NOTE SULLA
MEMORIA DEI GIORNI
-Gabriele D'Annunzio: Autore simbolo del Decadentismo italiano, il suo essere perfettamente calato nel contesto politico del tempo e la capacità di farsi interprete dello spirito nazionale gli fecero meritare l'appellativo di Vate.
Nato a Pescara, in Abruzzo, e morto a Gardone Riviera nel marzo del 1938, l'intelligenza precoce gli consentì di pubblicare a 11 anni la prima raccolta di poesie "Primo Vere". Attratto dalla vita mondana, con il primo romanzo Il piacere espresse la sua Weltanschauung di esteta decadente, dedito agli eccessi e considerato una sorta di "divo" ante litteram, per le numerose avventure sentimentali (su tutte quella con l'attrice Eleonora Duse).
Dopo l'esperienza della Prima guerra mondiale, sfruttò il malcontento popolare per guidare l'impresa di Fiume (contesa tra Italia e Jugoslavia), che portò all'occupazione della città, poi liberata dal Governo Giolitti. Vicino al fascismo, assieme a Filippo Tommaso Marinetti fu tra i primi firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti.
Tra le opere principali: i romanzi "L'innocente" (1892), "Il trionfo della morte" (1894) e "Le vergini delle rocce" (1895), la tragedia "La figlia di Iorio" e la raccolta poetica Alcyone (che contiene la celebre lirica "La pioggia nel pineto").
-Walter Chiari: La sua comicità frenetica e surreale, unita alle spiccate capacità parodistiche, ha fatto scuola sul piccolo e grande schermo.
Nato a Verona, da famiglia pugliese, e morto a Milano nel dicembre 1991, Walter Annichiarico, in arte Chiari, si formò come tanti a teatro con la rivista, debuttando al cinema con "Vanità", nel 1946, che gli valse il Nastro d'argento.
Lodato dalla critica per il ruolo di seduttore in Bellissima di Luchino Visconti, divenne in seguito un protagonista della commedia all'italiana e si fece apprezzare anche in TV per sketch memorabili, su tutti il Sarchiapone.
Risucchiato nel 1970 in una brutta vicenda di traffico di droga, da cui venne prosciolto dopo 70 giorni di carcere, ritornò a fatica sotto i riflettori, vittima dei pregiudizi e della censura della RAI. Dal matrimonio con Alida Chelli ebbe un figlio, Simone Annichiarico, che lavora come presentatore televisivo sui canali Mediaset, dopo aver collaborato per LA7 e la TV pubblica.
-Anniversario Vivaldi: Riconosciuto tra i maggiori compositori di musica barocca, il veneziano Antonio Vivaldi fu per diverso tempo ignorato dalla storia ufficiale, anche per via delle scarse notizie raccolte sulla sua vita. Figlio di un violinista e di una sarta, si dedicò soprattutto al genere del concerto solistico e nel suo repertorio figuravano numerose sonate e brani di musica sacra.
La sua opera più nota è "Le quattro stagioni", quattro concerti per violino che mettono in musica i suoni della natura, presa nei diversi momenti dell'anno. Dal canto degli uccelli al paesaggio ghiacciato, la musica riflette nei ritmi il clima di ogni stagione, alternando tempi allegri a tempi adagi.
Nel 2010, a 322 dalla nascita di Vivaldi, Google ha ricordato il compositore con un doodle globale che si richiama al suo capolavoro.
-Pier Paolo Pasolini: Intellettuale tra i più geniali e controversi del Novecento italiano, in varie forme, dalla letteratura al cinema, seppe anticipare le trasformazioni della società italiana, evidenziandone limiti e storture.
Nato a Bologna, il suo primo amore fu la poesia, cui si dedicò scrivendo in vernacolo in aperta contestazione all'egemonia culturale della Chiesa. In particolare predilesse il friulano, per la cui tutela fondò nel 1945, insieme ad altri amici, l'Academiuta di lenga furlana.
Il trasferimento nella Capitale segnò l'ingresso nel mondo del cinema, prima come sceneggiatore e poi come regista, debuttando con Accattone nel 1961. Già dagli esordi dovette fare i conti con la censura, subendo successivamente una sorta di ostracismo per il contenuto forte e provocatorio delle sue opere, portato all'esasperazione in Salò e le 120 giornate di Sodoma, uscito postumo nel 1975.
