#329 - 27 aprile 2023
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Cinema

Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Stephen Boyd

Diari di Cineclub n°104, IV 2022

Di

Virgilio Zanolla

Stephen Boyd: do you now? In effetti, pur avendo preso parte a quasi sessanta film, alcuni di indiscutibili qualità, l’attore nord-irlandese è noto al pubblico italiano soprattutto per il ruolo di Messala nel Ben Hur di William Wyler.

Stephen BoydStephen Boyd

Pur essendo stato considerato un sex-symbol, non è mai giunto ad essere un divo - traguardo che peraltro non gli interessava nel modo più assoluto.
William Millar, questo il suo vero nome, era nato il 4 luglio 1931 a Glengormley nella contea di Antrim, una dozzina di chilometri a nord-ovest di Belfast, in una casa della frazione Whitehouse situata in Doagh Road; nono e ultimo figlio del camionista canadese James Alexander e di sua moglie Marta Boyd. Quand’era ancora infante la famiglia si trasferì in Glengormley centro, dov’egli studiò alle elementari nella scuola pubblica locale, in seguito nella Ballyclare High School e nella Hughes Commercial Academy, cominciando a lavorare molto presto per aiutare la famiglia. Nel frattempo, aveva scoperto il teatro, appassionandosi alla recitazione. Così, dopo aver prestato servizio presso una compagnia di assicurazioni e un’agenzia di viaggi, entrò stabilmente nella compagnia dell’Ulster Group Theatre in cui si formò come attore. Lavorò anche in radio, acquisendo una certa notorietà nel personaggio di un poliziotto nel programma The McCooeys. Grazie alla sua tenace volontà e alla sua prestanza, ottenne fin d’allora buoni risultati: nel 1949 girò il Canada in tournée con una compagnia teatrale di spettacoli estivi, l’anno seguente con la Clare Tree Major Company compì un tour degli Stati Uniti coast to coast, interpretando il protagonista Stanley Kowalski in Un tram chiamato desiderio di Tennessee Williams: un’esperienza che ricordò come la sua migliore prestazione d’attore.

Sanamente ambizioso, William cercava sempre di migliorarsi. Per compiere il definitivo passo avanti, nel 1952 decise di trasferirsi a Londra: purtroppo, appena giunto contrasse una pericolosa forma d’influenza e rischiò quasi di lasciarci le penne. Ripresosi, per sbarcare il lunario lavorò per qualche tempo come cameriere in un caffè, poi come usciere al Teatro Odeon, e per racimolare denaro non esitò a esibirsi quale musicista da strada nei pressi del cinema di Leicester Square, col compito di convogliare i partecipanti ai British Academy Awards. In tale occasione venne notato dal celebre attore Sir Michael Redgrave, il quale volle presentarlo al direttore della Windsor Repertory Company: fu il passo decisivo verso il rapido decollo della sua carriera teatrale, e non solo, giacché gli spettacoli di prosa a cui prese parte, stavolta col nome d’arte di Stephen Boyd, The Depp Bluie Sea di Terence Rattigan e Barnett’s Folly di Jan Stewer, entrambi del 1955, vennero ripresi e trasmessi dalla BBC, recandogli una certa popolarità, così come i tre episodi Born for Trouble di Desmond Davis, della sitcom The Adventures of Aggie.

Stephen BoydStephen Boyd

Il cinema - dove aveva esordito anonimamente nel ’53 nei panni d’un poliziotto nel giallo Black 13 di Ken Hughes, apparendo nel ’54 ne Le armi del re (Lilacs in the Spring) di Herbert Wilcox, accanto a un altro giovane di bellissime speranze come lui non accreditato: Sean Connery - gli aprì finalmente le porte. Nel ’55 apparve infatti in An Alligator Named Daisy di J. Lee Thompson, una commedia musicale con Diana Dors, e l’anno seguente, dopo aver firmato un contratto settennale con la 20th Century Fox, ebbe una migliore occasione nello spionistico L’uomo che non è mai esistito (The Man Who Never Was) di Ronald Neame, il suo primo film americano, dove nel ruolo di una spia filonazista riscosse un certo successo, e nel guerresco I fucilieri dei mari della Cina (A Hill in Korea) di Julian Amyes. Nel ’57 lavorò ne La settima onda (Seven Waves Away) di Richard Sale, accanto a Tyrone Power e Mai Zetterling, ne L’isola del sole (Island in the Sun) di Robert Rossen, e ne La casbah di Marsiglia (Seven Thunders) di Hugo Fregonese ottenne finalmente la prima parte da protagonista. Il regista Roger Vadim cercava un partner da affiancare a Brigitte Bardot nel drammatico Gli amanti al chiaro di luna (Les bijoutiers du clair de lune, ’58), e nella scelta dell’attore a quanto pare chiese consiglio proprio a lei, da cui aveva appena divorziato: B. B. scelse Stephen. Dall’agosto all’ottobre 1957, quest’ultimo fu impiegato nelle riprese del film, che si girò in parte a Parigi e in parte in Andalusia, a Málaga e a Mijas, con la Bardot, Alida Valli e Fernando Rey: e con l’affascinante attrice francese strinse una bella amicizia.

