I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Maurice Ronet
I dimenticati - Diario di Cineclub - 107
Di
Virgilio Zanolla
Quarantuno anni fa moriva a Parigi, appena cinquantacinquenne, uno dei più sensibili e versatili attori francesi: Maurice Ronet; il quale, benché tra il 1954 e il ’76 abbia lavorato anche in Italia, diretto da nove nostri registi in dieci degli oltre cento film interpretati, da noi è singolarmente poco conosciuto. Questo profilo intende modestamente riproporlo all’attenzione dei cinephiles italiani, non solo come attore, anche quale ispirato e originale cineasta, scrittore, e più in generale, uomo di cultura.
Maurice Julien Marie Robinet, Maurice Ronet per i patiti della settima arte, era nato a Nizza il 13 aprile 1927, unico figlio del non ancor quarantaquattrenne Émile Ferdinand Robinet e della trentaduenne Claire Jeanne Augusta Gilberte Salvi, entrambi attori di teatro, lui col nome di Émile Ronet, lei con quello di Paule de Breuil, convolati a nozze solo venti giorni prima. Émile, che per il comportamento sul campo nel recente conflitto mondiale s’era meritato una Croix de Guerre, aveva esordito nel cinema nel ’34, dove sostenne una dignitosissima carriera come caratterista.
Figlio d’arte dunque, fin da piccolo Maurice seguì i genitori in varie tournées che essi intrapresero nel paese; studiò per tre anni al liceo Carnot in boulevard Malesherbes, quindi passò al liceo Michelet di Vanves, sobborgo sud-occidentale della capitale francese. Dal ’39 al ’42 la famiglia Robinet visse a Losanna, e proprio in questa città elvetica nel ’41 Maurice esordì in palcoscenico accanto a padre e madre nella commedia in atto unico Two Cutlery di Sacha Guitry. Tornati a Parigi, la passione per il teatro lo portò nel ’43 a frequentare il Centre du Spectacle de la Rue-Blanche, dove seguì i corsi di recitazione di Julien Bertheau, Maurice Donneaud e Bernard Blier e fece amicizia col futuro scrittore e sceneggiatore Rémo Forlani; quindi s’iscrisse all’appena fondato Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique, dov’ebbe tra gl’insegnanti Jean-Louis Barrault e René Simon.
Tra i secondi anni Quaranta e i primi Cinquanta Maurice fu molto attivo in palcoscenico, dando buona mostra di sé ne Les enfants terribles di Jean Cocteau, nella commedia Un beau dimanche di Jean-Pierre Aumont, e nel Romeo e Giulietta di Shakespeare, in cui vestì i panni di Romeo accanto a Nicole Berger. Ma era già stato catturato dal cinema: nel 1949 il regista Jacques Becker cercava i futuri interpreti del film che aveva in preparazione, Le sedicenni (Rendez-vous de Julliet). L’attrice Brigitte Auber, che avrebbe ricoperto il ruolo della protagonista Thérèse, per il ruolo di Roger Moulin segnalò a Becker Maurice, col quale aveva lavorato in teatro; i suoi buoni uffizi e gli ottimi risultati dei provini a cui egli venne sottoposto persuasero il regista ad assegnargli la parte; una buona parola è probabile l’abbiano messa anche Émile Ronet e Paula de Breuil, dato che nel film sostennero rispettivamente i ruoli del professor Moulin e di sua moglie, ovvero quelli dei genitori del figlio. Presentato quell’anno al Festival di Cannes, Le sedicenni vinse il premio Delluc, e nel ’50 il premio Méliès; straordinario fu il successo che ottenne al botteghino: il film si convertì nel manifesto dell’inquieta generazione dei giovani del dopoguerra, e oltre all’Auber e a Maurice lanciò un numero incredibile di nuovi attori: Daniel Gélin, Nicole Courcel, Pierre Mondy, Capucine, Pierre Trabaud, Françoise Arnoul, Jacques Fabbri, Maria Riquelme, Hélène Rémy, Annie Noël, senza dire di un piccolissimo ruolo, poi eliminato in fase di montaggio, che coinvolse l’allora ancora semisconosciuto Louis de Funés. Maurice vi figurava come lo svagato suonatore di tromba di un complesso jazz (egregiamente doppiato allo strumento da Rex Stewart), in giro per Parigi con alcuni amici su di un’auto anfibia e ansioso di recarsi in Africa.