Nemico giurato dei luoghi comuni e delle ipocrisie della società, affrontò fin dal primo romanzo Ragazzi di vita senza tabù il tema dell'omosessualità maschile. Morì assassinato nel novembre del 1975 e il corpo fu rinvenuto all'idroscalo di Ostia. Nonostante la condanna a Giuseppe Pelosi, sono in tanti a credere che sul delitto non sia stata fatta totale chiarezza.
-Anna Magnani: «Lasciamele tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una, che ci ho messo una vita a farmele!». In questa frase c'è la vera, grande, anima di Nannarella (suo nome d'arte), che aveva la stessa spontaneità e forza drammatica sul set come nella vita reale.
Massima espressione della "romanità" (come lei forse solo Aldo Fabrizi), a Roma venne alla luce e trascorse gran parte della vita, fino alla morte nel settembre del 1973. Come tanti cominciò anche lei a teatro, con l'avanspettacolo, passando dal 1934 sul grande schermo con parti secondarie e sette anni dopo con il ruolo di protagonista in Teresa Venerdì di Vittorio De Sica.
Ad Hollywood iniziarono ad apprezzarla con la sublime interpretazione di Pina nel capolavoro neorealista di Roberto Rossellini (che le fu compagno di vita per un periodo), Roma città aperta, che le valse il Nastro d'argento e venne premiato alla prima edizione del Festival di Cannes, e successivamente con Bellissima (1951) del grande Luchino Visconti.
Affascinato dalle sue qualità recitative il regista Daniel Mann la scritturò per interpretare la giovane immigrata negli USA, Serafina Delle Rose, ne La rosa tatuata. Fu un trionfo per la Magnani, che ricevendo nel 1956 l'Oscar (anticipato dal Golden Globe) come "miglior attrice protagonista", entrò nella storia come prima attrice italiana a conquistare la "statuetta".
Anti-diva per eccellenza, pensò a uno scherzo quando glielo comunicarono e rinunciò a partecipare alla grande "notte di Los Angeles". Tra le poche personalità italiane a vedersi dedicata una stella nella celebre Hollywood Walk of Fame, nella sua quarantennale carriera artistica vinse tra gli altri due David di Donatello e una Coppa Volpi (per "L'onorevole Angelina") alla Mostra del Cinema di Venezia del 1947.
-Dante condannato all'esilio da Firenze: «Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia». Recita così il testo della sentenza emessa dal tribunale cittadino che segnò per sempre la vita del Sommo Poeta e insieme la storia della letteratura italiana.
Verso la fine del XIII secolo, dopo un breve periodo di pace, Firenze era ripiombata nel clima di feroce contrapposizione tra Guelfi, che sostenevano la supremazia del Papa, e Ghibellini, fautori del primato politico dell'imperatore. Questo scenario aveva favorito l'ascesa del ceto mercantile a discapito dell'aristocrazia, attraverso la creazione nel 1282 di un consiglio di rappresentanti delle Arti (corporazioni che facevano gli interessi di una specifica categoria professionale) che affiancava il Podestà nel governo del Comune, in sostituzione del Capitano del Popolo.
Guelfo convinto e iscritto all'Arte dei Medici e Speziali, Dante aveva già al suo attivo diversi incarichi politici ed era uno dei protagonisti della scena istituzionale della sua città. L'autonomia della stessa per lui era un valore sacro da difendere contro qualsiasi ingerenza, sia da parte di sovrani stranieri, sia da parte del Papa. Per tali ragioni accolse come un evento infausto l'ascesa al "soglio di Pietro", nel 1294, del cardinale Benedetto Caetani, favorita dalla rinuncia di papa Celestino V (più che plausibile il riferimento a lui nel verso «colui che fece per viltade il gran rifiuto» del III canto dell'Inferno).
