#330 - 13 maggio 2023
AAAAA ATTENZIONE - Cari lettori, questo numero rimarrà  in rete fino alla mezzanotte del giorno sabato 30 novembre quando lascerà  il posto al numero 358 - BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè" (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) «La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti». Papa Francesco «Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo». Alberto degli Entusiasti "Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità , vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
letteratura

L'opera nella lingua dell'Urbe

Dante

La Commedia - Canto XXVIII

di Angelo Zito

Nella nona bolgia dell'ottavo cerchio sono puniti i seminatori di discordie,
di scismi e di ogni genere di mali.
Sono feriti da diavoli che con la spada fanno scempio dei dannati.
Come in terra divisero gli uomini così adesso i loro corpí sono divisi orrendamente.
Dante trova lì Maometto, Mosca de Lamberti, Bertram dal Bormio.

CANTO XXVIII

A che me serve usà er verso co’ la rima,
si nun trovo er modo adatto a dí der sangue,
che viddi, manco a ripetelo più e più vorte?

La lingua nun cià tante parole,
e ne la mente nun trovi tanto spazio,
pe’ comprenne tutte quele piaghe.

A mette assieme tutti li Pujesi
che, ne le tere già in preda a la sorte,
pe’ ccorpa de Roma persero la vita,

e in quela guera combattuta a Canne
je se pijareno pure tutti l’ori,
a sentí quello che scrive er saggio Livio;

e assieme a questi metti li Saraceni,
stremati da le lotte cor Guiscardo;
e aggiungi quelli seporti là a Ceprano,

traditi da quelli che j’ereno amichi,
e in più quell’artri sconfitti a Tajacozzo:
lì senza combatte vinse er vecchio Alardo;

si tutti questi mostrassero le membra
fatte a pezzi, nun ce sarebbe confronto
co’ l’orenna vista de ‘sta nona borgia.

Si ‘na botte perde le doghe de mezzo,
e quelle de sotto, nun se sventra come
chi viddi squartato da la gola ar culo:

le budella scivolate tra le gambe;
je usciva fori er core e l’intestino,
che rimpasta tutto quello che magni.

Mentre sò tutto preso da la scena,
uno, squarciannose er petto co’ le mani,
me fà: “ Guarda come me riduco a pezzi!

Guarda come se lacera Maometto!
E quello che piagnenno me sta avanti
è Alí, sfreggiato da la fronte ar mento.

Tutti quell’artri che me stanno attorno
predicareno scismi e divisioni,
e mó li vedi come sò squartati.

Dietro de noi un diavolo costrigne,
tutti noi, che stamo dentro ‘sta schiera,
‘na vorta finito er giro tutt’attorno,

a subbí ‘n’antro tajo de la spada;
così che le ferite se sò già richiuse
quanno je ricomparimo lí davanti.

Ma chi sei tu che te ne stai lì fermo,
a ritardà la pena che te tocca
pe’ le corpe che te sei addossato?”

Intervenne Virgijo: “Nun è morto,
e manco è in attesa de giudizzio;
ma perché possi capí ched’è l’inferno

io, che sò ne la schiera de li spirti,
je fò da guida da un cerchio a l’artro:
li fatti sò così, come te dico”.

A sentillo parlà armeno cento
de li dannati stettero sorpresi
a riguardamme, scordannose le pene.

“Tu che tra poco tornerai de sopra,
ricorda a Fra Dorcino che procuri,
si nun me vô’ raggiunge troppo presto,

li viveri pe’ affrontà l’inverno,
er vero aiuto pe’ li novaresi,
che solo a ‘sto modo ce riusciranno”.

Maometto che teneva er piede arzato,
‘na vòrta ch’ebbe dette ‘ste parole
lo posò a tera e riprese er cammino.

Un artro che ciaveva un buco in gola,
er naso mozzato fino a la fronte
e j’era rimasta un’orecchia sola,

me guardava sorpreso assieme a l’artri;
prima de quelli aprí er gargarozzo,
rosso per sangue che lo soffocava,

e a modo suo parlò: “Tu che sei vivo,
e che credo t’avette visto su in Itaja,
si nun me confonno co’ quarcun’artro,

ricordete de Pier da Medicina,
si torni a rivedé quela pianura
che da Vercelli ariva fino ar mare.

E dí a quei notabbili de Fano,
messer Guido e l’artro è Angiolello,
dato che potemo véde avanti,

che un tiranno traditore da ‘na nave
li butterà ner mare de Cattolica,
affocati co’ le pietre ar collo.

Tra l’isole de Cipro e de Maiorca,
er mare nun vidde mai tanti delitti
compiuti da pirati o da li grechi.

Quer traditore, che cià ‘n’occhio solo,
e governa su Rimini, che uno spirto
de qui nun vorebbe avé mai visto,

li convocò pe’ fà ‘na trattativa;
e li libberò pe’ ssempre da li voti
pe’ scongiurà er vento de Focara”.

Io je risposi: “Spiegame mejo,
si vôi che de sopra facci er nome tuo
chi è che sdegnava quela tera”

Mise la mano contro la mascella
d’uno lí a fianco, je spalancò la bocca,
gridanno: “Ecchelo è lui, anche si nun parla.

Questo, cacciato da Roma, levò er dubbio
a Cesare dicennoje: l’attesa
porta sempre danno a chi è preparato”.

Quanto me sembrò sconvorto a ‘ste parole
Curio, co’ la lingua a pezzi ne la gola,
lui che da vivo l’usava ortre misura!

E uno ch’aveva ambo le mani mozze,
agitanno i moncherini gridava,
mentre er sangue je colava in faccia,

“E ricordete der Mosca, quanno dissi,
sventurato: - cosa fatta capo ha -;
quanti li mali che portai a Firenze!”

“E la rovina a la tua gente” aggiunsi;
quello ar dolore sommò artro dolore,
e co’ l’angoscia in petto, folle, annò via.

Io restai lí fermo a guardà li spirti
e quanto viddi perdo de coraggio
a riccontallo, senza avé ‘na prova;

solo la bona fede me conforta,
compagna fedele che t’assicura
la libertà de la coscienza onesta.

L’ho visto, e me pare de vedello ancora,
un corpo che camminava senza testa,
assieme a tutti l’artri de quer gruppo;

teneva la testa mozza pe’ la chioma,
appesa in mano come ‘na lanterna;
ce guardava e diceva: - povero me! -

e se faceva luce da sé stesso,
diviso in due eppure era uno solo;
solo er Signore sa come pô esse.

Quanno che arivò ar piede der ponte,
arzò er braccio co’ la testa appesa,
pe’ facce sentí mejo le parole,

e parlò: “Tu solo pôi capí la pena,
tu che sei vivo e vai vedenno i morti,
si ce n’è ‘n’antra crudele come questa.

Si vôi parlà de me ne l’artro monno
devi sapé che sò Bertram dal Bormio,
che ar giovane re detti er consijo

de ribbellasse ar padre, esseje ostile:
manco Achitofél ottenne tanto
a istigà Assalonne contro Davídde.

Quelli ch’ereno congiunti l’ho divisi
e mó, povero me!, la testa è sparta
dar midollo che sta dentro der tronco.

Co’mme se rappresenta er contrappasso”.

Dante

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