Per ricordare ancora i 100 anni di Pier Paolo Pasolini
Pasolini e la musica
Tratto da Diari di Cineclub n.114
Le colonne sonore
Alcuni amici di Pier Paolo Pasolini hanno più volte testimoniato l’intenzione del poeta di approfondire – soprattutto nell’ultimo periodo della sua vita - la sua conoscenza della musica: voleva imparare a suonare e comporre. Aveva avuto sempre questa vocazione, anche da giovane.
Nel giovanile “Atti impuri” così si rivolge alla sua amica violinista Dina: “Lei deve spicciarsi a insegnarmi a suonare. Bisogna che mi esprima in musica. Sento che la musica è il mio più vero modo di sentire”.
D’altra parte l’opera di Pasolini non è muta, il suono svolge un ruolo fondamentale. Il suono delle parole, gli accenni a musiche e canzoni sono continuamente presenti negli scritti (per esempio ne Il sogno di una cosa la narrazione è intervallata da canzoni popolari, dalle antiche villotte friulane ai canti religiosi fino a Bandiera rossa), nei suoi romanzi c’è una permanente evoluzione del paesaggio musicale, naturalmente suonano le esemplari colonne sonore dei suoi film e suona la sua inconfondibile voce nei rari e memorabili interventi.
Il suo orizzonte - scrive Giampiero Bigazzi - si pone nella realtà, è sempre proiettato verso il mondo e ne cattura la musica, avvolta in quella angosciata energia che ha segnato tutta la sua vita, fino all’ultimo atto.
Nei suoi primi film decide di ingaggiare musiche molto impegnative, con spirito anticonformista sceglie opere di musica classica. Non ha rapporti con compositori specializzati, ma seleziona e applica personalmente. È musica che in qualche modo gli appartiene, che interpreta come arte, un idioma adeguato al suo mondo culturale: rappresenta il mondo più intimo del regista, una sorta di sua diversificazione culturale e non è solo musica funzionale alle immagini.
In Accattone (1961) impiega di J.S.Bach la Passione Secondo Matteo (composizione che riappare in altri quattro suoi film…), frammenti dei Concerti Brandeburghesi e la Cantata Bwv 106; in Mamma Roma brani di Antonio Vivaldi diretti da Carlo Rustichelli; ne Il Vangelo Secondo Matteo ritorna a Bach, e poi Mozart, Prokofiev, Webern (oltre a Luis Bakalov e vari canti gospel).
Il rapporto con la musica di Bach è profondo, era il compositore che più amava (“per me la musica di Bach è la musica in sé, la musica in assoluto”). C’è il senso del sacro e la sacralità della morte che accomuna due arti così lontane nel tempo e nella forma, ma vicine nei pensieri dei due autori: il mistero, la sublimazione, la redenzione. Due artisti mistici, profondamente religiosi. Da Uccellacci Uccellini (1966) inizia la collaborazione con Ennio Morricone e l’abbandono (però mai definitivo e mai completo) della preesistente musica classica. Il grande compositore ha più volte raccontato il primo incontro con il regista: “Quando l’ho conosciuto, ho trovato un uomo operoso e serio, molto rispettoso e onesto… Fui colpito dalla sua presenza al punto tale che il mio ricordo del nostro primo incontro rimane ancora molto prezioso per me”. Pasolini, memore delle esperienze precedenti, gli mostrò una lista di celebri brani e chiese “cortesemente” al Maestro di adattarli. Morricone, da compositore, ovviamente rifiutò: non poteva fare arrangiamenti di musiche altrui. “Lui rimase in silenzio alcuni secondi, disorientato, poi mi disse: allora fai come vuoi… rimasi spiazzato dalla reazione di Pasolini: mi aveva dato la sua totale fiducia”. Ennio Morricone ha quindi realizzato le musiche per altri sette film di Pasolini (La Terra vista dalla Luna ne Le streghe, Appunti per un film sull’India, Teorema, Decameron, I Racconti di Canterbury, Il Fiore delle Mille e una Notte, Salò o le 120 giornate di Sodoma). Avuta la piena autonomia da parte del regista (“a differenza di altri”), lavorò anche su riadattamenti di pagine classiche (per esempio dal Flauto Magico di Mozart) e seppe donare la sua solita capacità di spaziare fra suoni classici e soluzioni popolari, spesso attraverso l’uso di strumenti tradizionali.
L’esperimento più geniale resta il primo, la “canzone” con il testo creato dai titoli di testa proprio del film con Totò. Morricone ci pensò a lungo e alla fine si convinse che sarebbe stata una idea straordinaria, componendo una ballata molto eterogenea, che riassumeva un po’ tutti i contenuti della colonna sonora del film.
Quello fra lo straordinario musicista e il grande poeta fu un sodalizio profondo, prova di un’amicizia (pur dandosi sempre del lei…) ricca di rispetto e apprezzamento reciproco. Fra l’altro la collaborazione ebbe momenti al di fuori del cinema come quando, nel 1970, Pasolini scrisse per Morricone il testo di Meditazione orale (che avrebbe poi registrato con la sua voce) per una composizione in occasione del centenario di Roma capitale d’Italia, oppure - dedicato ai suonatori ambulanti, i “posteggiatori” romani - Caput Coctu Show per otto strumenti e un baritono del 1969, o anche la Postilla in versi, per un brano su un tema infantile che il compositore, a forza di elaborazioni, terminò soltanto nel 1989 (e che alla fine intitolò Tre scioperi per una classe di 36 ragazzi e un professore).
Pasolini intervallò la collaborazione con Ennio Morricone con il collaudato esercizio di usare musiche già realizzate (i pochi suoni in Edipo Re, le musiche di ispirazione etnica in Medea, con il brano The Segah Mode composto dall’iraniano Hossein Malek, virtuoso del santur), o il compositore toscano Benedetto Ghiglia (Porcile), autore di molte colonne sonore dell’epoca, oppure il sax di Gato Barbieri (Appunti per un’Orestiade africana del 1970) con un trio jazz e le voci di Yvonne Murray e Archie Savage. Schegge classiche e popolari, senza un reale contrasto, usate per chiudere il cerchio fra cultura alta e cultura bassa, rompendone i confini.
L’evoluzione musicale di Pasolini parte, come abbiamo visto, dalla profonda passione per alcuni compositori classici, ma poi torna ai canti delle sue radici, il Friuli e l’atavico rapporto con la terra di sua madre, e poi ancora alla cultura del sottoproletariato romano (con importanti escursioni nelle musiche del mondo).
Questo - conclude Giampiero Bigazzi - è il percorso del poeta che lo porta lontano dall’omologazione del consumismo, esplorando le contraddizioni fra la cultura popolare, le canzoni di quegli anni, la loro presa sull’innocenza del proletariato. È l’anello fra il concreto e l’astratto: nella famiglia delle borgate non scarseggiava la musica, nella famiglia borghese di Teorema c’è solo il silenzio, oppure assillano i suoni delle sirene delle fabbriche.
Pasolini ha avuto sempre uno stretto rapporto con la musica intesa come linguaggio, come mezzo di comunicazione con l’ambiente. La sua opera è un continuo intreccio di poesia e musica. Parole e immagini che, come in qualche modo successe anche nel Rinascimento, si mescolano con la musica.