Il nuovo pontefice, che aveva preso il nome di Bonifacio VIII, trovò nel letterato fiorentino un fiero oppositore alla sua politica espansionistica, che a Firenze finì per dividere il partito guelfo in due fazioni: i Bianchi, capeggiati dalla famiglia dei Cerchi ed espressione dell'aristocrazia più aperta alle forze popolari, erano contrari a qualsiasi ingerenza da Roma; i Neri, guidati dai Donateschi e rappresentati dalle famiglie locali più ricche, erano per interessi economici strettamente legati al Papa.
Schierato con i Bianchi, Dante si venne a trovare sempre più isolato dai suoi, oltre che odiato a morte dai suoi avversari, per via della sua partecipazione al Consiglio dei Cento che aveva deciso la messa al bando dalla città degli esponenti più violenti delle due fazioni. A questo punto la strategia di Bonifacio VIII lo attirò in una trappola "letale". Dopo aver mandato Carlo di Valois, fratello di Filippo IV re di Francia, a prendere il controllo del Comune, fece in modo che il Poeta fosse inviato come ambasciatore a Roma per discutere la pace e qui trattenuto oltre il dovuto con l'inganno.
In questo frattempo, Carlo di Valois approfittò dei disordini cittadini per rovesciare il governo "bianco" di Firenze, nominando Podestà il fedele condottiero Cante Gabrielli. Il nuovo Podestà, alleato con i Neri, iniziò un'azione persecutoria nei confronti dello scrittore che, oltre a vedersi saccheggiata la casa, finì sul banco degli imputati con accuse infamanti, tra cui l'estorsione e la baratteria. Quest'ultimo reato (affrontato nei canti XXI e XXII dell'Inferno), assimilabile al moderno peculato, era utilizzato spesso come pretesto per far fuori i propri avversari.
Fu organizzato un processo farsa al quale Dante preferì sottrarsi, presagendo il destino cui sarebbe andato incontro. Si arrivò così alla sentenza del 10 marzo 1302 che condannava in contumacia l'imputato a due anni di confino, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, alla confisca dei beni e al pagamento dell’ammenda di 5000 fiorini piccoli. Al suo reiterato rifiuto di presentarsi davanti al giudice, la pena, estesa nel 1315 ai figli Jacopo e Pietro, fu commutata nella confisca dei beni e nell'esilio perpetuo, con l'alternativa della condanna al rogo se fosse stato catturato.
Ciò per Dante significò dire addio per sempre alla sua amata terra e l'inizio di una lunga fase di sofferenza interiore e di ripensamento della sua poetica, che costituì l'humus ideologico e stilistico del suo capolavoro immortale: la Divina Commedia. La storica sentenza della condanna all'esilio è raccolta nel Libro del Chiodo, attualmente conservato presso l'Archivio di Stato di Firenze.
-Galileo pubblica il Sidereus Nuncius: «Grandi cose per verità in questo breve trattato propongo all'osservazione e alla contemplazione di quanti studiano la natura». Esordisce così il Sidereus Nuncius, uno dei trattati più importanti della storia dell'astronomia, per molti il più prezioso per la portata rivoluzionaria dei suoi contenuti rispetto alla cultura del tempo. Chi lo lesse allora si trovò di fronte a una nuova dimensione da esplorare: l'Universo!
A monte delle scoperte scientifiche fatte da Galileo Galilei durante il suo soggiorno padovano (1592-1610), c'era l'invenzione del cannocchiale o telescopio rifrattore, che egli ebbe il merito di perfezionare adattandola all'utilizzo astronomico. Lo strumento esisteva già e il primo a fabbricarlo era stato l'artigiano olandese Hans Lippershey, all'inizio del XVII secolo. Su questo prototipo si trovò a lavorare lo scienziato pisano che fece in modo di aumentarne la capacità di ingrandimento.
Dopo averne mostrato il funzionamento al cospetto del Senato Veneziano (agosto 1609), dal suo studio di Padova iniziò a scrutare da vicino lo spazio, appuntandosi di volta in volta le sensazionali scoperte: dalla Luna ai satelliti di Giove fino alle macchie solari. Un'attività che, per la natura empirica e il rigore scientifico che la distinguevano, può essere fatta coincidere con la nascita dell'astronomia moderna. I tempi erano maturi perché tutto fosse messo nero su bianco e offerto alla conoscenza del mondo.
