#339 - 4 novembre 2023
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Cinema

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Dora Gerson

I dimenticati, 84. Dora Gerson. Diari di cineclub n°103

Di Virgilio Zanolla

Non so se nel cinema si assegni anche un Oscar della sfortuna: ma se c’è, credo che tra attori e cineasti pochi possano esibire altrettanti ‘titoli di merito’ della germanica Dora Gerson: la cui non lunga vita, conclusasi in modo tragico, è stata condizionata da pesanti periodi negativi, che hanno circoscritto i suoi rari e brevi momenti di serenità.

Dora Gerson

Dorothea Gerson, in arte Dora Gerson, era nata a Berlino il 23 marzo 1899, da genitori ebrei ed entrambi di origini polacche.
Attratta dalla recitazione fin da bambina, non appena ultimò gli studi della scuola dell’obbligo s’iscrisse alla scuola di recitazione diretta dal famoso regista, attore e produttore teatrale, nonché regista cinematografico e drammaturgo austriaco Max Reinhardt (1873-1943) - un vero gigante della cultura, forse il personaggio più prestigioso del teatro non solo tedesco di quei decenni: la Reinhardts Schauspielschule des Deutschen Theaters, dove a vent’anni ottenne di diplomarsi.
Oltre a recitare, Dora amava moltissimo cantare: e poiché possedeva di una voce sottile, suadente, armoniosa e ricca di vibrazioni, nel 1919 esordì come cantante e attrice in quella che l’anno seguente sarebbe divenuta la Holtorf-Truppe, compagnia teatrale indipendente fondata e diretta a Heide, nello Schleswig-Holstein, dal pittore, scenografo e scrittore Hans Holtorf (1899-1984): che comprendeva 28 interpreti, venti maschi e otto femmine, tra essi Mathias Weiman [vedi Diari di Cineclub n° 68, gennaio 2019, pp. 41-42]; una fucina di nuovi talenti, con la quale Holtorf girò le piazze di Germania e Danimarca proponendo opere di Büchner, Wedekind e Shakespeare.

Il 1920 fu per Dora anche l’anno in cui lavorò nel cinema, apparendo in due film del regista viennese Josef Stein, Auf den Trümmen des Paradieses e Die Todeskarawane; opere tratte entrambe dal romanzo Von Bagdad nach Stambul (Da Bagdad ad Instanbul, che è anche il titolo con cui è tradotto in italiano) dello scrittore tedesco Karl May, ambientate in Medio Oriente e girate suppergiù con gli stessi attori (Carl de Vogt era il protagonista Kara Ben Nemsi, ma nel cast apparivano anche Meinhart Maur, Anna von Palen, e il trentottenne Béla Lugosi, non ancora noto nei panni del conte Dracula). La produttrice Marie-Louise Droop, titolare dell’Ustad Film, era una grande ammiratrice di May, e alla morte di lui si era accordato con la sua vedova per realizzare una trilogia tratta da quel suo romanzo, curandone le sceneggiature con lei ed Edwin Baron. Presentati in anteprima rispettivamente il 7 ottobre 1920 al Kammer-Lichtspiele di Dresda (Auf den Trümmen des Paradieses) e il 18 novembre dello stesso anno in un cinema-teatro di Dresda (Die Todeskarawane; ma due giorni prima era stato proiettato in esclusiva per la stampa), i due film ebbero un discreto riscontro di pubblico ma non riscossero grandi consensi e si rivelarono degli insuccessi commerciali. Paradossalmente, contribuirono però a rendere popolare i loro interpreti, e in modo particolare Dora, che vestiva i panni di Dschana Ardschir Mirza. Ma ecco per lei la prima beffa della sfortuna: nessuno di essi si è a quanto pare conservato, giacché le loro pellicole andarono bruciate a causa di un incendio durante il corso della Seconda Guerra Mondiale.

