#327 - 1 aprile 2023
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerà il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Storia

Note sulla
Memoria dei Giorni

Aldo Fabrizi: Personalità simbolo della romanità nel cinema, Aldo Fabrizi è stato uno dei migliori attori italiani del Novecento.
Romano "de Roma", nacque in una famiglia modestissima e, rimasto presto orfano, fu costretto a fare i lavori più umili, prima di muovere i primi passi nel varietà. Dal suo vissuto personale trasse ispirazione per le numerose macchiette, che lo resero celebre prima a teatro e poi in TV.
Ugualmente al cinema dimostrò la medesima versatilità nel vestire i panni dei più disparati personaggi, la maggior parte legati al contesto sociale della Capitale: alternò ruoli di grande intensità drammatica, come il prete di Roma città aperta (accanto a una straordinaria Anna Magnani, con cui recitò in altri film), ad altri di irresistibile comicità, su tutti quelli in coppia con Totò (da "Guardie e ladri" a "Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi").
Premiato con il David di Donatello alla carriera nel 1988, due anni dopo scomparve a Roma e venne sepolto al Cimitero Monumentale del Verano.

Alcide De Gasperi: La più alta figura di statista che l'Italia abbia conosciuto, ricordato come primo Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica e padre fondatore dell'Unione Europea.
Nato a Pieve Tesino, in provincia di Trento, da una famiglia di umili origini, poté completare gli studi solo grazie ad un sussidio concesso dal governo austriaco, essendo all'epoca il Trentino una regione dell'Impero austro-ungarico. Laureatosi in Filologia all'Università di Vienna, prima come studente e poi come membro del parlamento austriaco si batté per la minoranza italofona.
Eletto deputato a Roma tra le fila del Partito Popolare Italiano di Don Luigi Sturzo nel 1921, quattro anni dopo ne divenne segretario, portandolo su posizioni contrarie al regime mussoliniano e pagando il suo antifascismo con il carcere. Impegnato durante il conflitto nel "Comitato di Liberazione Nazionale", nel 1942 fondò la Democrazia Cristiana, di cui fu il primo segretario e presidente dal 1946 al 1954.
Prese parte agli ultimi governi del Regno d'Italia come Ministro degli Esteri nel 1944 e come Presidente del Consiglio dei Ministri nell'anno seguente; carica, quest'ultima, che mantenne dopo la proclamazione della Repubblica nel 1946, guidando per due anni il governo di unità nazionale fino all'approvazione della carta costituzionale.
In politica estera le sue conquiste più rilevanti, in particolare il prestito di 100 milioni di dollari ottenuto dagli USA e la difesa di importanti territori, quali l'Alto-Adige e la Valle d'Aosta, durante gli accordi di pace con i vincitori della Seconda guerra mondiale. Pur da cattolico convinto, difese la laicità delle istituzioni rifiutando l'alleanza con monarchici e post-fascisti, caldeggiata dal Vaticano, in occasione delle elezioni amministrative di Roma.
Scomparso nell'agosto del 1954, la Chiesa ha avviato il processo di canonizzazione, riconoscendogli il titolo di "Servo di Dio".

Marlon Brando: Tra i divi di Hollywood è il bello e tenebroso per antonomasia, ma soprattutto uno degli attori più talentuosi di sempre e un modello di recitazione per tantissimi dopo di lui.
Nato ad Omaha, nel Nebraska, e morto a Los Angeles nel luglio del 2004, frequentò la scuola d'arte drammatica "The Dramatic Workshop" di New York, debuttando a Broadway nel 1944 e affinando nel mentre la propria tecnica con i corsi all'Actor's Studio (fucina di star del calibro di Paul Newman, Al Pacino e Robert De Niro).
Tre anni più tardi salì alla ribalta della critica teatrale con il ruolo del burbero protagonista di Un tram che si chiama Desiderio, dramma capolavoro di Tennessee Williams, la cui versione cinematografica firmata da Elia Kazan (premiata con quattro Oscar) valse a Brando, nel 1952, la prima nomination all'Oscar come "miglior attore protagonista".
Dopo averlo sfiorato nuovamente con il film "Viva Zapata" (con cui trionfò al 5° Festival di Cannes), conquistò l'ambita statuetta nel 1955 con il celebre Fronte del porto (regia di Kazan), che ne consacrò il fascino ribelle e tenebroso. Al declino degli anni Sessanta seguì la strepitosa risalita del decennio seguente, con interpretazioni entrate nella storia della "settima arte".
Da Don Vito Corleone de Il padrino, che gli valse il secondo Oscar nel 1973, al colonnello Kurtz di "Apocalypse now" del 1979 (entrambe le pellicole magistralmente dirette da Francis Ford Coppola), passando per il protagonista dello scandaloso "Ultimo tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci.
Vincitore tra gli altri di cinque Golden Globe e nominato otto volte all'Oscar, si rifiutò di ritirare la seconda statuetta per protestare contro le ingiustizie verso le minoranze etniche, arrivando a donare agli indiani alcuni terreni a Santa Monica, in California.