Subito dopo aver lavorato nel film, egli si recò invece... al servizio di leva. Effettuato il quale, nel 1950 contrasse matrimonio con l’attrice e drammaturga Maria Pacôme (1923-2018), che anni prima era stata sua compagna di corso al Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique. Entrambi appassionati di ogni forma artistica, si stabilirono nell’alta Provenza, a Moustiers-Sainte-Marie, dove si dedicarono alla pittura e alla ceramica, e Maurice, molto amante della filosofia e della letteratura (tra gli scrittori preferiti c’erano gli americani Edgar Allan Poe ed Herman Melville), stese pure alcuni romanzi, che poi cancellò. Ma si erano sposati in troppo giovane età: sicché la loro unione durò pochi anni, e nel ’56 la coppia ottenne il divorzio.
Presto il cinema lo chiamò di nuovo: e con passo assai rapido convertì l’allora sobrio e spettinato Maurice in uno degl’idoli del pubblico femminile non solo francese: il nostro attore infatti, di statura medio-alta, bruno, lineamenti piuttosto belli, sorriso smagliante e intensi occhi azzurri, aveva le carte in regola per affermarsi nel ruolo di jeune premier. I film della svolta divistica furono quelli in costume: Lucrezia Borgia di Christian-Jacque (’53), Casa Ricordi e Casta Diva di Carmine Gallone (entrambi ’54); negli ultimi due, Maurice assunse egregiamente i panni del compositore Vincenzo Bellini Nel ’55, assurto al ruolo di protagonista nel drammatico Gueule d’ange di Marcel Blistène, ribadì il suo talento interpretando al meglio la figura di un gigolò privo di scrupoli morali. A conferma della sua duttilità d’attore, nel film che seguì, il bellissimo Les aristocrates di Denys de La Patellière, impersonò il composto Christophe de Conti, fidanzato segreto di Daisy (Brigitte Auber), l’inquieta figlia del marchese di Maubrun (Pierre Fresnay), e l’anno successivo fu l’ingegnere Laurent Brulard nel thriller romantico La strega (La sorcière) di André Michel, accanto a Marina Vlady e Nicole Courcel; quest’ultima pellicola, che riscosse grande successo e venne premiata con l’Orso d’Argento al Festival di Berlino del ’56, rimase tra le preferite dell’attore. Ancora, nel ’57 riuscì un credibilissimo Michelis in Colui che deve morire (Celui qui doit mouris) di Jules Dassin.