Nel gennaio 1958 Stephen giunse ad Hollywood, per interpretare il personaggio di Bill Zachary nel western Bravados (The Bravados) di Henry King, accanto a Gregory Peck, Joan Collins, Henry Silva e Lee Van Cleef: film girato in larga parte in Messico, nello Yucatan. Subito dopo, prese parte a un’audizione per il ruolo di Messala nel prossimo kolossal dell’MGM, Ben-Hur di William Wyler: una parte molto ambìta e per la quale erano già stati vagliati attori del calibro di Victor Mature, Kirk Douglas, Leslie Nielsen e Stewart Granger. Ma il provino di Stephen convinse Wyler d’avere davanti il Messala perfetto, per l’aspetto fisico virile e il talento d’interprete; così richiese e ottenne dalla Fox l’attore in prestito. Questi venne subito inviato a Roma, per esercitarsi col protagonista Charlton Heston nella famosa corsa delle quadrighe, una delle scene più spettacolari della storia del cinema; a causa dei suoi occhi azzurri, Stephen fu anche costretto ad usare lenti a contatto marroni, che per qualche mese gli causarono problemi alla vista. Una curiosità resa nota anni dopo da Gore Vidal, sceneggiatore ad interim del film nonché prezioso consulente per le riprese, fu che all’insaputa di Heston egli invitò Boyd ad esprimere «un’energia omosessuale» nel rapporto tra Messala e Judah Ben-Hur, per fare intendere come nel loro lontano passato essi fossero stati amanti: ciò che poi avrebbe meglio spiegato la ferocia dell’antagonismo di Messala verso Ben-Hur. A dispetto d’ogni difficoltà, Stephen ricordò sempre la lavorazione del film come l’esperienza più entusiasmante della sua carriera d’attore.

Stephen Boyd

Prima che Ben-Hur apparisse sul grande schermo, egli condivise con Susan Hayward la parte di protagonista nel drammatico Ossessione di donna (Woman Obsessed, 1959) di Henry Hathaway, e vestì i panni di Mike Rice in Donne in cerca d’amore (The Best of Everything, id.) di Jean Negulesco, in un cast prestigioso che includeva Joan Crawford, Brian Aherne, Hope Lange, Suzy Parker, Martha Hyer e Louis Jourdan.
Il 30 agosto del ’58 Stephen sposava a Londra l’italiana Mariella Di Sarzana, produttrice dell’MCA (Music Corporation of America): un matrimonio durato poco più di tre settimane, giacché il 23 settembre essi si separarono, e il 20 marzo del ’59 ottennero il divorzio. Per questo strambo connubio più tardi egli ammise le sue responsabilità: «Non ero sposato da una settimana quando sapevamo entrambi d’aver fatto un errore. È una brava ragazza, semplicemente non eravamo fatti l’uno per l’altra».

Se in alcune pubblicità di Ossessione di donna egli era stato etichettato come «il nuovo giovane Clark Gable», quando nel novembre ’59 uscì Ben-Hur Stephen acquisì immediatamente una caratura internazionale. Il suo Messala non solo entusiasmò il pubblico - in particolare quello femminile - ma altresì la stampa specializzata, che si sperticò nel tesserne le lodi (l’editorialista Erskine Johnson scrisse che l’armatura da guerriero romano faceva per lui «quanto un vestito attillato fa per Marilyn Monroe»). Il film di Wyler ottenne 11 premi Oscar e altri riconoscimenti, lui vinse un Golden Globe quale migliore attore non protagonista. Giornali e studios cinematografici erano subissati da valanghe di lettere delle sue fans, interessate a sapere qualcosa in più sulla sua vita, mentre piovevano offerte affinché interpretasse nuovi film.
Stephen misurò il suo successo nel 1960 apparendo in due seguiti programmi televisivi: nel gennaio in Hedda Hopper’s Hollywood, accanto a due star del muto quali Ramon Novarro e Francis X. Bushman, rispettivamente Ben-Hur e Messala nella versione di Ben-Hur diretta da Fred Niblo nel 1925, quindi il 3 febbraio in This Is Your Life, dove familiari e conoscenti dell’attore, tra cui Michael Redgrave, raccontarono aneddoti su di lui. Sempre in quel febbraio, apparve accanto a Dolores Hart nell’episodio The Sound of Trumpets della serie televisiva Playhouse 90. Il film successivo a cui prese parte fu Il grosso rischio (The Big Gamble, ’61) di Richard Fleisher, accanto a Juliette Gréco, girato tra la Francia, Dublino e la Costa d’Avorio: e tragicomico riferimento al titolo, un grosso rischio egli lo corré davvero, perché durante le riprese rischiò di annegare nel fiume Ardèche: a salvarlo fu il coprotagonista David Wayne, esperto nuotatore. Interpretò quindi Marco Antonio nel Cleopatra di Robert Mamoulian: ma una malattia della protagonista Liz Taylor posticipò le riprese della pellicola, cosicché Mamoulian venne sostituito da Joseph Mankiewicz e Stephen lasciò la parte a Richard Burton: quando si dice il destino...

