Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Gino Corrado
I dimenticati, 101
di
Virgilio Zanolla
Amici lettori, il personaggio che vi presento in questo numero, l’attore Gino Corrado, dei molti finora proposti nella rubrica è sicuramente tra i meno conosciuti: più che di un «dimenticato» sarebbe opportuno parlare di un «ignorato»; avendo lavorato soltanto nel cinema americano, m’azzardo a dire che in Italia non lo si ricorda neppure nella sua città natale. Invece si dovrebbe, per due singolari, buonissimi motivi: attivo davanti alla macchina da presa dal 1916 al ’54, in trentott’anni di carriera egli è apparso in almeno 355 pellicole (conteggio approssimativo, e largamente per difetto), risultando in un numero incredibile di classici della settima arte. 355 film non costituiscono il primato di partecipazioni cinematografiche, anche se sono tali da porlo nel Gotha degli attori più presenti sullo schermo; guardiamo però alla statistica: se dividiamo il totale dei film per il numero degli anni in cui egli ha lavorato otteniamo la sorprendente media di oltre nove pellicole all’anno, con il record del 1939, quando figurò addirittura in 18. Si dirà: ma era un modesto caratterista, che due volte su tre ha ricoperto ruoli minuscoli, apparendo magari in una sola scena; se avrete la bontà di proseguire la lettura dell’articolo vedrete però che ha avuto anche qualche bella occasione di mettersi in luce.
Dove comunque il nostro personaggio ha acquisito una primazia incontestabile, anzi addirittura sbalorditiva, è come ho anticipato nel numero di film memorabili nei quali figura, quasi da non crederci. Pur se risultando spesso in semplici cameos, egli ha legato indissolubilmente la sua immagine tanto a pietre miliari della storia del cinema - Intolerance di David Work Griffith (1916), I dieci comandamenti di Cecil Blount DeMille (’23), Aurora di Friedrich Wilhelm Murnau (’27), Cappello a cilindro di Mark Sandrich (’35), Furia di Fritz Lang (’36), Via col vento di Victor Fleming (’39), Furore di John Ford, Rebecca. La prima moglie di Alfred Hitchcock, Il grande dittatore di Charlie Chaplin e Kitty Foyle, ragazza innamorata di Sam Wood (tutti ’40), Quarto potere di Orson Welles (’41), Casablanca di Michael Curtiz (’42) - quanto a pellicole forse non altrettanto impegnative ma di grandissimo esito, come L’età di amare e La mia sposa americana di Sam Wood (’22), La maschera di ferro di Allan Dwan (’29), Scarface di Howard Hawks e Addio alle armi di Frank Borzage (entrambi ’32), Carioca di Thornton Freeland (’33), Il segno di Zorro di Ruben Mamoulian (’40), Lo strano amore di Marta Ivers (’46) e Arco di trionfo (’48) di Lewis Milestone.
In quasi quattro decenni di attività, il nostro attore ha diviso il set con divi del muto come Lillian Gish, John Gilbert, Gloria Swanson, Rodolfo Valentino, Nita Naldi, Douglas Fairbanks Sr, Erich von Stroheim, Buster Keaton, Charlie Chaplin, con protagonisti delle commedie musicali quali Janet Gaynor, Maurice Chevalier, Jeannette MacDonald, Nelson Eddy, Fred Astaire, Ginger Rogers, Betty Grable e Bing Crosby, e con molti dei grandi interpreti di commedie brillanti, western, thriller, drammi romantici, films d’avventura e films di denuncia sociale: pur se debitamente scorciato, l’elenco è lunghissimo e comprende Jean Harlow, Stan Laurel e Oliver Hardy, Joan Crawford, John Wayne, Spencer Tracy, Claudette Colbert, Joan Bennett, Shirley Temple, Maureen O’Hara, Laurence Olivier, Norma Shearer, Joan Fontaine, Edward G. Robinson, Henry Fonda, Gary Cooper, Susan Hayward, Ingrid Bergman, Humphrey Bogart, Robert Taylor, Hedy Lamarr, Paulette Goddard, Kirk Douglas, Orson Welles, Tyrone Power, Rita Hayworth, Barbara Stanwyck, Charles Boyer, Clark Gable, Vivien Leigh, Lana Turner, Rock Hudson, fino a Dean Martin e Jerry Lewis. Tra i caratteristi, lui solo è stato per così tanto tempo - dai fulgori del muto all’avvento del Cinemascope - l’ambasciatore dell’italianità ad Hollywood.