Ma il film che fece di Maurice un interprete di dimensione internazionale fu, nel ’58, Ascensore per il patibolo (Ascenseur pour l’échafaud) l’opera prima di Louis Malle: dov’era Julien Tavernier, un ex ufficiale paracadutista della Legione Straniera, che dopo avere ucciso il marito della sua amante Florence (Jeanne Moreau) rimane bloccato nell’ascensore del palazzo, attirando i sospetti del commissario Cherrier (Lino Ventura). La pellicola, vincitrice quello stesso anno del premio Louis-Delluc, era impreziosita dalla colonna sonora ad opera di Miles Davis e del suo complesso jazzistico, che per questo lavoro ottennero il Grand Prix du disque de l’Académie Charles-Cros; autore della sceneggiatura, tratta dall’omonimo romanzo di Noël Calef, era con lo stesso Malle lo scrittore Roger Nimier: strinsero entrambi una bella amicizia col nostro attore. Esponente della Nouvelle Vague, Malle, come Nimier, militava nella destra francese: e sia pure in modo non ufficiale, anche Maurice si riconosceva in quello schieramento, che negli anni tra i Cinquanta e gli Ottanta accolse registi come Claude Autant-Lara e José Giovanni e attori quali Pierre Fresnay, Alain Delon e Brigitte Bardot. L’ottimo esito del film gli aprì le porte di altre cinematografie: egli venne chiamato a lavorare dal britannico Lewis Gilbert (in Scuola di spie, ’58), dagli argentini Luis Saslavsky (Questo corpo tanto desiderato, ’59), Tulio Demicheli (Duello implacabile, id.), Luis César Amadori (Ultimo tango, ’60), e tornò anche in Italia, per il melodrammatico Il peccato degli anni verdi di Leopoldo Trieste (’60), girato tra Milano e il Tigullio, nel quale impersonò un cinico seduttore, accanto a Marie Versini, Alida Valli, Corrado Pani, Sergio Fantoni e Grazia Maria Spina. La sua partecipazione più significativa del periodo è nel drammatico Delitto in pieno sole (Plein soleil, ’60) di René Clement, dov’ebbe come partners Marie Laforêt e il giovane Alain Delon.
Tratto dal romanzo Il talento di mister Ripley di Patricia Highsmith (1955), la pellicola narra la storia di un assassinio compiuto in mare: Delon, al suo primo vero impegno attoriale, è l’americano Tom Ripley, che prima uccide il ricco Filippo Greenleaf (Maurice), poi ne assume la falsa identità, e gli subentra nelle grazie della fidanzata Marhe (Laforêt). Pubblico e critica convennero nel rilevare la qualità del film e le ottime prove degl’interpreti.
Altri ruoli memorabili attendevano il nostro attore: quello di Walter Saccard ne L’omicida (Le meurtrier, ’63) di Autant-Lara, ispirato da un altro romanzo della Highsmith, e quello di Alain Leroy in Fuoco fatuo (Le feu follet, id.) di Malle, tratto dall’omonimo romanzo (1931) di Pierre Drieu La Rochelle, accanto a Jeanne Moreau, che costituì senza dubbio la sua più impegnativa prova di attore, e al tempo stesso gli dette il più grande successo. Nel film, che quell’anno venne premiato col Leone d’Argento al Festival di Venezia, Maurice interpretava un dandy alcolizzato ossessionato dal desiderio di farla finita, il quale trascorre gli ultimi due giorni prima di spararsi al cuore cercando nei ricordi e nelle antiche amicizie il senso dell’esistenza che sente non appartenergli più; con pochi dialoghi, intensi silenzi e disarticolati monologhi, egli conferì al suo personaggio le stimmate di un’umanità straziata e pregnante.
La sua serietà d’interprete mal si accordava con la reputazione di tombeur de femmes: ma tra la metà degli anni Cinquanta e il decennio successivo Maurice ebbe relazioni con le attrici Nicole Berger, Nicole Maurey, Belinda Lee, Annie Fargue, Sara Montiel, Marthe Keller, Danielle Godet, Anouk Aimée (con quest’ultima, durata un anno e molto intensa), e Betty Desouches. Un’altra sua grande passione erano le auto sportive, e una terza la frequentazione dei locali notturni con gli amici. Nel 1964 fece la sua prima comparsa televisiva nel mediometraggio Il pozzo e il pendolo (Le Puits et le Pendule), diretto da Alexandre Astruc e tratto da un racconto dell’amato Edgar Allan Poe. Dove, nei panni di un condannato a morte vittima dell’Inquisizione, fornì un’interpretazione di grande realismo che non mancò di suscitare elogi da parte dei critici.
