#332 - 10 giugno 2023
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterà in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascerà il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore è già  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore è la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererà  l'amore per il potere, sia avrà  la pace (J. Hendrix)
Arte

Il senso della figurazione
Nuova interessante mostra personale dell’Artista

Mantova - Galleria “Arianna Sartori"

Tindaro Calia

Di
Giorgio Seveso

Tindaro Calia

Conosco Tindaro dalla fine degli anni 70, quando, freschissimo di studi, assieme a qualche collega e amico coetaneo, rappresentava qui da noi con la sua pittura intensamente espressiva un momento polemico di viva resistenza contro la marea montante della superficialità culturale tipica della “Milano da bere” di quell’epoca.

Erano gli anni delle tendenze concettuali di rifiuto della pittura, allora di gran moda, e dell’edonismo delle affermazioni della transavanguardia, nel suo effimero e opportunistico uso dell’immagine dipinta, cui quei giovanissimi artisti si opponevano con l’energia debordante della loro figurazione impegnata, invece, su un terreno di verità esistenziali.
Ricordo ancora molto bene i suoi quadri di quegli anni. C’era in lui come una sorta di febbrile decisione a scavare nella polpa viva della figura umana, a rivelarne i succhi più intimi e riposti senza mai perdere di vista il soggetto di fondo e la sua verità effettiva, senza consentire che l’enfasi espressionistica montasse a tal punto da diventare fine a se stessa.

Tindaro Calia

Una cosa è certa: a cinquant’anni di distanza quella sua giovanile, incalzante determinazione non si è appannata né calmata. Al centro del suo cuore e della sua sensibilità d’artista continua a esserci il corpo umano, come specchio sintesi di ogni sentimento e di ogni giudizio, come ragione di ogni poetica. E c’è sempre, nel suo sguardo lirico, un sentimento di totale responsabilità verso la pittura, il rigore di una puntigliosa affermazione figurativa, dove il problema dell’espressione non è solo affare di gusto, non è solo talento della mano o tensione lirica, ma è di più: è dipingere devolvendo agli occhi dello spettatore prima di tutto se stesso e la propria sensibilità, la consapevolezza empirica del proprio stare al mondo con gli occhi e il cuore spalancati a sentire, a capire, a sapere le condizioni, le contraddizioni e i limiti di ciò che siamo.

Ciò che oggi è cambiato, piuttosto, è qualcos’altro. É il senso acuto della sua estensione espressiva, l’avvertita e reale portata delle deformazioni, che nel suo dipingere attuale non appaiono come possibili trasfigurazioni, come arbitrarietà o “licenze”, ma sono, invece, sobrie prosciugazioni di un gesto, di una postura o di una prospettiva, con un loro clima esatto e puntuale, con tutta una loro misura di frantumazione sentimentale. Le sue odierne apparizioni figurali, proprio nella loro precarietà, nella loro fragilità trafitta, nella loro dimessa verità, sono appunto geometrie emotive ricostruite al calore di una visione che dimostra di aver compreso quanto e come le apparenze della realtà siano, in arte, uno dei tramiti più efficaci, se non l’unico possibile, per impadronirsi a fondo della realtà stessa, per poterne fare poesia d’immagine senza tradimenti e senza letteratura.

Tindaro Calia

Credo sia proprio questa consapevolezza a muovere da sempre la mano di Tindaro, a orientarne da pittore le passioni e le attenzioni verso un figurativo preciso e nitido ma al tempo stesso aperto, libero, impetuoso, scevro da vincoli e diplomazie stilistiche, solo attento alle interne nervature della psiche, sismografo sensibile a registrarne le emozioni, il sentimento.
Sì, perché la pittura e il disegno sono evidentemente, per lui, il modo più completo e coerente di relazionarsi con la vita e con i suoi accadimenti, i suoi protagonisti, le sue apparizioni. Sono gli occhi con cui guardare all’animo e agli umori, al sedimentare delle vicende, al trascorrere del tempo.

Da sempre per lui è così, da quando ritraeva i suoi compagni e i suoi amici di gioventù in grandi figure realistiche eppure fantastiche, colme d’espressione ribollente e di partecipazione emozionata. Erano appunto ritratti, come del resto anche ora, ma grandi e perentori, incombenti a grandezza più che naturale, meditabondi, talvolta imbronciati. Ombrosi e attoniti, quelle immagini di ragazzi, di amici e di amiche rappresentati in piedi o seduti nello studio, trovavano una sorta di ieratica solennità in una loro consistenza di larghe materie aggrondate, sciolte e veloci, addirittura disinvolte ma, sempre, sensibili.

Tindaro Calia

E dunque anche oggi, per lui, c’è lo stesso empito figurativo, c’è un identico fervore d’espressione testimoniale. C’è la semplicità del figurare, inteso come profondissima metafora del reale capace di contenerne le inaudite complessità: dipinti interpretati, trasfigurati, tirati fino al limite del vero nel pensiero assorto ispirato dalla cronaca del presente dei loro protagonisti e protagoniste, dall’avventura mutevole delle loro vite. E davvero lo sguardo affilato e inquieto del pittore penetra sotto le garze della cronaca e della memoria, ne svela l’attualità dimessa e quotidiana, le geometrie formali del dolore e della disperazione mentre ognuno di loro percorre il suo “fiume carsico” d’oblìo e dissolvenza.
Ne restituisce liricamente, insomma, le tracce di luce e di ombra, i palpiti di speranza e disincanto tramite una pittura di densa presenza e di fascino pensieroso, silenziosamente eloquente, commossa, penetrante.

Tindaro Calia

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