#340 - 18 novembre 2023
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Artisti dimenticati

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Susan Peters

Diari di Cineclub - I dimenticati, 102.

Di

Virgilio Zanolla

Può un’attrice giovane, bella e bravissima, dall’avvenire molto promettente, morire per infelicità? A quanto pare sì, ce lo insegna la storia del personaggio che propongo oggi all’attenzione del lettore. Perché non diversamente dalle persone che praticano qualsiasi altro mestiere, anche attori e attrici si possono identificare e ripartire in più tipologie: ebbene, Susan Peters appartenne senza dubbio a quella dei bravi e sfortunati.

Susan PetersSusan Peters

Si chiamava in realtà Suzanne Carnaham ed era nata a Spokane, città nello stato di Washington, nell’Ovest americano, il 3 luglio 1921, prima dei due figli del ventottenne Robert Houstan, ingegnere civile d’origine irlandese, e della ventinovenne moglie Abby (Abigail) Pattenaude, d’origine francese e pronipote del grande Robert Edward Lee, generale in capo dell’armata confederata nella guerra civile americana; nel ’23 nacque suo fratello Robert jr. Suzanne era ancora infante quando la famiglia si trasferì a Portland, nell’Oregon, dove purtroppo nel ’28 suo padre perse la vita a causa di un incidente stradale, sicché Abby si trasferì coi due figli prima a Seattle, poi a Los Angeles, presso sua madre Maria, che era dermatologa. Mentre lei lavorava in un negozio d’abbigliamento e gestiva gli affari di un condominio, la sua primogenita studiò alla Laird Hall School for Girls, poi alla LaRue School di Azusa, e alla Flintridge Sacred Heart Academy di Los Angeles. Negli anni del liceo, per aiutare madre e fratello prestava servizio fuori orario in un grande magazzino. «Eravamo poveri ma ce la siamo cavata e ci siamo divertiti» ebbe a dire in seguito di quel periodo. Suzanne, che si era fatta una bellissima ragazza dai lunghi capelli bruni, il profilo affilato e gli occhi fondi e lucenti come stelle, snella, tornita e con gambe perfette, amante degli sport e della vita all’aria aperta, giocava a tennis e praticava con successo nuoto ed equitazione: era così brava coi cavalli che rimediava spesso somme di denaro per domarne alcuni e occuparsi di loro.

Susan Peters

Iscrittasi alla Hollywood High School, dopo l’ultimo anno di studi scelse di frequentare un corso di recitazione, conscia del fatto che la professione d’attrice, essendo remunerativa, le avrebbe permesso di aiutare la famiglia. Nel 1939 firmò il contratto con un agente cinematografico e in giugno si diplomò al corso di recitazione e ottenne una borsa di studio per la School of Dramatic Arts fondata e diretta dal grandissimo Max Reinhardt. Qui, durante una recita del dramma Holiday di Philip Barry, venne notata da un talent scout della Metro Goldwyn Mayer, che la fece esordire davanti alla macchina da presa come figurante nel ruolo di un’invitata a una festa nel film Peccatrici folli (Susan and God, 1940) di George Cukor, con Joan Crawford, Frederic March e Rita Hayworth. Seria, professionale, ma anche molto apprensiva, Suzanne assunse l’impegno con tanto scrupolo che a un certo punto svenne sul set. Nonostante ciò, o forse proprio per questo motivo, venne presa in simpatia da Cukor, che le fece dare lezioni private dall’insegnante di recitazione Gertrude Vogler: il regista di Pranzo alle otto e Margherita Gauthier credeva nel suo talento, e non si sbagliò.

Susan PetersSusan Peters

Ai primi del ’40 Suzanne superò un provino alla Warner Bros. Pictures, che in seguito le offrì un contratto. Col suo vero nome, ma spesso non accreditata, di lì al ’41 prese parte a varie produzioni, talvolta di una certa fama. Il primo ruolo di qualche spessore l’ottenne nel western I pascoli dell’odio (Santa Fe Trail, 40) di Michael Curtiz, con Errol Flynn e Olivia De Havilland, dove impersonò Charlotte Davis, una giovane donna di Boston innamorata di un ufficiale del Kansas (il futuro generale Custer, interpretato da Ronald Reagan). Nel gangsteristico Il terrore di Chicago (The Big Shot, ’42) di Lewis Seiler interpretò Ruth Carter, la fidanzata di un detenuto, lavorando accanto ad Humphrey Bogart. Proprio nel ’42 la Warner Bros. la sollecitò ad assumere un nome d’arte, che alla fine fu Susan Peters, e tuttavia decise di non rinnovarle il contratto. Nel frattempo, ella aveva intrecciato una relazione con l’attore Philip Terry, futuro terzo marito di Joan Crawford; conclusa la quale ne strinse una con l’aviatore, regista e produttore Howard Hughes, destinata anch’essa a breve durata.

