Eudaimonia
di Roberto Bonsi
Diverso tempo addietro abbiamo avuto modo di scrivere sull'argomento che ora ed in maniera diversificata andiamo a riproporre. Allora fu eseguito in due parti collegate l’una all’altra, e adesso ci ripetiamo per manifestare o meglio dare un nostro ulteriore seppur piccolo contributo ad un sentimento che dovrebbe riguardare un po’ tutti noi, e pensate che nella “Carta costituzionale” di alcuni Paesi, tra i quali anche il nostro, vi sono importanti considerazioni scritte, entrando così proprio nel merito della stessa.
Nella nostra “Carta …”, invece, all’art. 3, si coglie un cenno implicito del diritto alla felicità, la quale è intesa come “pieno sviluppo della persona umana”. noi, per l’appunto stiamo scrivendo di felicità e di benessere!?
Nell’ampio “unicum” dello scibile che riguarda la dottrina filosofica, c’è un termine ben preciso che come tante altre parole trae le sue origini dal greco antico; dunque dell’ "Eudaimonia".
Nell’ambito della filosofia dettata da Platone, l'eudaimonia o felicità, consiste nel ricercare il bello e sopra ogni cosa il bene, e tendenzialmente si arriva a ciò, grazie ad un atteggiamento saggio che porta a saper distinguere notevolmente, il bello ed il bene dalle false considerazioni che eventualmente li riguardano, e che si oppongono alle varie realtà di fatto. In poche parole, una volta avuta una gran soddisfazione ed aver così propriamente definito un concetto di felicità, quest’ultima tende prontamente ed in modo inesorabile a svanire se subitaneamente non sorge un ulteriore desiderio. L’individuo da solo non possiede opportunità sufficienti a definire la sua di felicità, se non in un ambito ristretto e molto personale. E’ dovere supremo di uno Stato sovrano garantire delle forme sostanziali di felicità per far stare bene ogni suo cittadino, ogni suo suddito, quest’ultimo, chiaramente, solo nel caso che lo Stato sia retto da un monarca, ma... sulla “faccia” della Terra, di re e di regine ve ne sono rimasti davvero ben pochi/e.
Altrettanto noto, ancor oggi apprezzato e seguito, è il filosofo Aristotele, in quale “inquadra” la felicità al pari di una virtù, considerandola nel contesto di una vita attiva espressa in tutti modi. Il filosofo Solone ebbe invece a dire che gli uomini felici sono sempre e solo tutti quelli che pur in possesso di beni esteriori sanno comunque vivere con la dovuta moderazione, e quindi come a loro si confà un tantino accontentandosi. Sempre Aristotele ebbe a dire che la felicità intesa come sentimento puro ed inebriante sull’uomo e sulla sua psiche, consisteva e consiste nell’avere realizzato tutto quanto o quasi, che egli ha inteso desiderare, ed è relativamente alla propria natura, che l’essere umano in quanto tale, non potrà di seguito mai essere felice se non in possesso della ragione e della saggezza. La scuola filosofica dei cosiddetti Stoici, la identificavano con la serenità di fondo e di pari passo anche con la tranquillità d’animo.
Nella vita, o si è intelligenti è sapienti oppure decisamente stolti, mentre tutto il resto "precipita” nella più totale indifferenza. La felicità ed il suo esatto contrario, dipendono esclusivamente da noi uomini. Ora e brevemente …, “scende per così dire in campo”, un’altro filosofo di chiara fama, il quale è Epicuro. (N.d.a.: Liberare gli uomini dal timore della morte dimostrando che essa -”non è nulla per l’uomo, dal momento -”che quando ci siamo noi non c’è la morte, e quando c’è la morte non ci siamo noi”-.).