Gregory Peck: Tra i divi assoluti di Hollywood, è stato uno degli attori di maggior fascino nella storia del cinema mondiale.
Nato a La Jolla, nella California meridionale, e scomparso a Los Angeles nel giugno 2003, Eldred Gregory Peck da giovane abbandonò gli studi universitari per dedicarsi alla carriera cinematografica. A 28 anni ottenne il primo contratto, nel film “Tamara, figlia della steppa” del 1944, e al secondo film, Le chiavi del paradiso, era già popolare grazie alla prima nomination agli Oscar.
A farne una star fu il regista Alfred Hitchcock che in Io ti salverò (1945) lo affiancò alla bellissima Ingrid Bergman, creando una delle coppie più riuscite del grande schermo. In questo periodo lavorò con i registi più in voga, sfiorando per tre volte l'ambita statuetta con "Il cucciolo", "Barriera invisibile" e "Cielo di fuoco".
Entrò nel mito la sua interpretazione dello squattrinato giornalista che, tra le strade di Roma, s'innamora di una giovane principessa, interpretata da Audrey Hepburn, in Vacanze romane (1953) di William Wyler. Dieci anni più tardi vinse l'Oscar come "migliore attore protagonista", per il film Il buio oltre la siepe.
Seguirono poi pellicole poco fortunate, prima che l'attore decidesse di dedicarsi a miniserie e ad alcuni film per la TV. L'ultima sua perla è del 1991: "Cape Fear - Il promontorio della paura", rifacimento di Martin Scorsese dell'omonimo film nel quale l'attore statunitense aveva recitato nel 1961.

Terremoto dell'Aquila: Alle 3:32 di lunedì 6 aprile del 2009 si aprì una profonda ferita nel cuore geografico dell'Italia e nella memoria collettiva, che a distanza di anni dal disastro è ben lungi dal rimarginarsi.
Preceduta da uno sciame sismico registrato a partire dal 14 dicembre 2008, la scossa di quella tragica notte toccò i 6,3 gradi di magnitudo, radendo al suolo gran parte del centro storico del capoluogo abruzzese e delle frazioni di Onna, Paganica e Tempera. Pesantissimo il bilancio umano: 309 vittime e 1.178 feriti, oltre a 65mila sfollati.
Avvertito principalmente in Abruzzo e in misura minore nel Lazio e nelle Marche, il sisma dell'Aquila è risultato, per numero di vittime e danni materiali (oltre 10 miliardi di euro), il 5º terremoto più distruttivo in Italia in epoca contemporanea.
La burocrazia e la complessità del contesto urbano continuano a rallentare la ricostruzione dell'Aquila, ad oggi ridotta a un enorme cantiere a cielo aperto. A ciò si aggiungono le diverse inchieste giudiziarie, una delle quali ha portato nel 2013 alla condanna, in primo grado, di 7 scienziati, all'epoca dei fatti membri della commissione Grandi Rischi. L'accusa è di aver dato false rassicurazioni alla popolazione locale, rispetto allo sciame sismico d'intensità crescente, registrato cinque giorni prima del terremoto.
La sentenza è stata quasi del tutto ribaltata in appello, nel 2014, con l'assoluzione di sei dei sette imputati; assoluzione confermata anche in Cassazione.

