#356 - 1 ottobre 2024
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Cinema

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Barbara La Marr

Diari di Cineclub - i dimenticati, 112

Di

Virgilio Zanolla

Nell’ottobre 1937, quando la ventitreenne viennese Hedwig Kiesler firmò il contratto che la legava alla casa di produzione Lowe’s, consociata della Metro Goldwyn Mayer, il patron della MGM Louis Burt Mayer, affascinato dalla sua bellezza, volendo assegnarle un nome d’arte pensò a quello di Hedy Lamarr, in sottinteso omaggio a un’attrice morta undici anni prima, Barbara La Marr, nota con l’appellativo de «la troppo bella». Oggi che Hedy Lamarr viene reputata da molti la più bella donna mai apparsa davanti alla macchina da presa, e, se non i suoi meriti di attrice, almeno quelli d’inventrice le sono stati finalmente riconosciuti, solo pochissimi italiani hanno mai sentito parlare di Barbara La Marr e sanno qualcosa a proposito dei film che interpretò e della sua breve vita.

Barbara La MarrBarbara La Marr

Reatha Dale Watson era il nome al secolo di Barbara, nata il 28 luglio 1896 a North Yakima (oggi Yakima), cittadina dello stato di Washington, secondogenita di William Wallace Watson, redattore di un quotidiano locale, e di sua moglie Rosana, detta Rose, nativa di Cornvallis, nell’Oregon, ma di origine tedesca e inglese. Rose era al suo secondo matrimonio: dal primo aveva avuto i figli Henry e Violet; si era sposata con William Wallace nel 1884 e due anni dopo era nato il figlio William Watson Jr., che negli anni Venti divenne un apprezzato attore di vaudeville col nome d’arte di Billy Devore.

La professione del padre, giornalista sempre in cerca delle migliori occasioni, costrinse la famiglia a frequenti spostamenti: dall’anno 1900 i Watson vissero a Portland nell’Oregon, coi figli William e Reatha e con Violet e il marito Arvel Ross. Oltre a studiare, all’età di otto anni Reatha (che non amando molto il suo nome, peraltro rarissimo, in famiglia si faceva chiamare Beth) debuttò sul palcoscenico, interpretando Little Eva in una versione teatrale de La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe messa in scena da una compagnia di Tacoma (Washington).

Barbara La Marr

Nel 1910 la famiglia si trasferì in California, a Fresno, e l’anno seguente a Los Angeles, dove prese alloggio al 220 di San José Street a Burbank, e Reatha trovò lavoro presso un grande magazzino. Nel frattempo, grazie all’avvenenza del viso e al fisico elegante e tornito aveva esordito come ballerina di vaudeville in spettacoli di burlesque.

Ancor sedicenne, nel gennaio 1913 ella visse una brutta avventura, risoltasi per fortuna senza gravi conseguenze: partì infatti in auto con la sorellastra Violet, il di lei marito e un certo Boxley per una gita di tre giorni verso Santa Barbara, ma durante il tragitto Reatha si persuase che i suoi tre compagni di viaggio non le avrebbero permesso di tornare a casa; per fortuna, davanti alla prospettiva di essere accusati di tentato rapimento essi furono costretti a lasciarla andare. Ma contro di loro scattò una denuncia, il caso giunse in tribunale, dove Reatha testimoniò contro Violet, con gran polverone da parte della stampa; e anche se poi l’inchiesta venne archiviata, alla nostra futura attrice s’insinuò il raccapricciante sospetto che la sorellastra si fosse prestata a far da ruffiana per ‘venderla’ al tale Boxley.

Barbara La MarrBarbara La Marr

Va detto che Reatha - anzi, Barbara La Marr, perché ormai così si faceva chiamare - raccontava frequenti bugie, avendo una sbrigliata fantasia, che anni più tardi avrebbe sfruttato magnificamente in qualità di sceneggiatrice; e va aggiunto che aveva cominciato prestissimo a interessarsi degli uomini: tanto che solo undici mesi dopo quela gita finita male tornò da un viaggio a Yuma, in Arizona, annunciando d’essersi sposata in Messico con tale Jack Lytell, un allevatore di bestiame recente vedovo, che tre settimane dopo era morto di polmonite; di queste nozze tuttavia non esiste alcuna registrazione.

È invece certo che il 2 giugno 1914 sposò un soldato di ventura di nome Lawrence Converse, presentatosi a lei col falso nome di Max Lawrence, in quanto all’epoca era già sposato e padre di quattro figli; l’indomani egli venne arrestato per bigamia, e due giorni dopo morì in carcere, per un probabile coagulo di sangue nel cervello causato dall’ira che lo portò a sbattere la testa contro le sbarre.