Nato a Firenze il 9 febbraio 1893 - significativamente, due anni prima che a Lyon e a La Ciotat il cinema muovesse i primi passi per opera dei fratelli Louis e Auguste Lumière e dei loro primi collaboratori - Gino Liserani, questo il suo vero cognome, era il primogenito di Carlo e di Caterina Tessitori. Ancora infante giunse in America coi genitori. A Boston, città in cui si trasferì la famiglia, il 3 aprile 1896 nacque il secondogenito Luigi, più tardi noto anch’egli come attore col nome d’arte di Louis Dumar, e attivo nei primi anni Venti, il cui ruolo più noto fu quello di Tigellino nel film Salomé diretto da Charles Bryant e Alla Nazimova nel 1922; un terzo fratello, Lorenzo (Lawrence) lavorò nel cinema soprattutto quale comparsa.
Non sappiamo per quali vie i tre fratelli Liserani giunsero ad approcciare la settima arte; è possibile che a un certo punto la famiglia si sia spostata in California, dove il clima era mite e le occasioni di lavoro non mancavano mai. Sappiamo per certo che Gino esordì davanti alla macchina da presa nel 1916, appena ventitreenne, e che fino al 1923 volle farsi conoscere come Eugene Corey, nome d’arte e versione anglicizzata del suo nome al secolo; col senno di poi, tale scrupolo suona ridicolo, perché soprattutto allora, ma fin quasi al termine della sua lunga carriera nel cinema, a motivo della brevità delle sue presenze, molto spesso nei films ai quali prese parte esse non vennero accreditate.
Ma benché non menzionato, il suo volto sorridente e la figura tarchiatella e rubiconda si distinguono fin dalla pellicola d’esordio: nell’intenso cinque rulli L’innocente Gretchen (Gretchen the Greenhorn, 1916) dei fratelli Chester e Sidney Franklin, un dramma a sfondo sociale che aveva quale protagonista Dorothy Gish, Gino è ben visibile nella scena finale del matrimonio, come uno dei testimoni. Il film che seguì fu il ponderoso Intolerance di Griffith, il più titanico sforzo produttivo fino ad allora messo in atto dalla cinematografia americana; dov’egli figurò in modo generico nell’episodio babilonese, che è forse il più riuscito dell’opera. Nel ’17 apparve nel dramma a sfondo bellico The Gown of Destiny di Lynn Reynolds, nei panni di un addetto militare del consolato francese; quindi fu Anatole in The Flames of Chanche di Raymond Wells (’18) e James Corbin Jr. in The Argument di Walter Edwards, due pellicole drammatiche dello stesso anno, e Roger Livingstone Talbot nella commedia The Hopper di Thomas Heffron (id.), mentre nell’allegorico Restitution di Howard Gaye (id.), vestiva - è proprio il caso di dire - i panni di Adamo, con Lois Gardner nella parte di Eva ed Al Ernest Garcia in quelle di Lucifero e Satana.
Se ne L’età di amare (Beyond de Rocks), l’unica pellicola che vide protagonisti Rodolfo Valentino e Gloria Swanson, Gino impersonava l’ospite di una locanda alpina, ne La mia sposa americana, sempre di Sam Wood e del ’22, dove la Swanson aveva come partner Antonio Moreno, egli ricoprì una parte da vilain piuttosto significativa: quella di Pedro DeGrossa, figlio del facoltoso Carlos, il quale, dopo avere insultato Natalie (Swanson), sfidato a duello da Manuel (Moreno), per evitare lo scontro e altri guai non trova miglior soluzione che fuggire all’estero. Ne I dieci comandamenti di DeMille il nostro attore rivestì i panni di Joshua (Giosuè), il successore di Mosé alla guida degl’israeliti; un ruolo che nella nuova versione dell’opera che DeMille girò nel ’56, andò invece al prestante John Derek.
Nel '26 fu il pittore Marcel ne La Bohème di King Vidor, accanto a Lillian Gish, John Gilbert e Renée Adorée. Un altro capolavoro a cui Gino prese parte fu Aurora di Murnau: dove impersonò il direttore di un istituto di bellezza. Ma la parte in cui ebbe maggiore visibilità gli giunse due anni dopo, nell’avventuroso La maschera di ferro di Dwan; nella trama, ricalcata in larga misura sul romanzo Il visconte di Bragelonne di Dumas, le vicissitudini del misterioso prigioniero dell’isola di Sainte-Marguerite si fondevano con scaltra disinvoltura storica con le sorti dei quattro moschettieri; egli prestò le sue sembianze al raffinato Aramis, in lotta con D’Artagnan-Douglas Fairbanks Sr. e gli altri due amici moschettieri contro il gemello usurpatore del re di Francia Luigi XIV: e a dispetto della figura non precisamente atletica seppe mostrarsi all’altezza nei numerosi duelli in cappa e spada che gli toccò sostenere.
