#122 - 9 marzo 2015
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerà il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Racconto

Reginetta

Ovvero, il viaggio del Re (favola barocca) - Prima puntata

di Ruggero Scarponi

  • E questo è tutto - disse l’uomo barbuto appena terminato il racconto. Con aria compiaciuta si lisciò la barba e restò in attesa che qualcuno gli facesse delle domande.
  • La storia che ci hai narrato – commentò un giovane operaio – è molto bella, ma sarà anche vera?
    -Certo che è vera per Giove! E mi stupisco di questa diffidenza. Secondo voi non sarebbe possibile ad un uomo onesto e timorato di Dio ancorché semplice contadino, far valere le proprie giuste ragioni su un prepotente, nobile e capitano militare di Sua Maestà?
    Alla domanda, nessuno nella taverna rispose. La competizione sembrava troppo squilibrata per suscitare un dibattito: quando mai un ufficiale aveva dovuto piegare il capo nei confronti di un villano?
    Pur se il tale signore avesse avuto cento torti e nessuna ragione, alla fine, si può star certi, che in qualsiasi tribunale del regno avrebbe trionfato sul suo avversario.

  • I poveracci con i poveracci e i nobili con i nobili! – sentenziò un anziano carrettiere seduto ad un tavolo in un angolo della sala.
    Molti assentirono con la testa e anche a parole. Il vecchio aveva proprio ragione, non si dovevano mischiare gli stati su cui era fondata la società perché in ogni tempo e in ogni luogo il lupo mangia l’agnello e mai viceversa.

  • Signori, signori! – riprese con foga l’uomo barbuto. – voi fate torto a Sua Maestà il nostro Signore, Re Filippo. Egli è per nostra fortuna il padrone assoluto di questa nazione ma anche il suo amorevole custode. Nella storia, che non ho certo inventato io, si dimostra, infatti, come abbia saputo amministrare la giustizia senza badare ai titoli e al casato. Egli ha innalzato il povero contadino, ingiustamente oltraggiato, sopra l’arroganza aristocratica, restituendogli l’onore e punendo il colpevole.
  • Ma un Re per quanto benevolo egli sia, come il nostro sovrano – ribatté qualcuno – si guarderà sempre dal nuocere ai suoi fiduciari, fosse anche per punire un delitto odioso.
  • Eppure – sentenziò l’uomo barbuto – è proprio quanto è avvenuto alcuni anni fa, in Estremadura secondo l’insigne letterato Pedro Calderon De La Barca, che lo ha mirabilmente raccontato nella commedia dell’Alcalde di Zalamea. E per credere a quanto ho detto vi basterà sapere che la suddetta commedia è rappresentata sulle piazze e nei teatri del nostro felice regno, avendo in più, come spettatori, proprio quei potenti che anziché adontarsene n’applaudono ogni giorno le rappresentazioni.

A quelle parole nella sala si fece silenzio. Ognuno dei presenti, restò per qualche istante a meditare la storia del temerario Alcalde di Zalamea. Il buon uomo, infatti, cui un militare di passaggio aveva violato la giovane figliola, combattendo contro tutti i pregiudizi del tempo, era riuscito a farsi giustizia da solo e ad ottenere soddisfazione dal sovrano vedendo riparato il proprio onore e punito il colpevole.
E quando tutti nella taverna stavano per riprendere le consuete occupazioni, in quell’ora serale dopo la giornata di faticoso lavoro, chi giocando alle carte, chi bevendo caraffe di vino rosso assieme a qualche amico e chi restando muto, davanti al camino a scaldarsi le mani, si avanzò dalla parte del banco di mescita un uomo dal cui abbigliamento si poteva dedurre essere un facoltoso mercante.

  • Messieurs – disse con voce alta e ferma – vi prego, un poco di silenzio, per favore. Io non sono di queste contrade, sono forestiero, come la scarsa dimestichezza con la vostra amena lingua denuncia. Mercante vengo di Francia, con panni di pregio e spesso mi trovo a soggiornare nelle più grandi città dei regni che vado percorrendo. Ora non più tardi di un mese fa, mi trovavo giusto nella bella città di Toledo, quando fui incuriosito dalla storia qui raccontata dal nostro gentile ospite e che stava per esser rappresentata in una pubblica piazza da una compagnia d’attori girovaghi. Volli assistere allo spettacolo assieme a tutti i miei garzoni e ne fummo deliziati a tal punto che da quella sera e per tutte le tre sere che seguirono le repliche non mancammo mai di esser presenti. Invero, sono qui a testimoniare che simili storie possono accadere sul serio e che i sovrani, si compiacciono sovente di amministrare la giustizia con imparzialità, rendendo ragione a chi l’ha e il torto a chi lo merita e senza badare a titoli e fortune. In tal modo cresce l’amore e la stima del popolo per il re non faticando a crederlo davvero inviato da Dio su questa terra. E il sovrano poi, sollevando i deboli e confondendo i forti si compenetra sempre più nel suo alto ministero la cui missione più importante è il mantenimento dell’ordine e della pace tra i sudditi.
  • Tu parli bene straniero – disse un tale che portava l’abito dei taglialegna, ma noi povera gente siamo avvezzi a ben altre verità e siamo soliti credere più all’arroganza dei forti che alla giustizia dei potenti.
  • Non nego certo – rispose il mercante di Francia – che così si volge più sovente il destino seppure, per eccezione, si possano narrar fatti ben veritieri come in questa taverna tutti hanno udito stasera e anzi se questo spettabile pubblico d’onesti lavoratori me lo consente vorrei narrar io pure una tale avventura che avvenne un po’ di tempo fa al nostro encomiabile sovrano il Re Luigi.

