#341 - 2 dicembre 2023
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letteratura

Rubrica in lingua dell'Urbe dedicata ai Papi del passato
Da Alessandro VI ad Alessandro VII

Giulio De Medici

Papa Clemente VII - 1478- 1523/1534

di Angelo Zito

Giulio De MediciGiulio De Medici

Pe’ li Medici Roma è mejo de Fiorenza,
mejo de lo sportello de la banca,
te do me dai e li traffici so’ er pane quotidiano.
Giulio de Medici, quann’era cardinale,
pe’ fà un piacere all’imperatore Carlo V
aveva favorito l’elezione de Adriano VI l’olandese.
Ner conclave der 1523 er tedesco se sdebitò
e se dette da fà pe’ fallo diventà Papa.
Prese er nome de Clemente VII.
Le cose però non so’ mai così semplici,
tra Papi e Imperatori la ruggine vié da lontano.
Successe cosí che Carlo V co li lanzichenecchi
scese ne li territori der papato e queli, li lanzi,
assatanati da le idee de Lutero e in più affamati
e pure un po’ appestati, sfuggenno all’ordini der capo,
se spinsero fino a Roma e la misero a fero e foco.
Fu una stragge. A gnente poi varsero le scuse
de l’imperatore, a frittata era fatta.
Come Iddio volle e paganno quello che c’era da pagà
le cose in seguito s’aggiustorno.
Er Papa poco capace ne l’affari de Stato
fu però ‘na mente illuminata a trattà co l’artisti.
Pensa che a lui venne l’idea de chiamà Bonaroti
pe’ pitturà ER GIUDIZZIO UNIVERSALE
sur muro de fonno a la Sistina.
Solo pe’ questo j’accenneresti ancora oggi un lumino
su la tomba che er Sangallo j’ha fatto
a Santa Maria sopra Minerva.
Doppo de Adriano VI inquisitore
tornareno a galla quelli de Firenze
e venne fora er cuggino de Leone,
li Medici se sà so’ gran dottori,
e Giulio diventò Cremente Sette.
Sempre impicciato a fà quarche alleanza
co’ le monarchie potenti de quer tempo,
mó stava co una, mó co l’artra,
dava li resti a tutti come in banca.
Solo nun mise bocca co’ Lutero,
co li tedeschi è mejo a stà lontani.
Tante vorte litigò e fece pace
cor grande imperatore Carlo V,
quello, incocciato da tutto quer sole
che splendeva da le parti sua,
je mannò li sordati a chiede er conto
e fu così che saccheggiorno Roma.
“Pijamo pe’ passetto, famo presto,
arivati a la Mole semo sarvi”
nun aveva fatto li conti co’ li lanzi
che a Castello già c’ereno arivati
e lì rimase sette mesi ar fresco
fino a che nun pagò la cauzzione.
Quelli poi je bruciareno la Villa
costruita sopra a monte Mario.
Pensa ar distino come te vô’ male,
l’aveva intitolata a la Madama,
la fija de l’imperatore Carlo V
che aveva scatenato er putiferio.
E co’ Arbione s’arivò a lo scisma.
“Pare che Errico VIII d’Inghirtera
se vole separà da Caterina,
smania pe’ piasse la Bolena
che cià li fianchi boni pe’ fà fij”
Er papa da st’orecchio nun ce sente
“Er divorzio te lo da solo che Iddio”
Da allora l’anglicani pe’ ripicca
se fecero ‘na Cchiesa tutta loro.
Solo co’ Bonaroti je tornò er soriso,
a vedello arampicato sur pontile
mentre pittava er giudizzio universale
sur fondo de la cappella a la Sistina.
Insomma un papato un po’ a la fiorentina
so’ tante più le ombre de le luci
e si lo vedi ne la medaja de Cellini,
cor naso a punta e l’occhio malandrino,
capischi che quer mestiere nun s’inventa.
Si ciai la stoffa pe’ fà er Papa a Roma
è un’impresa che pô dà quarche frutto.
Sempre che su la strada der Signore
nun venghino a camminane li tedeschi.

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