Barbara La Marr

Nel corso dei restanti anni Dieci, Barbara si mantenne esibendosi come ballerina a New York, Chicago, New Orleans e altre città del paese; tra i suoi partner in pista ebbe anche Clifton Webb e Rodolfo Valentino.
Nel 1915 attuò all’Esposizione Universale di San Francisco, suscitando l’interesse del magnate William Randolph Hearst, che le dedicò una serie di articoli sul “San Francisco Examiner”: in uno dei quali, l’autrice Adela Rogers St. John raccontò che una sera, nel corso d’un controllo, la polizia di Los Angeles aveva condotto Barbara da un giudice, il quale dopo averla vista decise di farla riaccompagnare a casa, essendo «troppo bella e giovane per stare da sola in quella grande città». Da qui l’appellativo di «troppo bella» che d’allora in poi le calzò come un guanto.

Col secondo marito, il ballerino Philiph Ainsworth, di famiglia agiata, convolò a nozze il 13 ottobre 1916; poco tempo dopo, Phil venne rinchiuso a San Quentin per avere emesso assegni scoperti, sicché nel 1917 la coppia divorziò.
L’anno seguente Barbara sposò un altro ballerino, Ben Deely, col quale si trasferì a New York; qui proseguì a esibirsi in palcoscenico, e cominciò a scrivere soggetti e sceneggiature; Deely aveva il doppio dei suoi anni, era alcolizzato e ludopata: il risultato fu che nell’aprile del 1921 la coppia si separò legalmente e quindi divorziò.

Barbara La Marr

Fin dal 1920 Barbara era tornata a Los Angeles, dove poté finalmente proporre le sue sceneggiature, che destarono subito un certo interesse, lavorando prima presso la Fox Film Corporation e firmando i suoi testi col nome di Folly Lyell, quindi passando alla United Artists, dove venne accreditata come Barbara La Marr Deely. Era molto brava, tanto che guadagnò più di 10.000 dollari imbastendo storie - spesso ispirate alle sue esperienze private - che vennero tradotte in mediometraggi di 50 minuti quali The Mother of His Children e The Rose of Nome di Edward LeSaint, Flame of Youth di Howard Mitchell, The Little Grey Mouse di James Patrick Hogan e The Land of Jazz di Jules Furthman, tutti usciti nel 1920.

A proporla all’attenzione come possibile attrice fu nientemeno che Mary Pickford, la «fidanzata d’America»: che un giorno, avendola notata alla United Artists, l’avvicinò e le disse: - Mia cara, sei troppo bella per restare dietro alla macchina da presa. - In quello stesso anno, Barbara esordì sul set in una piccola parte, nel drammatico Harriet and the Piper di Bertram Bracken. E l’anno seguente, forse per i buoni uffici della Pickford, interpretò due ruoli da donna fatale accanto al suo celebre marito, l’attore Douglas Fairbanks Sr.: nella commedia Come presi moglie (The Nut) di Theodore Reed, dove fu Claudine Dupree, e nell’avventuroso I tre moschettieri (The Three Musketeers) di Fred Niblo, nel quale vestì i panni della perfida e bellissima Milady de Winter. Ebbe anche modo di lavorare in un film di John Ford, il western Piste disperate (Desperate Trails), ancora nel ruolo di una perfida bellezza, Lady Lou. Tutti film di grandissimo esito, che fecero di lei una star, meritandole l’appellativo di «più attraente ragazza del mondo». Nel 1922 ribadì il successo nell’avventuroso Il prigioniero di Zenda (The Prisoner of Zenda) di Rex Ingram, accanto a Ramón Novarro, ancora in una parte di affascinante ‘cattiva’, Antoinette de Mauban.

Barbara La MarrBarbara La Marr

Quell’anno, interpretò con Novarro anche il dramma romantico Trifling Women dello stesso Ingram, ed ebbe una parte anche nel melodrammatico Lo sciacallo (Quincy Adams Sawyer) di Clarence Badger. Nel 1923 apparve in ben otto film, tre dei quali purtroppo perduti: il drammatico The Hero di Louis Gasnier, la commedia Strangers of the Night di Fred Niblo e l’avventuroso ll conte di S. Telmo (St. Elmo) di Jerome Storm. Gli altri erano la commedia The Brass Bottle di Maurice Tourneur; il drammatico Poor Men’s Wives di Gasnier, dov’ella interpretava due personaggi; l’interessante commedia Souls for Sale di Rupert Hughes, incentrata sull’ingresso di una ragazza nel dorato mondo di Hollywood: vi partecipavano come se stessi Charlie Chaplin, Erich von Stroheim, Fred Niblo, King e Florence Vidor, Blanche Sweet, Bessie Love e altri celebri cineasti e attori; il western Sotto la raffica (The Eternal Struggle) di Reginald Barker; e il bellico The Eternal City di George Fitzmaurice: che girato tra New York e Roma e ambientato nelle settimane precedenti la Marcia su Roma, racconta la storia dell’amore contrastato tra il fascista David Rossi (Bert Lytell) e la giovane scultrice Donna Roma (Barbara), sostenuta dal barone Bonelli (Lionel Barrymore), leader comunista. Il film, alla cui sceneggiatura collaborò anch’ella, è stato ritrovato nel 2014, restaurato e proiettato con successo alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone; di là dall’interesse per i cameo di Vittorio Emanuele III e Mussolini nella parte di se stessi, è sintomatico per la simpatia filofascista chiaramente espressa, allora condivisa da buona parte della popolazione americana.

