggia di Piero Pierotti e la commedia satirica La mano calda (La main chaude) di Gérard Oury.
Nel film di Pierotti, ambientato nella Maremma del 1870 e definito nei manifesti «il primo western italiano», Franca fu protagonista con Girotti; esso narra l’impossibile storia d’amore tra il bandito Lorenzino e Paola, nipote del marchese di Santa Maura. In quello di Oury, una sorta di parabola in chiave satirica, vengono illustrati i molti spostamenti di un’ingente somma di denaro, che ottenuta dapprima con l’inganno da un uomo maturo a danno di una ricca vedova, dopo il passaggio in più mani finisce ad una buona vecchina, la quale grazie ad essa può tornare al paese natìo; Franca interpreta Christiane, una ragazza che si finge ricca per tentare di attrare a sé il cinico Michel, di cui è innamorata. Tra i molti attori coi quali divise il set vanno menzionati Jacques Charrier, Macha Méril, Paolette Dubost e Alfred Adam.
Per lei, il 1960 fu anche l’anno dell’esordio televisivo, nella miniserie in sei puntate La Pisana, diretta da Giacomo Vaccari e tratta dal romanzo d’Ippolito Nievo Le confessioni di un italiano, trasmessa con grande successo dal 23 ottobre al 27 novembre sul Programma Nazionale (poi Rai Uno); Franca interpretava Aglaura, la sorella di Carlino (Giulio Bosetti), mentre Lydia Alfonsi era la Pisana.

Franca Bettoja

Con Giorno per giorno, disperatamente di Alfredo Giannetti nel ’61 ella ebbe un’altra bella occasione per mettere in luce le sue qualità d’interprete. Il film, opera prima del regista e sceneggiatore futuro premio Oscar, raccontava le drammatiche vicende della famiglia Dominici, composta dal sarto Pietro (Tino Carraro), sua moglie Tilde (Madeleine Robinson) e i figli Dario (Tomas Milian) e Gabriele (Nino Castelnuovo), scossa fino alle fondamenta dalla follia che ha aggredito la mente di Dario. Franca impersonò Marcella, collega di lavoro che suscita un sentimento in Gabriele, tuttavia da lei non corrisposto; per questo ruolo assunto con misura e grande sensibilità, l’anno dopo ella venne candidata al Nastro d’Argento quale migliore attrice non protagonista. Sempre nel ’61, apparve anche nel peplum Orazi e Curiazi di Ferdinando Baldi e Terence Young, come Marzia, figlia di Tullo Ostilio, accanto ad Alan Ladd, e nel bellico Ultimatum alla vita di Renato Polselli, nella parte di Mara Berri, con Cristina Gajoni, Valeria Moriconi, Didi Perego, Claudio Gora e Andrea Checchi: la pellicola è basata sul sequestro di cinque giovani donne da parte di un drappello di soldati tedeschi durante l’ultima guerra, e dalla ribellione che ne segue.

Nel 1962 Franca tornò a lavorare per la televisione, presentando per sette mesi su Rai Uno il varietà di Adriano Mazzoletti e Roberto Nicolosi Tempo di jazz.
Nel cinema interpretò la regina Patricia nell’avventuroso I normanni di Giuseppe Vari, a fianco di Cameron Mitchell, Ettore Manni e Geneviève Grad, e apparve in Sesto senso di Stefano Ubezio, film del quale si sa poco o nulla. L’anno successivo lavorò nella commedia bellica di Sergio Corbucci Il giorno più corto, parodia de Il giorno più lungo uscito qualche mese prima: una pellicola che vide la partecipazione (a titolo gratuito e in cameos) di moltissimi attori, da nomi internazionali quali Annie Girardot, Anouk Aimée, Virna Lisi, David Niven, Simone Signoret, Stewart Granger, Jean-Paul Belmondo e Walter Pidgeon, ai principi della commedia all’italiana e ai principali interpreti del neorealismo rosa. Si trattò della prima occasione in cui Franca apparve in una pellicola dove risultava anche Ugo Tognazzi, sebbene i due non fossero presenti nelle stesse scene. Avendo quale partner Vincent Price ella vestì poi i panni di Ruth Collins nell’horror fantascientifico L’ultimo uomo sulla terra di Ubaldo Ragona, che nel suo genere oggi è considerato un cult-movie.