Nella Holtorf-Truppe ella conobbe tra i molti l’allora attore e futuro regista cinematografico Veit Harlan, con il quale nel 1922 convolò a nozze. Ma avevano due caratteri molto diversi, inoltre Harlan non aveva opinioni molto benevole nei confronti degli ebrei: cosicché due anni dopo divorziarono. Nonostante il lusinghiero avvio della sua carriera d’attrice cinematografica, non risulta che Dora abbia avuto altre occasioni importanti per lavorare davanti alla macchina da presa; d’altronde, lei si sentiva soprattutto attratta dal canto: amava i cabarets, che nella Germania degli anni Venti proliferavano, le sale piccole e fumose e la loro atmosfera calda e fervida, dove peraltro recitava anche lì in gustosi sketch, che spesso introducevano e accompagnavano le sue canzoni. Iniziò dunque a esibirsi in vari locali, tra i quali il notissimo cabaret Die Katacombe, aperto nel 1927 dall’attore e regista Hans Deppe e dal cabarettista e scrittore Werner Finck proponendo un nutrito repertorio di motivi; ma non disdegnò anche platee più vaste, producendosi più volte con successo anche al teatro Thalia di Berlino.

Nel 1933, quando Hitler salì al potere, le sue chances di tornare a lavorare anche nel cinema subirono il definitivo tracollo: e per lei, come per milioni di altri ebrei, cominciarono i guai: quasi da un giorno all’altro, con la ‘colpa’ retroattiva d’avere osato apparire in film ‘ariani’, ella si ritrovò bollata ed esclusa dall’albo degli attori. Corse qualche rischio anche esibendosi quale cantante: per evitare di mettersi in mostra decise di dedicarsi soprattutto al repertorio yiddish, la lingua delle comunità israelite, e collaborò incidendo vari motivi per una piccola casa discografica ebraica specializzata; ma anche così, non poteva certo dirsi al sicuro. Viaggiò all’estero: fu nei Paesi Bassi e in Svizzera, e nel 1935, con l’entrata in vigore delle leggi razziali promulgate dai nazisti a Norimberga, lasciò la sua abitazione al civico 1a di Bonner Strasse presso Berlino-Wilmersdorf e si trasferì coi parenti in Olanda, prendendo dimora ad Amsterdam. Là continuò a cantare e incidere dischi: si esibì a fianco di Louis David al Kurhaus di Scheveningen, alternando al repertorio tradizionale le canzoni yiddish, e con Edwin Parker e Kurt Egon Wolff fondò nella capitale olandese il cabaret “Ping Pong”, nel quale si produsse più volte sempre con grande esito; lavorò anche in altri cabarets come “De Onwjs Kater” dell’attore e scrittore Cor Hermus, e prese parte ad alcune riviste, che vennero seguite con discreto interesse dalla stampa. Favorita dalla bella voce, per un certo periodo lavorò anche come doppiatrice in lingua tedesca, utilizzando con ogni probabilità un nome falso; tra i personaggi che doppiò ci fu anche la Biancaneve dell’omonimo film di Disney: paradossalmente, a dispetto del fatto che ne avesse vietato la diffusione in Germania e nei paesi occupati dal Terzo Reich, esso era uno dei preferiti di Hitler, il quale tuttavia pare ignorasse la razza ebraica di molti doppiatori della pellicola.

L’anno seguente Dora sposò in seconde nozze un apprezzato commerciante di tessuti di sei anni minore di lei, anch’egli d’origine ebraica, Max Sluizer, che era un suo assiduo ammiratore: al quale diede la figlia Miriam (19 novembre 1937) e il figlio Abel Juda (21 maggio 1940). In quel periodo ebbero grande diffusione alcuni dischi di canzoni da lei interpretate quali Der Rebe Hot Geheysn Freylekh Zayn, Backbord und Steuerbord e Vorbei: quest’ultima soprattutto, molto apprezzata dagli ebrei tedeschi, i cui versi molto evocativi si richiamavano implicitamente con nostalgia alla Germania pre-nazista: «Se ne sono andati di là dal richiamo. Uno sguardo finale, un ultimo bacio, poi tutto è sotto il telaio dell’eternità. Un’ultima parola, un ultimo addio».