Gian Maria Volonté: Rivoluzionario, partigiano, idealista, anarchico. Per lui gli aggettivi si sprecano, ma i più tra gli addetti ai lavori sono concordi nel ritenerlo l'attore più completo del cinema italiano del Novecento.
Nato a Milano, in piena epoca mussoliniana, suo padre fu nella milizia fascista e alla fine della guerra finì in prigione con l'accusa di aver assassinato alcuni partigiani. Un'eredità pesante per il giovane Volonté che, per fare fronte alle limitate disponibilità economiche della famiglia, lasciò gli studi dedicandosi a diversi lavori, tra cui il raccoglitore di mele in Francia.
Appassionatosi alle letture di Camus e Sartre, nel 1954 s'iscrisse all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di Roma, per studiare recitazione. Il suo talento innato lo portò ad ottenere il primo ruolo tre anni dopo quando era ancora studente, nello sceneggiato televisivo "La foresta pietrificata". Protagonista, nel 1962, del film di denuncia "Un uomo da bruciare", andò incontro alla fama internazionale grazie al ruolo di cattivo negli spaghetti western di Sergio Leone, "Per un pugno di dollari" e "Per qualche dollaro in più".
Fermamente convinto che il cinema, come la cultura, fosse soprattutto impegno civile, dopo lo strepitoso successo di A ciascuno il suo (che gli valse il primo Nastro d'argento come "miglior attore protagonista") si dedicò esclusivamente alle pellicole di denuncia, trovando in Elio Petri e Francesco Rosi i registi ideali. Con loro diede il meglio di sé in opere come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (premiato con il David di Donatello), "Uomini contro" (1970), "La classe operaia va in paradiso" (1971), "Il caso Mattei" (1972).
Premiato ai festival di Cannes e Berlino, nel 1991 ottenne il Leone d’Oro alla carriera a Venezia. Quattro anni dopo, si spense a Florina, in Grecia, durante le riprese del film "Lo sguardo di Ulisse" di Theo Angelopoulos.

Disastro Moby Prince: «Siamo incendiati! Ci è venuta una nave addosso!» Nel cuore della notte un disperato allarme arriva alla capitaneria di Porto di Livorno, che allerta i soccorsi. Tutti in salvo gli uomini della petroliera Agip Abruzzo ma è troppo tardi per l'altra nave, ridotta ormai a un groviglio di lamiere in fiamme. A distanza di oltre vent'anni, sui fatti di quella tragica notte gravano contraddizioni e omissioni.
Sono le 22.03 di mercoledì 10 aprile 1991, il traghetto di linea Moby Prince (proprietà della compagnia di navigazione privata Nav.Ar.Ma) parte da Livorno con direzione Olbia. A bordo 140 persone, 76 passeggeri e 65 membri dell'equipaggio, agli ordini del comandante Ugo Chessa. Il clima è disteso e molti sono raccolti nella sala bar, a guardare in Tv il big match Barcellona vs Juventus, semifinale di andata di Coppa delle Coppe.
Circa venti minuti dopo il traghetto percorre la rada che poi immette in mare aperto. In quel tratto avviene l'irreparabile: la nave passeggeri finisce con la prua nella pancia della petroliera Agip Abruzzo, nei cui serbatoi sono stipati 2.700 tonnellate di petrolio Iranian Light. In pochi attimi il mare attorno si trasforma in una larga macchia nera che inizia a prendere fuoco, avvolgendo la prua della nave passeggeri.
Alle 22.25 arriva il "may day" del marconista della Prince, seguito dieci minuti dopo dall'allarme dato via radio dal comandante dell'Agip Renato Superina, che conferma la collisione parlando erroneamente di una bettolina (piccola imbarcazione utilizzata all'interno dei porti). Ciononostante i soccorsi raggiungono il luogo dell'impatto verso le 23, traendo in salvo i 18 occupanti della petroliera. Dell'altra nave se ne sono perse le tracce.
Soltanto alle 23,35, e per puro caso, due ormeggiatori s'imbattono nella Moby Prince che nel frattempo, come impazzita, si è messa a girare in circolo. Davanti ai loro occhi c'è un inferno di fuoco, in mezzo al quale viene colto un unico segno di presenza umana: attaccato al parapetto, il mozzo di origini napoletane Alessio Bertrand è riuscito ad evitare le fiamme e su esortazione dei due ormeggiatori si lancia in mare. Sarà l'unico sopravvissuto di quella notte.
In quegli attimi sopraggiunge una motovedetta della Capitaneria di Porto livornese che, dopo aver indugiato per mezz'ora, fa ritorno alla base. L'amara constatazione dei fatti, confermata durante i processi, dice che il primo soccorritore a mettere piede sulla Prince è il marinaio Giovanni Veneruso, incaricato di agganciare la nave per trainarla con un rimorchiatore all'interno del porto. Il tutto avviene alle 3,30 del mattino quando ormai del traghetto resta poco più di un relitto spettrale di fumo e lamiere.
L'opinione pubblica è sconvolta dalle prime immagini trasmesse dai telegiornali ma ricostruzioni troppo frettolose, confermate da esponenti del governo centrale, parlano di "errore umano" dovuto alla presenza di nebbia. L'ipotesi della nebbia viene confermata in sede giudiziaria nei due processi: il primo per omissione di soccorso e omicidio colposo, il secondo per manomissione a bordo, che non portano ad alcuna condanna avvalorando indirettamente la tesi dell'errore umano.
Una verità processuale che scontenta i familiari delle vittime, che si appellano alla contraddittorietà di alcuni aspetti, a cominciare dall'enorme ritardo dei soccorsi. In più molti testimoni, tra cui ufficiali di marina e semplici cittadini, confermano che in quelle ore non c'è stata alcuna nebbia e le fiamme erano ben visibili dal porto. A confermarlo è anche un video amatoriale trasmesso dal TG1, nelle sere successive al disastro.
Alcune perizie dimostrano che i passeggeri della nave sono sopravvissuti per diverso tempo dopo l'impatto. Dal ritrovamento dei corpi emerge che la maggior parte è stata raccolta nel salone De Lux, circondato da paratie che avrebbero impedito per oltre mezz'ora la propagazione del fuoco. I test tossicologici, inoltre, confermano la presenza di monossido di carbonio nel sangue delle vittime, segno evidente del fatto che sono rimasti in vita per ore.
Negli anni a seguire, per mantenere vivo il ricordo, il Comune di Livorno dedica una piazza alle vittime, mentre in via Molo Mediceo pone una targa con i loro nomi.