Per quanto riguarda la religione cattolica, e quindi basandosi sul trascendentale, una volta deceduti e lasciata questa nostra Madre Terra, oltre la morte che per la nostra fede, di fatto non esiste, si andrà incontro alla felicità suprema. Per gli epicurei, cioè i seguaci di Epicuro, si può davvero godere della propria felicità ed apprezzare nonché vivere e gustare i propri beni, purché l’uomo sia … a “cavallo” della sua ragione, sappia ben calcolare di quali beni egli ha necessità e reale bisogno, ma soprattutto non si deve rendere “schiavo” di tutto ciò che possiede. Epicuro disse anche che il miglior bene consiste in un termine denominato: “Edonismo” (n.d.a.: gli edonisti, sono tutti coloro che nella loro vita praticano il piacere espresso in ogni modo, ed il suo conseguimento è il fine principale della loro stessa vita), cioè valutano di fatto il piacere verso se stessi e null’altro. Quest’ultimo è suddiviso in due parti, il piacere catastematico detto anche statico oppure cinetico o dinamico, cioè sempre e solo in movimento, seppur non sempre catalogato come perpetuo.
E’ il caso di rammentare che il piacere è strettamente legato alla felicità o “Eudaimonia”. Torniamo ancora a questa parola arcaica, giusta nello studiare filosofia, invece di … filosofeggiare, che è tutta un’altra cosa sostanzialmente minima e dal fare ciarliero e spesso inopportuno, perché non sempre azzeccato nel discorrere quotidiano. I bisogni di stampo epicureo sono determinati da quelli necessari detti anche naturali, e un esempio plurigiornaliero è quello di bere acqua. Un bisogno naturale non necessario è invece quello di bere vino e/o sorseggiare alcolici e/o superalcolici, ma qui arriviamo ai tempi nostri. Vi sono poi dei bisogni che non sono né necessari e neppure naturali, i quali sono quelli atti a costruire, raggiungere e consolidare una fama di qualsiasi portata, sia essa minore o maggiore. Lo stesso Epicuro, filosofo di grandi vedute al pari degli altri su citati, ha anche detto che la vita di ognuno è ben raffigurata nel suo essere come in un grande “banchetto” colmo dei sapori più rinomati e … “pantagruelici”, un grande tavolo da dove si può anche esser cacciati così di soppiatto, e senza un perché. Un invitato saggio e moderato non si abbuffa per niente, ed è pronto ad andarsene senza problema alcuno.
Sempre Epicuro ha detto che la felicità inizia stando bene con sé stessi. La felicità è dunque il fine massimo di tutti i percorsi indicati ed offerti dalla Filosofia. Nella nostra attuale vita, quella di tutti i giorni, l’essere umano vive la sua felicità personale e non solo, come in una sorta di differenti attimi susseguiti nel tempo, o di vari “flashes” che poi “sfuggono di … mano” e si inerpicano nei nostri anche più reconditi pensieri fino al momento vicino o lontano, quando si perde poi nell’oblio più assoluto. Oltre la felicità e la serenità, vi sono anche la tranquillità della mente e la quiete del cuore. Per il pensiero teocratico della fede cattolica in particolare, e di quella cristiana in generale, persiste anche il concetto di beatitudine, e spingendoci all’eccesso ma non troppo, anche di santità.
Sant’Agostino d’Ippona, determinò e scrisse che: -”La vera felicità è inaccessibile in questa vita”.-. E con questa frase risaliamo così a quanto abbiamo scritto qualche riga più su. Nella “grande” Milano, città dal traffico caotico, e con una afa che insieme alle polveri resiste in gran parte dell’anno, la gente, la sua gente, tra i milanesi, a dir il vero, ormai pochi, i “naturalizzati” provenienti dal centro-sud, dalle isole e dal nostro nord, e tra stranieri di ogni dove, tra affaccendati, “faccendieri” e in gran particolare la fosca presenza di moltitudini di pericolosi e nullafacenti “sbandati”, frutto amaro di una politica lontana ma anche recente, oltremodo dissennata ed irresponsabile, c’è ora un indice di ripresa della malavita, e di insicurezza pressoché totale, che ha fatto diventare la “megalopoli” lombarda, come una città di tutti ma anche in senso diuturno, una terra di nessuno o quasi, e si scrive tutto questo per indicare che la “curva della felicità” conquistata dopo “l’Expo 2015”, la bellezza del suo “Skyline” e le grandi mostre che si qui si sono susseguite e che proseguono con successo, è ormai indirizzata verso il basso, questo pur sapendo che i turisti forestieri e di ogni dove, hanno fatto sì che la stessa sia ormai divenuta come la città più visitata d’Italia. -” L’anima è immortale, ed è destinata per volontà di Dio alla felicità”- (San Tommaso Moro).