Nel ’31, trentottenne, Gino prese moglie, sposando l’allora ventiduenne attrice italiana Anna Lina Alberti, nativa di Cernusco sul Naviglio, che negli anni Sessanta e Settanta fu piuttosto nota nel nostro paese per avere recitato con Totò, con Sordi e in alcuni film di Fellini, nonché in teatro e in televisione. Nel ’32, nel gangsteristico Scarface di Hawks Gino impersonò un cameriere del Columbia Café; mentre nell’anno successivo, nel musical Carioca di Freeland, apparve come fattorino, e più tardi in un altro musical della coppia Fred Astaire-Ginger Rogers, il celebre Cappello a cilindro di Sandrich, prestò le sue fattezze al simpatico direttore dell’albergo di Venezia in cui si svolge la parte finale e più succosa della pellicola. Nel drammatico Furia di Lang fu invece uno dei reporter giunti a Strand dopo la notizia del processo contro gli autori del tentativo di linciaggio, e in Un’americana nella Casbah (Algiers), diretto nel ’39 da John Cromwell, remake hollywoodiano del francese Pepé le Moko di Julien Duvivier, interpretò un detective.
Nel 1939 partecipò per la prima volta a un cortometraggio del ciclo su I tre Marmittoni (Three Stooges), Saved by the Belle di Charley Chase; nello stesso ciclo fu poi presente in An Ache in Every Stake (’41) di Del Lord e in Micro-Phonies (’45) di Edward Bernds, guadagnando notevole popolarità. Quell’anno apparve anche nel mitico Via col vento (Gone with the Wind) di Fleming: si trattò del primo di sei film celeberrimi, seppure tra loro assai differenti, affrontati quasi di seguito, in cui lavorò di lì al ’42, comparendo nei quali Gino mise a segno una sorta di formidabile ‘filotto’ cinematografico. Infatti, tra le almeno tredici pellicole a cui collaborò nel ’40 spiccano un film di forte denuncia sociale come il bellissimo Furore (The Grapes of Wrath) di Ford, il thriller Rebecca. La prima moglie (Rebecca), primo film girato in America da Hitchcock, nel quale impersonò il capo ricevimento di un grand hotel di Montecarlo, la satira Il grande dittatore (The Great Dictator) di Chaplin, primo film sonoro del grande attore e regista inglese, l’avventuroso Il segno di Zorro (The Mark of Zorro) di Mamoulian, in cui fu un graduato della guarnigione spagnola, e il dramma romantico Kitty Foyle, ragazza innamorata di Wood, nel quale impersonò un cameriere. Nel ’41 Gino apparve anche in Quarto potere (Citizen Kane) di Orson Welles, considerato uno dei massimi esiti della storia del cinema, e l’anno seguente venne immortalato in Casablanca di Curtiz, come cameriere del celebre Ricks Café. Ricordo per inciso che nel referendum promosso nel 1998 dall’American Film Institute sui cento migliori films statunitensi di sempre Quarto potere ottenne il 1° posto, seguito proprio da Casablanca.
Come il lettore avrà certamente notato, il ruolo che più di frequente Gino si trovò a coprire fu quello di lavoratore nell’àmbito dell’accoglienza e della ristorazione. Nel thriller bellico Appointment in Berlin di Alfred Edward Green (’43) impersonò un capo cameriere, ne I cospiratori (The Conspirators, 1944) di Jean Negulesco il gestore di un caffè, in Schiava del male (Experiment Perilous, id.) il gestore di un ristorante, in Jolanda e il re della samba (Yolanda and the Thief, ’45) di Vincente Minnelli un cameriere d’hôtel, e così in Disonorata (Dishonored Lady, ’47) di Robert Stevenson, e in Passione che uccide (The Web, id.) di Michael Gordon, mentre in Età inquieta (That Hagen Girl, id.) di Peter Godfrey vestì i panni del barista di un night club, in Secrets of Montecarlo di George Blair (’51) fu un maitre d’hôtel e in Storia di un detective (The Fat Man, id.) di William Castle uno chef francese. Un’altra parte a lui consona fu quella dell’invitato a feste e banchetti, come nel western Cowboy and the Señorita di Joseph Kane (’44), nella commedia bellica Il matrimonio è un affare privato (Marriage is a private affair, id.) di Robert Zigler Leonard e in varie altre occasioni. Sarà forse per la propensione alla buona tavola che nel 1954, quando, dopo aver interpretato un venditore di scarpe nella commedia musicale Più vivo che morto (Living It Up) di Norman Taurog decise che era ora di lasciare il cinema, aprì un ristorante, frequentato da molti suoi colleghi.
Gino Corrado morì ad ottantanove anni, il 23 dicembre 1982, alla Motion Picture and Television Country House di Woodland Hills, presso Los Angeles. È sepolto nel Valhalla Memorial Park Cemetery: sulla lapide, accanto a una foto di lui tratta dal cortometraggio Micro-Phonies, è riportato il suo epitaffio, che recita: «Forever On the Screen - Forever in Our Hearts» (Per sempre sullo schermo, per sempre nei vostri cuori).