Per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni la tratta che attraversa lo stretto di Bab el-Mandeb
e prosegue in territorio yemenita verso il confine saudita è la più pericolosa al mondo.
In molti restano intrappolati in un inferno di morte, stenti, abusi e violenze
Migranti
Sempre più sulla rotta della morte.
Nel 2023 sono state 97.210 le persone arrivate nello Yemen.
Per lo più provenienti da Etiopia e Somalia.
Per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni la tratta che attraversa lo stretto di Bab el-Mandeb e prosegue in territorio yemenita verso il confine saudita è la più pericolosa al mondo.
In molti restano intrappolati in un inferno di morte, stenti, abusi e violenze.
Articolo di Antonella Sinopoli
Sempre più sulla rotta della morte. Nel 2023 sono state 97.210 le persone arrivate nello Yemen. Per lo più provenienti da Etiopia e Somalia.
Chi scappa, chi vuole ritornare, chi perde la vita in mare, chi – in quel paese di mezzo, lo Yemen – dopo esserci arrivato, resta bloccato e non riesce più né a proseguire verso la meta desiderata, l’Arabia Saudita, né a tornare da dove è fuggito con in tasca tanti sogni e l’indirizzo di qualche parente che ce l’ha fatta.
Lo Yemen, paese in cui è in corso una devastante guerra civile ormai da dieci anni, continua a registrare un aumento del numero di migranti africani. Secondo l’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) ce ne sarebbero almeno 308mila e provengono soprattutto dalla Somalia e dall’Etiopia.
Luogo d’imbarco Gibuti, ma l’intenzione per tutti non è certo quella di fermarsi in un territorio difficile e pericoloso, ma da lì proseguire verso l’Arabia Saudita, la più grande economia del mondo arabo e la terza destinazione più popolare al mondo per i migranti, dopo la Germania e gli Stati Uniti (dati 2020).
La maggior parte, però, finisce per rimanere prigioniero e vittima dei trafficanti, in un sistema di violenze, di stupri se si tratta di donne, di ricatti e persino di “vendita” dell’immigrato da un trafficante all’altro.
E la crisi umanitaria nello stato arabo non agevola la presa in carico di queste persone da parte delle agenzie umanitarie, né il loro (eventuale) rimpatrio. Proprio l’OIM qualche giorno fa ha lanciato una richiesta di finanziamenti urgenti per sostenere il “ritorno sicuro e volontario dei migranti nei loro paesi di origine”.
Intanto dovrebbe far riflettere un dato: che per quanti rimpatri siano stati effettuati negli scorsi anni il numero degli immigrati africani arrivati in Yemen via mare è salito a 97.210 nel 2023, rispetto ai 73.233 del 2022 e ai 27.693 dell’anno precedente, e prima del Covid erano arrivate 138.213 persone.
I migranti usano ormai da decenni la “rotta orientale” o “rotta yemenita”. Si stima che oltre il 90% dei migranti su questa tratta siano etiopi (ed etiopi sono spesso i trafficanti che abusano di loro) e negli ultimi anni si è registrato un aumento della percentuale di donne e ragazze che migrano attraverso questo percorso.
Ma il viaggio dal Corno d’Africa allo Yemen è stato definito dalla stessa Organizzazione per le migrazioni il più pericoloso al mondo sia per le condizioni che i migranti trovano al loro arrivo, sia per la natura stessa del viaggio. E lo dimostrano i frequenti naufragi nel tratto di mare al largo delle coste di Gibuti.
L’ultimo in ordine di tempo si è verificato il mese scorso e vi hanno perso la vita almeno 33 migranti etiopi. Un incidente analogo era capitato solo due settimane prima, in quel caso le vittime furono 38. E secondo le autorità sarebbero circa mille le persone morte o disperse in quel tratto di mare negli ultimi dieci anni.
Eppure, né il pericolo e il rischio di non arrivare a destinazione, né la politica dei rimpatri è servita da deterrente – afferma Enact Africa. La situazione è difficile non solo in Yemen e sulla strada per arrivarci ma anche lì, in quella meta tanto ambita o immediatamente ai suoi confini.
Si parla addirittura di omicidi di massa compiuti nei confronti dei migranti. Tanti i testimoni che hanno raccontato scene terribili. “Ci hanno sparato addosso come se fosse pioggia” titolava un report di nove mesi fa di Human Rigths Watch.
Secondo l’ong, solo tra marzo 2022 e giugno 2023 le guardie di frontiera saudite hanno ucciso centinaia di migranti e richiedenti asilo etiopi che tentavano di attraversare il confine tra i due paesi. E questo orrore, scriveva HRW in quella nota, continua.
E del resto, la ong già negli anni precedenti aveva documentato abusi, torture, campi illegali di detenzione, rapimenti di immigrati al fine di chiedere il riscatto per il rilascio ai familiari rimasti a casa.
Si stima che circa 750mila etiopi vivano e lavorino in Arabia Saudita. E mentre molti emigrano per ragioni economiche, altri – ricorda HRW – sono fuggiti a causa di gravi violazioni dei diritti umani da parte del loro governo, anche durante il recente e brutale conflitto armato nel nord dell’Etiopia.
Nel 2022, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha riferito che di questi 750mila, 450mila sono entrati illegalmente nel paese. E nel 2023 c’era stato un fermo nelle operazioni di rimpatrio volontario proprio a causa del conflitto nelle regioni Tigray e Amhara – tra l’altro non ancora risolto – di migranti provenienti da quelle aree.
Intanto, e torniamo nello Yemen, questo paese di transito dei migranti diretti in Arabia Saudita sta attraversando una delle peggiori crisi umanitarie al mondo, con quasi 4,5 milioni di sfollati interni e più della metà dei suoi 33,7 milioni di abitanti che hanno bisogno di aiuti umanitari.