Icaro
di Dante Fasciolo
Fu Minosse a chiedere a Dedalo
di costruire un grande labirinto,
e perchè nessuno potesse scoprirne il segreto,
Dedalo e suo figlio Icaro furono chiusi all’interno.
La circostanza non scoraggiò l’inventore,
decise di uscirne insieme al figlio:
con penne d’uccello costruì ali per entrambi
e con cera le legò ai corpi.
“Con queste ali sfuggiremo a Minosse”
disse Dedalo al figlio, “ma fai attenzione,
non puntare verso l’Orsa Maggiore né su Orione,
se voli troppo in alto il sole scioglierà la cera.
E non volare troppo in basso, le onde del mare
inzupperanno le penne e cadrai.
Vola a una via di mezzo ed evita l’urto dei venti”.
Volare produce ebbrezza, e Icaro ne gode,
disubbidisce, trasgredisce: l’hybris del potere;
il cielo è infinito, profondo… si fa temerario…
“Icaro, Icaro, grida il padre…”. Il sole è nemesis divina.
L’uomo di oggi è fortunato, ha le ali di Icaro,
può volare per liberarsi dell’intrico del labirinto
che si è costruito nel tempo, e che oggi, più di ieri,
richiede invenzione e giudizio nell’agire.
I nostri giorni registrano molte entusiasmanti conquiste,
Dedalo è all’opera su scienza e tecnica con successo,
non così gli innumerevoli Icaro, perduti nell’io incompiuto:
volano troppo in alto tesi per vanagloria,
troppo in basso abbandonati per ignavia:
Hybris e nemesis nell’odierno labirinto, infinita, intrigante prigione.