Dopo d’allora, l’attrice si produsse in tre film d’avventura diretti nel 1964 da Luigi Capuano: fu Isabella Fieschi nello storico Il Leone di San Marco e Samoa, la moglie di Sandokan, in Sandokan contro il leopardo di Sarawak e Sandokan alla riscossa: il personaggio protagonista era interpretato da Ray Danton.
Seguì un biennio di lontananza dal set, forse perché i personaggi che le proponevano non le davano molti stimoli: detto con ogni rispetto, non dev’essere gratificante passare da una Rita Fabiani a una Samoa. A riportarla al cinema d’autore pensò a fine ’66 Ugo Tognazzi, alla sua seconda regia con Il fischio al naso (1967), una mordace satira tratta dal racconto I sette piani di Dino Buzzati: la grottesca storia dell’industriale Giuseppe Inzerna (lo stesso Tognazzi), che ricoveratosi in una clinica per curare un banale fischio al naso, viene spostato di piano in piano sempre più in su, finendo tra gl’incurabili. Ad affiancarlo c’erano Olga Villi (nel ruolo di sua moglie). Franca (nel ruolo dell’amante), Marco Ferreri, Tina Louise, Riccardo Garrone, e, nella parte del padre di Giuseppe, Gildo Tognazzi, il papà di Ugo.

Franca Bettoja

All’epoca, Franca e Ugo stavano già assieme. Com’ebbe a ricordare lei in una bella intervista, all’inizio Tognazzi «era un signore che mi faceva la corte, ma a me la cosa non divertiva molto, perché ero fidanzata e presa da tutt’altre faccende. Lui era un amico di famiglia, conosceva i miei e quando veniva da Milano era nostro ospite [ovvero soggiornava in uno dei loro alberghi]. Io però allora uscivo col mio fidanzato e lo lasciavo a casa a passare tutta la serata con mio padre. Qualche volta andava a ballare con mia sorella: le feste a Cortina d’Ampezzo, per esempio, se l’è fatte tutte con lei, credo di avere ancora le foto di lui che balla con mia sorella e i miei amici». Poi Franca e il fidanzato si lasciarono, e Ugo... si fece sotto. Il risultato fu che l’11 ottobre ’67 i due divennero genitori di Gianmarco, seguito da Maria Sole il 2 maggio 1971; e il 15 agosto 1972 si sposarono a Velletri, dove la coppia aveva definitivamente messo casa. A proposito della richiesta di matrimonio, lei rammentò che un giorno ricevé da lui una sua fotografia, con la scritta: «Può un così bell’uomo sperare di diventare tuo marito?».
Franca intanto era riapparsa in un film, la commedia avventurosa Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? di Ettore Scola (1968), nella parte di Rita, moglie dell’editore Fausto Di Salvio (Alberto Sordi). Da allora, salvo la parentesi di Non toccare la donna bianca di Marco Ferreri (1974) - grottesco western parigino dal «surrealismo dilagante», con la coppia Mastroianni-Deneuve e tanti altri ottimi attori, dov’ella interpretava la moglie di Mitch (Tognazzi) - preferì dedicarsi alla famiglia, senza troppi rimpianti. Massone, con sua madre Marisa e Lia Bronzi Donati fondò nel 1975 la Gran Loggia Femminile d’Italia, di cui fu anche Gran Maestra.
Rimasta vedova nel 1990, tornò sul set per l’ultima volta nel 1993 nel drammatico Teste rasate di Claudio Fragasso, per interpretare Roberta, la madre di Marco (Gianmarco Tognazzi), aspirante skinhead nazistoide.

Tra il 13 dicembre 2022 e il 12 marzo ’23 Castel Sant’Angelo ha ospitato la mostra “Franca Bettoja Tognazzi. La moda di un’attrice”, excursus della sua carriera nel cinema corredato da foto, abiti da sera e dai costumi da lei indossati sulla scena.
Franca si è spenta a Roma, al Policlinico Gemelli dov’era stata ricoverata a causa di una polmonite, il 13 settembre di quest’anno, all’età di ottantotto anni, tre mesi e trenta giorni.

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