L’anno dopo, il suo antico insegnante di recitazione Max Reinhardt, anch’egli ebreo (il suo cognome originario era Goldmann), che fin dal ’33 aveva lasciato la Germania rifugiandosi a Salisburgo, presentendo la prossima invasione dell’Austria e l’anschluss da parte delle truppe naziste, in ottobre era riparato negli Stati Uniti. Invece il suo ex marito Veit Harlan, che dopo un altro matrimonio fallito si apprestava a impalmare l’attrice svedese Kristina Söderbaum, per il suo antisemitismo era entrato nelle simpatie del famigerato ministro del Reich per l’Istruzione Pubblica e la Propaganda Joseph Goebbels, il quale nel 1940 gli commissionò il ponderoso film Süss l’ebreo, chiaro e ignobile esempio di propaganda contro gl’israeliti, nella cui trama la giovane Dorothea Sturm (la Söderbaum) si annega gettandosi in un fiume dopo che con un ricatto era stata costretta a giacere con Süss (l’attore Ferdinand Marian; vedi Diari di Cineclub n° 52, luglio 2017, p. 15).

La situazione internazionale era preoccupante: non desiderando esporsi ulteriormente, dopo essere apparsa nello show del cabarettista olandese Wim Kan De Zeven Joffre nella stagione 1938-39, Dora abbandonò lo spettacolo per dedicarsi solo alla famiglia. In Olanda non si sentiva al sicuro, e non a torto: quando infatti era ancora in attesa del secondo figlio, la Germania invase il paese dei tulipani, e per lei e i suoi cari il rischio d’essere scoperta e catturata dai nazisti si fece all’improvviso drammaticamente vicino. Così, non appena Abel Juda vide la luce, progettò col marito di abbandonare clandestinamente l’Olanda per rifugiarsi in Svizzera, nazione che aveva da sempre osservato la più stretta neutralità politica.

Dopo varie titubanze, nel 1942 essi tentarono di attuare questo proposito, coi loro bambini: ma per scrupolo materno, prima d’intraprendere il tragitto Dora non volle sedare la piccola Miriam, e fu proprio il suo pianto a tradirli prima di poter raggiungere un luogo sicuro, quando si trovavano nel territorio francese occupato dai tedeschi. Bloccati dai nazisti, essi vennero inviati nel campo d’internamento di Drancy (Île-de-France), quindi caricati su un treno che li condusse a Hooghale, dieci chilometri a nord di Westerbork, un campo d’accoglienza degli ebrei tedeschi sfuggiti dalla Germania e rifugiati nei Paesi Bassi, che con atroce ironia a partire dal 1° luglio di quell’anno era stato promosso dai nazisti Polizeiliches Judendurchgangslager, ossìa luogo di transito per gli ebrei olandesi e i rifugiati là detenuti destinati ai campi di sterminio di Auschwitz, Sobibor e Bergen-Belsen. Dora e i suoi familiari divisero l’onore di tale ignominia con altri celebri personaggi capitati lì per loro disgrazia, come Anna Frank, la scrittrice Etty Hillesum, ebrea olandese, e l’ex calciatore e allenatore ungherese Árpád Weisz. Da qui, col trasporto n° 47, l’11 febbraio del 1943 furono deportati in Polonia, nel voivodato di Małopolskie, ad Auschwitz, dove tre giorni dopo vennero tutti soppressi nelle camere a gas: Dora aveva quarantatré anni, dieci mesi e ventidue giorni, suo marito trentasette anni, e i loro figli, sei Miriam e appena tre Abel Juda.

Sfortunata, dunque, Dora la fu fino in fondo. Cancellata dalla terra con la sua famiglia per l’assurda colpa di essere ebrea, e cancellata dal cinema per la perdita dei due film che interpretò. Oggi di lei resta purtroppo ben poco: qualche foto, qualche documento, qualche canzone incisa, dove la sua voce gentile e malinconica richiama alla memoria un periodo della storia umana che per molti versi si vorrebbe tutti dimenticare, benché - se per assurdo ciò fosse possibile - non sarebbe comunque giusto. E Veit Harlan?, si chiederà qualche lettore. Al termine del conflitto, il regista di Süss l’ebreo e d’altre non meno squallide pellicole antisemite venne accusato di razzismo e di collaborazionismo coi nazisti; egli si difese asserendo d’essere praticamente stato costretto da Goebbels a girare quel film: ma a riguardo poteva addurre molte meno scuse dell’interprete, l’attore Ferdinand Marian. In ogni modo, difendendosi con successo riuscì a scampare dalle sue responsabilità. Si spense improvvisamente nel 1964, all’età di sessantacinque anni, mentre si trovava in vacanza con la moglie nell’isola di Capri.

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