Si fa un gran parlare del ruolo educativo della scuola
Quando i maestri...
...tiravano le orecchie
di Nicola Bruni
Promosso a giugno agli esami di terza elementare con "otto" in tutte le
materie, mi attendeva nella quarta classe della mia sezione, alla Manzoni di
Roma, un maestro che aveva la fama di “cattivo”.
Un mio amichetto più grandicello, e birbaccione, me lo aveva descritto come
un orco manesco, che tirava le orecchie e dava bacchettate agli scolari,
oppure li castigava facendoli stare in ginocchio sui ceci, o in piedi dietro la
lavagna, o fuori della porta, come si usava a quei tempi. Il pensiero che sarei
capitato sotto le sue grinfie mi terrorizzava.
Ma il 1° ottobre del 1950, quando mi presentai a lui, come alunno della IV
C, per iniziare l’anno scolastico, il maestro Emilio De Sanctis mi accolse in
maniera così garbata - mi sorrise, mi accarezzò, mi rivolse parole
rassicuranti - da lasciarmi meravigliato.
D'altra parte, l'amichetto birbaccione (che, tra parentesi, si vantava di averne combinate in classe "di cotte e di crude"), quando gli riferii quella scena, ribatté: "Lui fa così pe' fasse vedé ch'è bbono, invece è cattivo". In realtà, quel maestro “cattivo” era soltanto burbero; e, a differenza di alcuni suoi colleghi, non insultava mai gli alunni e non usava esporre i “somari” alla berlina con il cappello dalle orecchie d’asino in testa.
Della sua severità ho due ricordi
indelebili. Una volta che, in un tema,
mi scappò di scrivere “misimo”
anziché “mettemmo”, lui fece una
tale “tragedia” che mi sarei sotterrato
per la vergogna.
Un’altra volta, mi inflisse un giorno di
sospensione perché, dopo il suono della campanella di uscita, avevo osato
abbaiare (“bau bau”) di gioia. Io, però, non lo dissi ai miei genitori e
l'indomani restai a casa fingendo di sentirmi male.
Comunque, di solito, il giudizio che quel "Signor Maestro" esprimeva sul mio
profitto nei colloqui con mia madre era: “Non c’è malaccio”.