Tra un Amarcord e l'altro
Facile sentirsi amici
Colleghi
di Guido Alberto Rossi
La settimana scorsa parlando con un collega (di una generazione dopo la mia), guarda caso di lavoro e più precisamente un Amarcord di quando fotografare era un lavoro remunerativo, commentavamo della collaborazione che c’era tra colleghi che in molti casi diventava vera amicizia in altri solo amicizia professionale.
Casualmente ieri accompagno il mio quasi nipote Filippo a comprare un obiettivo da regalare a suo suocero per il suo compleanno e chiacchierando con il giovane commesso, che ovviamente vorrebbe fare il fotografo, gli domando se oggi esiste una specie di interazione tra fotografi, mi guarda strano e mi domanda: ma come? non eravate concorrenti?
Allora capisco che al grande pubblico manca un pezzo d’informazione importante riguardo la nostra professione e così gli rispondo: si certo, ma ci aiutavamo a vicenda quando possibile!
Visto che non ci sono altri clienti e nel negozio c’è una deliziosa aria condizionata, mentre fuori l’asfalto milanese porta il termometro a 33° restiamo lì a raccontarcela su. Gli spiego quello che mi sembra ovvio, che invece scopro non è, e mi vengono in mente le infinite volte che ho scambiato e ricevuto informazioni, consigli e anche avuto e passato contatti e anche qualche lavoro. Credo che fosse nel nostro DNA e poi, con il mutare della specie, si sia trasformato come spesso succede con gli animali nel corso dei secoli. Qui mi pare ci siano voluti meno anni.
Poi arriva un possibile cliente in divisa fotografica e quindi è meglio se leviamo le tende.
Pensando a cosa scrivere per Papale-Papale.it decido che forse questo tema può essere interessante e quindi eccovi la mia zuppetta quindicinale: In precedenti articoli ho raccontato come già affermati colleghi di una generazione precedente alla mia mi abbiano aiutato e dato preziosi consigli che in seguito mi sono serviti tanto quanto le macchine fotografiche ed i rullini, era il modus operandi corretto da tenere a mente in tante situazioni, non erano consigli tecnici, ma consigli o meglio lezioni di vita professionale, sicuramente per me molto più utili della poesia del Carducci sul bovino da imparare a memoria per il prossimo mercoledì.
Diverse amicizie sono nate nei circuiti tra uno scatto alla Ferrari e quello alle Lotus. Con alcuni colleghi nostrani abbiamo poi collaborato in varie occasioni e quando ho aperto la mia agenzia ne hanno subito fatto parte. Con un collega giapponese, che forse si chiamava Honda e che fotografava la F1, eravamo grandi amici: ogni volta che c’incontravamo ci salutavamo calorosamente ma, siccome lui non parlava una parola di nessuna lingua nota e tutto il mio vocabolario giapponese si esauriva con la parola sayonara, facevamo dei discorsi a cenni e comunque non ci capivamo ma eravamo amici, con lui c’era uno scambio tecnico o meglio mi faceva toccare e magari provare qualche nuovo obiettivo che in Italia non era ancora arrivato e che invece lui a Tokyo aveva comprato qualche giorno prima di venire a Monza e questo lo reputo ancora oggi un gran segno d’amicizia.
La stessa cameraderie c’era e fortunatamente c’è ancora con i colleghi che sono a bordo pista, bordo campo, bordo fronte o bordo red carpet, del resto facciamo tutti lo stesso lavoro che è un misto tra un buon elettricista ed il sognatore mistico e che il calendario ci fa trovare tutti insieme a fare la stessa cosa, cioè, scattare fotografie.
Negli anni 60 a Milano venne fondata da nomi illustri della fotografia l’Associazione Fotografi Italiani Professionisti (AFIP), era un passo molto importante per fare squadra e poter confrontarsi con colleghi anche fuori dal tuo stretto ambito di scatto, (io vi entrai alla fine degli anni 70). Successivamente alle riunioni dell’AFIP si aggiunsero i titolari delle agenzie ed i fotografi del GADEF (Gruppo Agenzie Distributori e Fotografi). Di tutto questo oggi rimane solo un ricordo tra noi giovani anziani fotografi. L’unica associazione veramente utile e seria (a mio modesto parere) che esiste oggi in Italia è la TAU Visual che ai suoi associati fornisce tutte le importanti informazioni riguardanti: le leggi, il copyright e un preziario consigliato e abbastanza realistico con i tempi per il mondo fotografico professionale.
Una cosa bella che succedeva spesso con i colleghi dell’AFIP era che se un cliente chiedeva ad un fotografo di moda di fare delle foto di gastronomia, questo da persona seria, consigliava al cliente un fotografo specializzato e così viceversa o se un cliente aveva un nuovo lavoro ma il collega era impegnato e non poteva farlo nei tempi richiesti, passava la palla ad un bravo collega anche sapendo che c’era il rischio che poi perdeva il cliente, certamente non per colpa del collega.
Ovviamente c’erano anche dei malandrini, erano comunque meno di quelli che lavoravano e lavorano in politica.
Per noi fotografi di reportage, negli anni ‘80, ‘90 e inizio 2000, un altro modo di frequentare colleghi che venivano da tutte le parti del mondo era essere chiamati a partecipare ai libri A Day In the Life di questo o quel paese; questi progetti editoriali, avevano lo scopo di produrre dei grandi e grossi libri fotografici, coinvolgevano qualche decina di professionisti ed a ciascuno veniva assegnato un soggetto da scattare, tutti in un determinato giorno. A inizio e fine progetto c’era sempre un party e li ci si conosceva e ce la si raccontava.
Ma tra questi progetti i migliori e più interessanti (anche divertenti e ben pagati) erano quelli realizzati da Didier Millet o da Edition du Pacifique, che si svolgevano in paesi asiatici, qui anziché uno scatto in un solo giorno, avevamo a disposizione una settimana e c’erano sempre almeno due feste prima di iniziare a scattare e due super feste alla fine. Sicuramente sono state le uniche e sole feste in cui mi sono divertito un mondo, non credo ci fossero astemi, ma soprattutto non c’era gente noiosa con cui non avevi niente da spartire.