Il frenetico uso del telefonino
Foto libere nei luoghi dell'arte e della cultura
Fotografare nei Musei
di Guido Alberto Rossi
Se in qualunque parte del mondo andate a visitare un museo, noterete, e certamente lo farete anche voi, che oggi tutti hanno il telefonino in mano e scattano tante foto come matti, dedicano magari due minuti per inquadrare e scattare la foto e solo dieci secondi per ammirare il quadro o l’oggetto (a occhio nudo) che ritraggono.
Se poi il fotografo/a è asiatico i tempi si dimezzano, specialmente quelli della visione e del godimento dell’opera dal vivo.
È imbarazzante, ma così va il mondo e forse poi quando tornano a casa guarderanno le foto e non sapranno neanche dove le hanno scattate, se non hanno inserito il geo localizzatore.
I musei, qualunque essi siano, dal Louvre al museo del tappo di Capravilla devono essere meta obbligatoria per il viaggiatore curioso, per non parlare del fotografo professionista di viaggi che è obbligato a visitarli e fotografarli tutti (di solito lo si fa nei giorni di pioggia) in modo da “coprire” anche la cultura e poi generalmente in tutti i musei ci scappa sempre anche qualche buona foto di “gente” locale e no, ma che alla fine serve per arricchire il reportage.
Fino a qualche anno fa c’erano diversi problemi a fotografare le sale dei musei; il primo era che in molti musei era vietato fotografare (in Italia era in quasi tutti) e quindi il professionista doveva chiedere i permessi, mentre il turista veniva subito sgridato dai guardia sale se solo cercava di alzare la macchina fotografica, sempre che non fosse obbligatorio lasciarla negli appositi armadietti dell’ingresso.
Superata la burocrazia, con le macchine analogiche, c’era poi il problema dell’illuminazione, spesso luce mista e ingarbugliata tra faretti al tungsteno, luce calda mischiata ad altre fonti luminose, con ancora altre gradazioni kelvin, che messe tutte insieme, ti facevano diventare pazzo, se riuscivi a compensare l’ambiente il quadro veniva rosa o viceversa. In ultimo c’era, e c’è, il problema dei diritti da pagare per l’utilizzo commerciale.
Oggi non so bene la ragione, ma quasi più nessun museo fa problemi con i permessi (salvo se devi fare cose molto particolare, come staccare i quadri dal muro).
Nella stragrande maggioranza dei casi si accontentano di farti compilare un modulo e i turisti, anche quelli carichi di macchine fotografiche, sono liberi di girare e scattare, sempre e comunque senza flash. Mentre il popolo dei telefonini si accalca e a volte si spintona davanti al pezzo forte.
Ovviamente tutto questo crea problemi d’altro tipo, come l’affollamento intorno ad opere famose, anche perché nessuno molla la postazione conquistata fino che non ha scattato e poi controllato il risultato, magari riscattato e ricontrollato, impiegando spesso un tempo lungo come la fame.
Quello che sto notando è che moltissimi foto-telefonisti hanno pochissimo rispetto per il resto del mondo che li circonda attaccando a suon di click un quadro con la stessa grinta dei paparazzi che corrono dietro a George Clooney sul Lago di Como.
La foto “museale” invece deve essere studiata e costruita con calma e zen, prima di muovere il dito sul pulsante di scatto è indispensabile comporre l’inquadratura partendo dalle cellule del cervello, mentre i soggetti che vi faranno parte sono già dei capolavori e quindi bisogna solo cercare di non sprecare la materia prima.
Ultimo utile consiglio, guardarsi bene intorno prima del clic, perché ultimamente c’è sempre qualche asiatico che ti passa davanti all’obiettivo. Intendiamoci, non ho niente contro gli asiatici è che sono tanti e scatenati.