Susan Peters

Suzanne-Susan venne contattata dalla Metro Goldwyn Mayer per ricoprire il ruolo di Cora Edwards Bowzer nella commedia drammatica Tish di S. Sylvan Simon (’42). Questa pellicola le cambiò la vita: perché persuasa delle sue potenzialità d’attrice, la MGM le fece firmare un contratto per vincolarla ai suoi studios. Inoltre, sul set del film ella conobbe l’allora attore Richard Quine (1920-89), che interpretava Ted Bowser; col quale nello stesso anno recitò anche nel drammatico Il nuovo assistente del dottor Gillespie (Dr. Gillespie’s New Assistant) di Willis Goldbeck: i due s’innamorarono, e il 7 novembre 1943 si sposarono presso la Westwood Community Church a West Los Angeles. Se nella commedia La doppia vita di Andy Hardy (Andy Hardy’s Double Life, id.) di George Brackett Seitz ella apparve solo nella breve scena finale con Mickey Rooney, nel fortunato dramma romantico Prigionieri del passato (Random Harvest, id.) di Mervin LeRoy, con Greer Garson e Ronald Colman, dove interpretò Kitty Chilcet, una giovane innamorata del proprio zio, la sua prova davvero eccellente le meritò il plauso della critica e una nomination agli Oscar del 1943 quale migliore attrice non protagonista.

Susan Peters

Dopo quella performance, la MGM puntò finalmente su di lei affidandole un ruolo da protagonista nello spionistico Il segreto del golfo (Assignment in Brittany, ’43) di Jack Conway, accanto a Jean-Pierre Aumont, nel quale Susan impersonò con successo Anne Pinot, una contadina francese. Nel successivo Young Ideas, una commedia romantica diretta nel ’43 da Jules Dassin, in cui vestì i panni di Susan Evans, divise la scena con Herberth Marshall e Mary Astor. Fu poi Nadya Stepanova nel bellico e melodrammatico La canzone della Russia (Song of Russia, ’44) di Gregory Ratoff, accanto a Robert Taylor. Incentrato com’era sull’amicizia con la nazione allora alleata contro i nazisti, questo film, che narrava della storia d’amore tra un famoso direttore d’orchestra americano e una contadina-pianista russa, è forse da consideare come l’omaggio più lusinghiero del cinema americano pre-guerra fredda verso il paese futuro grande antagonista. Non vi si parla di comunismo, anche se appare Stalin mentre rivolge un discorso radiofonico alla nazione in armi, ma la semplicità, la fratellanza e il folclore del popolo russo vengono descritti con accenti commossi.

Susan Peters

È facile immaginare come solo pochi anni dopo pellicole di questo genere siano state elegantemente dimenticate, nel timore del nuovo clima di ‘caccia alle streghe’ fomentato dal maccartismo. Il personaggio a cui con grande sensibilità aveva dato vita ne La canzone della Russia meritò a Susan nuova attenzione da parte della critica: il recensore di “The Hollywood Reporter”, la definì «un’attrice drammatica di prim’ordine». Considerata ormai una star e uno dei punti di forza della MGM, sul finire del ’44 Susan apparve nella commedia Dinamite bionda (Keep Your Powder Dry, ’45) di Edward Buzzell, nella parte di Annie Darrison, una giovane col marito combattente in Europa, dividendo il set con Lana Turner e Larraine Day. Ella lavorò poi in qualche scena del drammatico Secrets in the Dark di Jules Dassin.
Il suo successo professionale sembrava finalmente consolidato; il matrimonio andava a gonfie vele, la vita pareva sorriderle... Ma un perfido destino era in agguato con tre drammatici avvenimenti. Susan ebbe dapprima un aborto spontaneo, le cui conseguenze la tennero lontano dal set per diversi mesi. Quindi, il 1° gennaio del ’45, lei e il marito partirono assieme al cugino di questi e a sua moglie per una battuta di caccia alle anatre sui monti Cuyamaca, alle spalle di San Diego; nel corso del tragitto, da un fucile di calibro 22 partì un colpo accidentale che raggiunse la sua spina dorsale: Susan venne portata d’urgenza al Mercy Hospital, circa 105 km a nord, dove fu operata; ma ledendo il suo midollo spinale il proiettile l’aveva paralizzata dalla vita in giù, costringendola a muoversi sopra una sedia a rotelle. Sicché, quasi da un giorno all’altro ella fu costretta a rinunciare ai futuri progetti cinematografici, tra i quali anche Secrets in the Dark, film la cui lavorazione a causa del suo infortunio finì per essere annullata. Per combattere la tristezza e la depressione che la minacciavano, d’intesa col marito decise di adottare un bambino, così il 17 aprile ’46 i Quine divennero genitori di Thimoty Richard, nato appena dieci giorni prima.