Primo uomo nello spazio: Conquistare per primi lo spazio, allo scopo di dominare meglio la Terra. Una sfida che per circa vent'anni vide contrapposti i due "grandi blocchi". La fase iniziale vide trionfare quello sovietico, che portando l'uomo nello spazio alzò l'asticella della sfida e costrinse gli Americani a correre ai ripari.
Il clima di guerra fredda, imperante nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, vide Stati Uniti d'America e Unione Sovietica contendersi pezzi di mondo e dimostrare la propria potenza tecnologica e militare con una corsa sfrenata agli armamenti. In quest'ottica la conquista del cosmo garantiva due importanti risvolti: con il lancio di satelliti nello spazio sarebbe stato più facile spiare il nemico; farlo in anticipo sugli avversari avrebbe significato propagandare i rispettivi progressi scientifici.
Il lancio dello Sputnik nel 1957, primo satellite nello spazio, aveva assegnato il primo prestigioso round all'U.R.S.S., battendo sul tempo gli Americani che tre mesi più tardi mandarono in orbita l’Explorer 1. Nel 1960 il regime guidato da Nikita Krusciov sembrava pronto a un altro clamoroso sorpasso. Con il progetto Vostok si mirava, per la prima volta, a portare l'uomo nell'orbita terrestre.
Dalla primavera del 1960 al marzo dell'anno seguente vennero effettuati diversi lanci, utilizzando manichini e in molti casi animali, come cani e ratti, alcuni dei quali persero la vita durante il volo o in fase di atterraggio. La fase più drammatica si ebbe con la catastrofe di Nedelin: un missile intercontinentale esplose sulla rampa di lancio, provocando la morte di oltre 200 dipendenti. Un episodio che aumentò le condizioni di rischio per un eventuale coinvolgimento umano.
Tuttavia non c'era molto tempo, visto che gli USA avevano programmato per marzo del 1961 il lancio del Mercury con un astronauta a bordo, poi rimandato a maggio. Nel frattempo l'agenzia spaziale sovietica RKA era stata incaricata di addestrare 20 cosmonauti, tra i quali sarebbe stato scelto il miglior pilota. La selezione premiò Jurij Alekseevič Gagarin, che il 12 aprile si accomodò all'interno della capsula del Vostok 1, sulla rampa di lancio del Cosmodromo di Bajkonur (nella steppa del Kazakistan).
Il razzo si alzò alle 9.07 (ora di Mosca) e pochi minuti dopo Radio Mosca annunciò trionfalmente la notizia. Tutti i vari passaggi funzionarono senza problemi, anche perché i comandi erano azionati da terra e il pilota poteva fungere solo da spettatore passivo. Lo stesso aveva a disposizione riserve d'ossigeno e provviste alimentari per dieci giorni, nel caso fossero insorti inconvenienti al sistema computerizzato.
Non ce ne fu bisogno. Gli 89 minuti di volo trascorsero senza contrattempi e la navicella riuscì a eseguire un'orbita terrestre completa prima di rientrare nell'atmosfera. Alle 10.35, a una quota concordata di 7.000 m, Gagarin si catapultò dalla capsula e appeso al paracadute atterrò nei pressi della città di Engels. Venne accolto come un eroe e la propaganda sovietica fece risaltare al massimo l'evento.
Non v'era dubbio che con la sua impresa era stata scritta una pagina storica del progresso scientifico, destinata ad allargare gli orizzonti delle conquiste umane. Tra i suoi primati, anche quello di osservare che il colore predominante della Terra, vista dallo spazio, era il blu. Gagarin descrisse in numerose interviste lo spettacolo cui aveva assistito, esortando il genere umano a impegnarsi di più nella conservazione del pianeta.