Mentre continuava con successo ad apparire in coproduzioni internazionali - come ne I disperati della gloria (Le parias de la gloire, ’64) di Henri Decoin, film del filone bellico che lo vedrà impegnato anche in altre occasioni quali La lunga marcia (La Longue Marche) di Alexandre Astruc e Né onore né gloria (Lost Command) di Mark Robson, entrambi del ’66, il secondo incentrato sulla guerra d’Algeria - Maurice, valendosi per la sceneggiatura della collaborazione di Rémo Forlani e Jean-Charles Tacchella, scrisse e diresse il suo primo film, la commedia poliziesca Il ladro del Tibidabo (Le Voleur de Tibidabo, ’65), che girata a Barcellona, interpretò con Anna Karina e Pepe Nieto, senza incontrare grande fortuna.
Nei tardi anni Sessanta la sua carriera d’attore proseguì ad alto livello con titoli come il drammatico Le scandale - Delitti e champagne di Claude Chabrol (’67), con Anthony Perkins, Stéphane Audran e Yvonne Furneaux, per il quale vinse il premio come miglior attore al Festival di San Sebastián, il thriller Gli uccelli vanno a morire in Perù (Les oiseaux vont mourir au Pérou, ’68) di Romain Gary, con Jean Seberg, Pierre Brasseur e Danielle Darrieux, i foschi Stéphane, una moglie infedele (La femme infidèle, ’69) di Chabrol e La piscina (La piscine) di Jacques Deray, quest’ultimo con Romy Schneider, Alain Delon e Jane Birkin, dove nella trama Harry (Maurice) per gelosia viene ucciso da Jean-Paul (Delon), e Les Femmes di Jean Aurel (id.), in cui il Nostro era l’amante di Brigitte Bardot: in Italia il film uscì tagliatissimo per via delle numerose e lascive scene erotiche.
Negli anni Settanta Maurice si segnalò in parti come quella di Raphaël de Lloris in Raphaël ou le Débauché di Michel Deville (’71), dello straniero nel giallo di René Clément Unico indizio: una sciarpa gialla (La Maison sous les arbres, ’71), del seduttore Giuseppe Laganà nel dramma erotico La seduzione (’73) di Fernando Di Leo, e di Philippe Dubaye nel poliziesco Morte di una carogna (Mort d’un pourri, ’77) di George Lautner, dove per la quarta e ultima volta ebbe tra i partners Alain Delon, assieme ad Ornella Muti, Stéphane Audran, Mireille Darc e Klaus Kinski. I suoi ruoli più consueti erano il cinico seduttore borghese, l’inquieto scrittore in crisi, l’assassino e, più ancora, la vittima: «Con ogni probabilità sono l’attore francese che è stato ucciso più sovente nello schermo» una volta ebbe a dichiarare divertito. Più interessanti furono forse i suoi contributi registici: i documentari L’île des dragons (’73), sui varani dell’isola di Komodo, Mozambique (’74), e soprattutto l’adattamento televisivo Bartleby, tratto dall’omonimo racconto di Melville (’78), che la critica elogiò come un capolavoro. Con lo scrittore e giornalista Hervé Le Boterf Ronet pubblicò nel ’77 un interessante libro d’interviste, Le Métier de comédien. Quell’anno, egli sposò in seconde nozze Josephine Hannah Chaplin, terzogenita dell’indimenticabile regista e interprete di Charlot e di Oona O’Neill; da Josephine nell’80 ebbe il figlio Julien.
Tre anni dopo, il 14 marzo 1983, colpito da un tumore ai polmoni, Maurice moriva a Parigi, all’ospedale Laennec nel 7° arrondissement. La sua salma riposa in Provenza, nel cimitero di Bonnieux, un villaggio del Luberon dove l’attore risiedette fin dalla metà degli anni Sessanta. «Era un grande uomo vivente. Seducente, insopportabile, imprevedibile, avrebbe potuto essere il personaggio di un romanzo», così lo descrisse lo scrittore Éric Neuhoff nel suo libro Les Insoumis (2009).