In barba alla burocrazia
Da in alto al basso
Guardando giù e scattando
di Guido Alberto Rossi
Il primo fotografo aereo in assoluto è stato il francese Nadar che nel 1858 ha pensato di andare in mongolfiera, salire fino a 80 metri d’altezza e scattare una foto, pare che lo scopo fosse tecnico, doveva servire per la planimetria di Petit-Becetre, (una cittadina vicino a Parigi). Il perché non è noto, ma viene da pensare ad una disputa di terreni. In seguito, ha fatto anche degli scatti su Parigi,
Invece gli americani (ovviamente) sostengono che il primo vero fotografo aereo sia stato James Wallace Black di Francestown che dalla mongolfiera Queen of the Air è salito fino a 350 metri e ha scattato una magnifica foto di Boston, dando così l’idea ai militari nordisti che solo dopo due anni pensarono bene di emularlo fotografando le postazioni confederate in Virginia per poi cannoneggiarla in maniera precisa, senza sprecare troppi colpi.
Noi abbiamo fatto la stessa cosa nel 1912 ma usando i dirigibili e in seguito nel 1914 abbiamo usato gli aerei per sorvolare e fotografare gli austriaci che a loro volta ci copiarono e iniziarono a volare e fotografare le trincee Italiane, poi seguirono tutti gli altri eserciti e così la foto aerea divenne una foto solo bellica e nessuno pensava che già che era lassù poteva fare una bella foto del Monte Grappa o del Piave.
Ma nel 1907 Julius Neubronner un inventore tedesco, pensò bene di costruire e brevettare una piccola macchina fotografica da fissare sul petto dei piccioni, (non ho trovato informazioni su come scattassero) però pare che le foto scattate venissero utilizzate.
Così allo scoppio della Prima Guerra Mondiale anche i piccioni fotografi vennero arruolati ed utilizzati, senza saperlo erano gli antenati dei droni.
Ma furono diversi i famosi fotografi che tra le due guerre mondiali scattarono foto non a scopo d’intelligence, ma a scopo documentaristico, solo per citarne due che mi vengono in mente: Ansel Adams e Margaret Bourke White.
Negli anni 50 e 60 i fotografi di tutto il mondo, specialmente gli americani (perché più ricchi e pagati) realizzano sempre più spesso foto scattate da aerei o elicotteri per corredare i loro reportage.
In Italia, qualcuno incomincia a provarci, ma viene visto con sospetto, probabilmente è una spia e così i burocrati rispolverano una legge del 1932 e la applicano con zelo: chi vuole volare, guardare giù e scattare potrà farlo ma a determinate condizioni e ovviamente compilando qualche chilo di carta.
Siamo negli anni 70 in tutto il mondo occidentale si può volare e scattare senza problemi, tant’è vero che anche l’equipaggio dell’Apollo 17, nel 1972 scatta la famosa e meravigliosa foto della terra (Blue Marble), scattata da circa 45.000 chilometri d’altezza e a nessuno viene in mente di censurarla perché viola la legge italiana.
A casa nostra la burocrazia non molla e così ci sono un paio di piloti-fotografi che se la cantano e tirano perché autorizzati dai vari ministeri competenti e cercano in tutti i modi di boicottare chi tenta di violare il loro spazio “aereo”.
Io inizio proprio a metà degli anni 70 a fare foto aeree e quando devo fotografare le nostre città, alcuni me li ritrovo a farmi scherzetti burocratici che vanno dal correre dal mio cliente mentre le mie foto giacciono in attesa del vaglio dei controlli dei servizi o far sì che questi inutili ed ormai obsoleti controlli si allunghino.
Il mio incontro con la fotografia aerea avviene per caso: un giorno a Miami mentre sto scattando un servizio per il mensile Gente Viaggi, trovo un elicottero con un grande bulbo di plastica e senza porte che con pochi dollari fa il giro turistico sulla città. La cosa m’interessa, salgo a bordo e decolliamo, guardo giù e incomincio a scattare.
Quando consegno il servizio al giornale le foto aeree vengono molto apprezzate e anche pagate qualcosa a parte.
Ormai il dato è tratto e non ci saranno più reportage che non completerò con foto aeree.
Rimane però il problema nazionale e così a metà degli anni 80 decido di affrontarlo per le corna, (vedi Papale-Papale n°289) nel frattempo avevo preso il brevetto di volo e così compro un Cessna 210T usato, che costa come un bel Suv e inizio la lotta per ottenere i vari permessi e licenze; nel solo giro di un anno riesco nell’impresa anche grazie al mio amico Enzo Bianchini che dedica molti giorni della sua vita a compilare carte e registri, compreso il manuale tecnico, che abbiamo dovuto fare facendoci aiutare da un ingegnere aeronautico specializzato e che alla fine era uno tomo di circa 300 pagine, molto simile a quello di un Boeing 747, ma che dubito qualcuno abbia mai letto e così finalmente un bel giorno diventiamo una Ditta di Lavoro Aereo a tutti gli effetti e con tutte le scartoffie annesse e connesse.
Pochi mesi dopo l’editore francese Gallimard, tramite il mio amico Didier Millet, mi commissiona i miei primi due libri fotografici aerei scattati sotto i nostri cieli: Roma e Venezia. Per ambedue dovrò usare l’elicottero perché il sorvolo delle città è vietato agli aeroplanetti monomotore. Ma in seguito seguiranno altri 34 libri fotografici di cui diversi sull’Italia e su alcuni paesi europei e nord africani sorvolati e scattati dall’ I-TIBI (la mia sigla scritta molto in piccolo sul timone). Sul paese più bello del mondo, ma dalla perfida burocrazia, con il mio paperozzo ho guardato giù e scattato per oltre mille ore.