Barbara La Marr

Il 1923 fu anche l’anno in cui l’attrice si sposò per la quarta e ultima volta: lo fece in maggio, quando il divorzio da Deely non era ancora stato registrato. Il suo nuovo marito era il prestante attore Jack Dougherty; ma anche con lui l’intesa durò pochi mesi: i due si separarono l’anno dopo, decidendo però di non divorziare. Intanto, stressata da orari e ritmi di lavoro particolarmente intensi, Barbara aveva cominciato a ricorrere agli stupefacenti: che acquistava da uno spacciatore chiamato ‘il conte’, un attore della troupe di Mack Sennett responsabile d’aver indotto a drogarsi anche Wallace Reid, Mabel Normand, Juanita Hansen e Alma Rubens. Il suo stile di vita non era precisamente il più consono: beveva molto e dormiva pochissimo; inoltre, temendo di finire in sovrappeso s’era sottoposta a drastiche diete.

Barbara La MarrBarbara La Marr

Nel 1924 apparve in quattro film, tutti drammatici: The Name is Woman di Niblo, dove tornò a far coppia con Ramón Novarro, The Shooting of Dan McGrew di Badger, The White Moth di Tourneur, in cui tornava a esercitare un doppio ruolo, contesa tra Charles de Roche, Ben Lyon e Conway Tearle, e Sandra di Arthur Sawyer; quest’ultima pellicola, che la vedeva - forse per la prima volta - assoluta protagonista, è disgraziatamente andata perduta. In essa Barbara (che, non accreditata, aveva collaborato con Winifred Dunn e il regista alla stesura della sceneggiatura), interpretava una donna affetta da un disturbo di doppia personalità. In quei mesi ella ultimò anche la sua ultima sceneggiatura, scritta assieme a Dorothy Yost: il drammatico My Husband’s Wives, diretto da Maurice Elvey e con protagonisti Bryant Washburn, Evelyn Brent, Paulette Duval e Shirley Mason, che uscì a fine anno.
Fu in quel periodo che le venne diagnosticata una tubercolosi polmonare: malattia a cui mal s’addicevano gli stravizi notturni, gli stupefacenti, e pure le diete eccessive.

Barbara cercò di curarsi: nel 1925 prese parte solo a tre film: tre melodrammi di cui fu la protagonista, i primi due - The Heart of a Siren e The White Monkey - diretti da Phil Rosen, non suscitarono particolari entusiasmi; il terzo, The Girl from Montmartre di Alfred Green, costituì la sua ultima apparizione cinematografica. Perché nell’ottobre di quell’anno Barbara ebbe uno svenimento sul set; le venne diagnosticata una nefrite. Gran parte delle riprese erano già state girate, sicché per fortuna della casa di produzione, l’Associated Holding Corporation, servendosi di una controfigura e con l’uso di campi lunghi il film poté essere ultimato abbastanza agevolmente.

Barbara La Marr

Costretta a letto, notevolmente dimagrita, nel gennaio 1926 cadde in coma e si spense il 30 di quel mese, all’età di ventinove anni, sei mesi e due giorni, nella casa dei genitori ad Altadena, sobborgo di Downtown, assistita anche da Paul Bern, un amico produttore, che sei anni dopo sarebbe divenuto lo sfortunato secondo marito di Jean Harlow. L’indomani si tenne la prima proiezione di The Girl from Montmartre: la circostanza dell’improvviso decesso della protagonista conciliò i pareri della critica, che si espresse sulla pellicola e sulla sua interprete in termini molto positivi.

Qualcuno ha scritto che ella morì per essersi iniettata dell’eroina; ciò però non corrisponde ai fatti. L’Associated Holding Corporation accennò alla sua dieta «troppo rigorosa», ma la causa si dové alla tubercolosi polmonare, alla nefrite, allo stato di debilitazione generale. Il funerale dell’attrice si tenne alla Walter C. Blue Undertaking Chapel di Los Angeles, alla presenza di oltre tremila fan; Barbara venne sepolta nel Mausoleo della cattedrale, nell’Hollywood Forever Cemetery. Per il suo contributo all’industria cinematografica è ricordata con una stella nella Hollywood Walk of Fame, al 1621 di Vine Street.
Qualche anno dopo la sua scomparsa, si apprese che Marvin Carville La Marr, il bambino che ella disse d’avere adottato nel febbraio 1923 dopo un viaggio in Texas, era in realtà suo figlio biologico, nato il 29 luglio 1922 da padre ignoto. Barbara l’aveva affidato alla sua cara collega e amica ZaSu Pitts e al marito di lei, il produttore Tom Gallery: adottandolo, essi gli cambiarono il nome in Donald Michael ‘Sonny’ Gallery. Cresciuto, Don Gallery fece per qualche tempo anch’egli l’attore, poi si stabilì in Messico, a Puerto Vallarta, dov’è morto l’11 ottobre 2014; gli sono stati attribuiti flirt con alcune celebri attrici, tra cui Liz Taylor. Donald, che si sposò due volte, non dimenticò mai sua madre: col tempo, riunì una cospicua raccolta d’immagini che la riguardavano.

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