Susan Peters

Nel dicembre dello stesso anno il terzo tragico evento: colpita da un attacco di cuore le morì la madre, che l’aveva amorosamente vegliata in ospedale per tutto l’arco della sua permanenza lì. Per Susan fu un altro colpo terribile. Tentò coraggiosamente di riprendersi: acquistò un’auto dotata di acceleratore e freni manuali per poter guidare dopo la paralisi, e riprese a cercare parti che fossero confacenti al suo nuovo stato. Ricevé diverse proposte per lavorare in radio, ma accettò solo di essere ospite nella serie Seventh Heaven nell’episodio dell’11 dicembre ’45 accanto a Van Johnson. La MGM le pagò le spese mediche, e continuava a versarle uno stipendio settimanale di 100 dollari: ma non era facile trovare progetti che la soddisfacessero. Ricordò l’attrice, infastidita per le indirette speculazioni sulla sua disgrazia: essa «si ostinava a mandarmi sceneggiature di Pollyanna [personaggio letterario creato nel 1913 dalla scrittrice Eleanor Hodgman Porter: è una ragazzina orfana allevata dalla zia, che conquista tutti col suo carattere gaio ed affabile, e perde temporaneamente l’uso delle gambe a causa di un incidente] su ragazze storpie che erano tutto dolcezza e luce, e continuavo a rifiutare». Tra quei ruoli c’era anche quello di Meg, una ballerina resa inabile a esibirsi per una lesione alla colonna vertebrale, ne La danza incompiuta (The Unfinished Dance, ’47) di Henry Koster; dopo il suo rifiuto, la parte andò alla bravissima Margaret O’Brien. Andò a finire che nel ’47 il contratto di Susan con la MGM venne rescisso. Quell’anno, per le incompatibilità sorte dopo l’incidente, lei e il marito si separarono e il 10 settembre del ’48 ottennero il divorzio; il piccolo Thimoty fu affidato a Quine.

Susan Peters

Su suggerimento dell’amico attore Charles Bickford, ella propose alla Columbia Pictures di realizzare un adattamento cinematografico del romanzo di Margaret Ferguson The Sign of the Ram, imperniato sul personaggio di una donna paraplegica, Leah St. Aubyn, che a causa della gelosia rende un inferno la vita del marito e dei figli. La Columbia fu entusiasta dell’idea e assegnò la regia del film a John Sturges. Il segno dell’Ariete, questo il suo titolo italiano, uscito nelle sale il 3 marzo 1948, vedeva Susan nella parte di Leah, Alexander Knox in quella del marito Mallory e Phyllis Thaxter in quella della segretaria Sherida Binyon. Per la nostra attrice, il film - l’ultimo dei venticinque a cui prese parte - fu «una veria sfida»; purtroppo, nonostante l’ennesima ottima prova che fornì di sé, la pellicola non persuase del tutto la critica. Susan continuò a lavorare, stavolta in teatro: nei drammi Zoo di vetro (’49) di Tennessee Williams, nel ruolo di Laura Wingfield, modificato in alcuni tratti con la supervisione dell’autore per consentirle di apparire su una sedia a rotelle, e I Barrett di Wimpole Street (’50) di Rudolf Besier, dove impersonò la poetessa Elizabeth Barrett Browning, che fu anch’essa invalida agli arti inferiori. Due produzioni che le valsero il plauso della critica. Interpretò poi la protagonista Susan Martin nella serie televisiva Miss Susan, diretta da Calvin Jones e trasmessa sulla NBC: storia di un’avvocata anch’ella resa disabile da un incidente. La serie venne girata a Filadelfia a partire dal 12 marzo del ’51 e andò avanti fino al 28 dicembre dello stesso anno, quando un peggioramento delle condizioni di salute di Susan ne impose la chiusura; a incidere fortemente sulla sua depressione fu la difficoltà a trovare nuove opportunità come attrice.

Susan Peters

In quel periodo ella avviò una relazione col colonnello dell’esercito americano Robert Clark: si fidanzarono, ma poco dopo lui ruppe il loro legame. Questa circostanza costituì un nuovo colpo per le condizioni fisiche e psicologiche dell’attrice. Susan si trasferì presso il fratello a Lemon Cove, un villaggio ai piedi della Sequoia National Forest, circa 250 km a nord ovest di Los Angeles. Stentava a riprendersi: la depressione l’aveva spinta a un’anoressia nervosa; a metà del ’52 si ricoverò per qualche settimana nel vicino ospedale di Exeter, per sottoporsi a una procedura d’innesto cutaneo. Tornata dal fratello, visse in isolamento; per l’anno successivo, meditava di avviare una tournée dello spettacolo I Barrett di Wimpole Street, ma smagriva e andava perdendo le forze. In agosto confidò al dottor Manchester, il suo medico: «Mi sto stancando terribilmente. Penso che forse sarebbe meglio che morissi». Susan si spense il 23 ottobre di quell’anno al Memorial Hospital di Visalia, una ventina di km ad ovest di Lemon Cove, all’età di trentun anni, tre mesi e venti giorni. Il dottor Manchester ne attribuì la causa a un’infezione renale cronica cagionata dalla paralisi e a una polmonite bronchiale; ma si accertò che il decesso venne accelerato dalla disidratazione e dalla fame autoindotta, proprio perché ella aveva ormai «perso la voglia di vivere». I suoi funerali si tennero il 27 ottobre a Glendale, dove l’attrice venne sepolta accanto alla madre nel Forest Lawn Memorial Park. Una stella sulla Hollywood Walk of Fame, al 1601 di Vine Street, ricorda il suo contributo al cinema.

Susan Peters

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