Avendo tutti nella sala giudicato equo ed onesto il discorso del mercante in breve gli si fecero intorno per ascoltare quest’altra avventura.

  • Dunque, amici miei fraterni di questa prospera terra di Spagna, - cominciò pomposamente a parlare il mercante – dovete sapere che durante un’estate in cui il sole martellava senza tregua la città di Parigi, volle Sua Maestà il Re Luigi disporre un viaggio per recarsi sulla costa oceanica a godere della frescura dei venti che colà soffiano costanti e far prendere sollievo a Sua Maestà la Regina Anna in quel tempo incinta al quinto mese del nostro amato Delfino.
    Presto furono diramati gli ordini ai ministri e agli intendenti affinché tutto fosse pronto per la partenza entro tre giorni.
    Re Luigi era felice all’idea del viaggio pregustando l’occasione di divagarsi con delle splendide cavalcate a fianco del suo fidato scudiero il marchese di Cinq Mars.
    Si ordinò all’araldo di avvertire tutti i castellani proprietari delle terre che sarebbero state attraversate dal corteo reale di trovarsi pronti ad accogliere le Loro Maestà, quando La Regina desiderasse prendere un po’ di riposo tenuto conto che a causa del cattivo stato delle strade il viaggio sarebbe stato assai faticoso.
    Così avvenne che il solerte messaggero facesse visita anche al marchese di Noalles che tra i nobili della regione non era il più ricco, invero, essendo erede di un modesto patrimonio in gran parte dissipato da antenati assai prodighi. Pertanto fu con stupore che proprio il suo castello fosse scelto, tra i tanti possibili e certamente più confortevoli, per far riposare la regina.
    Ma la preferenza di Re Luigi non era senza motivo. Il castello, infatti, conteneva qualcosa che stava molto a cuore al sovrano.

Ma intanto la marchesa, la consorte di Noalles non si dava pace.

  • Monsignore – si lamentò con suo marito – siamo rovinati! Questa visita di Sua Maestà sarà per noi come una piaga d’Egitto. Dove troveremo tutto il denaro necessario per ospitare degnamente i Sovrani con tutto il seguito di nobili? Già per noi conduciamo una vita sobria e ritirata, figurarsi dare albergo ad un simile consesso! Dovremo di sicuro ricorrere agli usurai per fronteggiare tutte le spese che non saremo in grado di ripagare e il prossimo anno quei rapaci ci mangeranno tutto ciò che resta del nostro patrimonio, comprese queste mura!
  • Che dite mai Signora? – esclamò il Noalles allargando le braccia, visibilmente alterato – voi chiamate piaga la visita del re? E non pensate invece a come ci abbia onorato degnandosi di accettare l’umile ospitalità della nostra casa? E dimenticate forse come appena dopo il matrimonio io stesso abbia servito le insegne reali nel terribile assedio di La Rochelle? Non ho forse sfidato la morte per Re Luigi, allora? Eppure ricordo benissimo, nel giorno della mia partenza, come n’eravate orgogliosa e come mi salutaste sorridente, lanciandomi una rosa dalla vostra finestra. Credete dunque che il servizio che c’è richiesto oggi, sia più gravoso di quello di allora?
  • Perdonatemi monsignore, - implorò la donna - mi sono fatta prendere dallo sconforto. Capirete, veder sfilare in casa nostra tutti quei nobili, e quelle dame, con quegli abiti e quelle parrucche! Quando già da qualche anno siamo avvezzi a ricevere non altri che i villani delle nostre terre e al più, il nostro santo parroco, per il pranzo domenicale.
  • Una ragione di più per essere contenta, mia signora – rispose il marchese prendendo la moglie tra le braccia con tenerezza –- voi dite bene – continuò la donna, ma aveste visto che facce altezzose e piene di sussiego…mostravano quei signori.
  • e allora? – disse il marchese – essi sono pur sempre vostri ospiti e in questa casa siete voi la padrona. Questo non dimenticatelo mai. Neanche il Re e la Regina possono togliervi una simile potestà. La povera marchesa accolse le parole del marito con rassegnazione più che con convinzione. Tuttavia appoggiata la testa al suo petto si sentì per un po’ rinfrancata e incoraggiata.
  • Vi ringrazio monsignore – concluse – non so proprio come farei senza di voi.
    Il marchese non le rispose limitandosi a baciarla sulla fronte e a stringerla a sé con ancora più forza.
  • Dunque – proseguì nel racconto il mercante di Francia – a questo punto va detto che Sua Maestà Re Luigi non era un aristocratico egoista, insensibile alle altrui esigenze e per mano di un suo valletto, con il dovuto giudizio, avendo compreso la situazione, fece consegnare al buon marchese di Noalles una cospicua borsa sufficiente a coprire le spese del soggiorno dei sovrani con tutto il seguito. Alla fine, anzi, si compiacque la marchesa, nel constatare che furono d’avanzo alcune monete d’oro che trasformarono in un lucroso guadagno, la tanto temuta visita.
  • Evviva! bravo! – esclamarono alcuni avventori che nella taverna si erano messi ad ascoltare il racconto del mercante.
  • Si! Viva Re Luigi! – fece eco qualcun altro.- Viva, viva!
  • Viva anche il nostro Re Filippo! – si sentì in dovere di puntualizzare l’uomo barbuto.
  • Viva, viva! – esclamarono in molti – viva i nostri beneamati sovrani!
  • Dunque – riprese il mercante con voce sicura – il marchese di Noalles dopo il colloquio con la moglie si affrettò a raggiungere la sala grande del castello dove l’attendeva Re Luigi per un colloquio riservato.
  • Ebbene signore – esordì familiarmente il re – davvero, come mi si dice avete… in questa vostra dimora…

(fine prima parte – la seconda puntata al prossimo numero del giornale)

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