Antonio Meucci: La sua fama di inventore è legata a uno degli "scippi" più clamorosi della storia, di cui, seppur con un ritardo di oltre un secolo, gli è stata resa giustizia.
Nato a Firenze e morto a Staten Island (isola di New York) nell'ottobre del 1889, si appassionò alla chimica e alla meccanica, in particolare alla parte dedicata all'acustica e all'elettrologia, alla "Scuola di Elementi di Disegno di Figura" all'Accademia di Belle Arti. Assunto come macchinista al Teatro della Pergola, qui attrezzò un piccolo laboratorio dove mise a punto un telefono acustico per comunicare all'interno del teatro.
Scritturato insieme alla moglie Maria da una compagnia teatrale attiva a Cuba, qui divenne una sorta di eroe per i preziosi contributi al sistema di disinquinamento dell'acqua e per aver introdotto la galvanostegia, una pratica che permette di ricoprire un metallo non prezioso con un sottile strato di un metallo più nobile per impedirne la corrosione.
Nel 1849, nel corso di esperimenti di elettroterapia, Meucci scoprì la trasmissione della voce per via elettrica e diede al sistema il nome di “telegrafo parlante”, ribattezzato telettrofono. Perfezionò l'invenzione a New York, anche e soprattutto per poter comunicare con la moglie costretta a letto da una grave malattia.
Depositato il caveat (una sorta di brevetto provvisorio) con il titolo “Sound Telegraph” nel 1871, per ristrettezze economiche non riuscì a rinnovarlo a partire dal 1874. Ciò spalancò la strada all'ingegnere scozzese Alexander Graham Bell che nel 1876 ottenne il brevetto del telegrafo elettrico, noto come il primo telefono della storia.
L'episodio aprì una lunga contesa tra Italia e Stati Uniti a colpi di carte bollate e sentenze, risolta in parte nel 2002, quando il Congresso degli Stati Uniti riconobbe la priorità dell'italiano nell'invenzione del telefono. In quel contesto emerse che lo stesso Meucci aveva presentato i suoi disegni all'American District Telegraph, la società per cui lavorava Bell, prima che quest'ultimo depositasse il brevetto.
Tra gli altri brevetti depositati dall'inventore fiorentino: le "Bevande frizzanti" a base di frutta e vitamine, i "Fogli di carta bianca e resistenti", un "Nuovo modo di fabbricare candele" e gli "Oli per vernici e pitture".

Prima edizione della Milano-Sanremo: In una fredda e piovosa mattina dell'aprile 1907, la partenza slitta dalle 4.30 alle 5.15, ma solo 33 dei 62 iscritti sono pronti, all'Osteria della Conca Fallata (alla periferia di Milano lungo il Naviglio Pavese), per dare inizio alla prima "Milano-Sanremo".
Comincia così la prestigiosa storia della "Classica di Primavera", la gara ciclistica che apre la stagione e che da oltre un secolo vede pedalare, lungo il suo percorso di quasi 300 km, i più grandi campioni del ciclismo, come il sette volte vincitore Eddy Merckx.
Dopo 281 chilometri, pedalando alla media di 26 km/h, il francese Lucien Petit Breton taglia per primo il traguardo. Nel 1909, Luigi Ganna è il primo vincitore italiano della Sanremo e, fino al 2019, l'Italia è prima con 51 vittorie (dopo quella del 2006 di Filippo Pozzato, è Vincenzo Nibali a tagliare per primo il traguardo nel 2018), seguita dal Belgio con 20 e dalla Francia con 14. L'edizione 2020 è rinviata forse al mese di luglio a causa della pandemia globale.

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