Fino a questo momento Galileo, dotato di spiccate capacità scrittorie, aveva scritto due trattati: La bilancetta (pubblicato dopo la sua morte nel 1644) e Le operazioni del compasso geometrico et militare, edito nel 1606. Letture interessanti ed istruttive ma niente in confronto a ciò che stava per dare alle stampe. Il Sidereus Nuncius venne pubblicato a Venezia dall'editore Baglioni, il 12 marzo del 1610.
Già dal titolo, traducibile come "avviso siderale", si preannunciava ai lettori qualcosa di rivoluzionario, che superava i confini del cielo. In quest'ottica ritenne opportuno utilizzare il latino, la lingua ufficiale della scienza e del sapere in generale. Strutturato come un unico discorso, in linea con la forma classica del trattato scientifico, il volume può essere suddiviso, dal punto di vista tematico, in quattro parti.
Nella prima Galilei spiega come sia arrivato a conoscere l’esistenza del cannocchiale e come ne abbia realizzato uno che ingrandisce gli oggetti più di mille volte e li avvicina più di trenta. Nella seconda prende in esame la Luna, la cui superficie descrive, con il corredo di illustrazioni, come un insieme di montagne e avvallamenti (e quindi non levigata come si pensava all'epoca). Nelle ultime due tratta rispettivamente della composizione stellare della Via Lattea (formata da una miriade di corpi celesti invisibili a occhio nudo) e dei quattro pianeti (satelliti) che ruotano attorno a Giove.
Quest'ultima, in particolare, costituiva una verità destabilizzante per il sistema tolemaico, adottato dalla cultura ufficiale, che indicava nella Terra l'unico centro di moto dell'universo. Le conclusioni di Galileo, mettendo in relazione le leggi fisiche della Terra con quelle della Luna e degli altri pianeti, fornivano una conferma alla teoria eliocentrica di Copernico. Come scrisse l'ambasciatore inglese a Venezia, sir Henry Wotton, in una lettera indirizzata al re Giacomo I, quel trattato rischiava di far diventare lo scienziato pisano «o eccezionalmente famoso o eccezionalmente ridicolo».
Prevalse nell'immediato la prima impressione, con le 550 copie della prima edizione del libro che andarono a ruba in una sola settimana. Dopo una seconda edizione illegale uscita a Francoforte nello stesso anno, si dovette aspettare il 1653 (undici anni dopo la morte dell'autore) per vederne una nuova e più curata nelle illustrazioni. Questo ritardo è in parte ascrivibile al clima di ostilità che più tardi si venne formando attorno alla figura dell'autore.
Dopo i primi commenti favorevoli (tra i quali il più significativo arrivò da Keplero), il mondo accademico, composto in gran parte da aristotelici e quindi difensore del sistema tolemaico, cominciò a mettere in dubbio le sue scoperte e a screditarne la fama di scienziato. Parallelamente Galileo entrò nel mirino dell'Inquisizione cattolica che vent'anni dopo lo processò per eresia, condannandolo all'abiura delle sue concezioni astronomiche.
Un grave torto verso una mente eccelsa, cui la Chiesa tentò di porre rimedio soltanto tre secoli e mezzo più tardi, riconoscendo in parte le sue colpe (nell'ottobre del 1992).
-Cesare Beccaria: «Non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che, in alcuni eventi, l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa» è una delle sue riflessioni più significative, che lo pongono tra i padri del pensiero occidentale moderno e tra gli intellettuali più rappresentativi dell'Illuminismo italiano.
Nato Milano e qui scomparso nel novembre del 1794, Cesare Bonesana-Beccarìa, marchese di Gualdrasco e di Villareggio, sposò la filosofia illuminista in seguito alla lettura delle "Lettere persiane" di Montesquieu. Amico dei fratelli Verri, contribuì con loro a fondare l'Accademia dei Pugni, nell'ambito della quale scrisse articoli per la rivista Il Caffè.
Nel 1764 pubblicò il capolavoro Dei delitti e delle pene, un saggio breve in cui biasimava la pena di morte e le forme disumane di tortura diffuse ai suoi tempi, sostenendo la maggiore validità della certezza della pena come deterrente verso la criminalità.