Stephen Boyd

Gl’impegni cinematografici che seguirono lo videro di nuovo a fianco di Dolores Hart ne L’ispettore (Lisa, 1962) di Philip Dunne, poi di Doris Day ne La ragazza più bella del mondo (Billy Rose’s Jumbo, id.) di Charles Walters, commedia musicale il cui apporto gli meritò una nomination per il Golden Globe, quindi di Gina Lollobrigida in Venere imperiale (Imperial Venus, id.) di Jean Delannoy, dove una scena in cui egli appariva quasi nudo sollevò una tale levata di scudi da far sì che il film venisse proibito negli Stati Uniti. Lavorò poi con Diane Cilento ne Il terzo segreto (The Third Secret, 1964) di Charles Crichton, e con Sofia Loren ne La caduta dell’impero romano (The Fall of the Roman Empire, id.) di Anthony Mann; tra i film successivi, troppi per nominarli tutti, vanno citati almeno Tramonto di un idolo (The Oscar, 1966) di Russell Rouse, dove nei panni dell’ambizioso Frankie Fane, che a dispetto delle sue trame perde l’Oscar quale migliore attore, egli fornì una delle sue migliori interpretazioni; il fantascientifico Viaggio allucinante (Fantastic Voyage, id.) di Fleisher, accanto a Raquel Welch; il western Shalako (id, 1968) di Edward Dmytryk, a fianco di Sean Connery e Brigitte Bardot, in cui impersonò con grinta un ‘cattivo’. Riguardo ai ruoli di vilains, che da allora rivestì sempre più spesso, Stephen ebbe a dire: «Hanno tentato di fare di me un protagonista, ma non lo sono. Anche quando ho avuto la possibilità di scegliere un ruolo da protagonista, ho preferito quello di caratterista, se mi sembrava più interessante». Nel frattempo, era tornato anche al teatro, facendosi crescere la barba per interpretare un suo illustre conterraneo, l’ironico drammaturgo George Bernard Shaw nella commedia di Harold Callen The Bashful Genius (1967), dove riscosse grandissimo successo di critica e di pubblico.

Negli anni Settanta lavorò molto in Italia e in Spagna, ma sul set fornì la sua prova migliore nel thriller britannico Il racket dei sequestri (The Squeeze, 1977) di Michael Apted, interpretando Vic Smith, uno spietato mercante irlandese di materiale pornografico. Dopo il fallimento delle sue nozze con Mariella Di Sarzana, Stephen, che nel ’63 aveva ottenuto la cittadinanza statunitense, aveva intrecciato una lunga serie di relazioni sentimentali, tra cui quelle con le attrici Elana Eden, Dolores Hart (che anni dopo si fece suora), Anna Kashfi, Marilyn Hanold, e a quanto pare perfino con la Bardot; più duraturo fu il suo rapporto con l’attrice austriaca Marisa Mell, che fu sua partner in due film, con la quale tra il 1970 e il ’72 si legò anche con un matrimonio gitano. Nel ’74 si risposò davvero, con Elizabeth Mills, segretaria del British Arts Council: si erano conosciuti ventun anni prima, lei l’aveva seguito in California come assistente personale e segretaria: non era particolarmente attraente ma lo amava ed essendo stata sua amica e confidente lo accettava com’era. Sebbene Elizabeth avesse diciannove anni più di lui, il loro connubio fu felicissimo, anche se purtroppo durò assai poco: perché la mattina del 2 giugno 1977, mentre si trovava con lei al volante di un golf cart sul campo del Porter Valley Country Club di golf di Northridge presso Los Angeles, Stephen venne colpito da infarto, e condotto d’urgenza all’ospedale di Granada Hills morì in meno di un’ora, all’età di quarantacinque anni, dieci mesi e ventotto giorni. Le sue ceneri riposano in una celletta all’Oakwood Memorial Park Cemetery di Chatsworth, nella San Fernando Valley, unite a quelle della moglie, spentasi nel 2007.

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