L'iniziativa del Diario di Conoscenda 2023 - Edizioni Conoscenza
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Poetesse: Sulpicia
La dotta puella che non cela le passioni e ama la città
“Ma giova aver peccato. Mi disturba
atteggiare il mio volto alla virtù.
Si dirà che son degna di lui, e lui di me”
Seppur all’ombra di un poeta, in quanto la sua opera letteraria è contenuta nel terzo libro del celebre Corpus attribuito al più celebre poeta elegiaco Tibullo, giunge fortunatamente a noi la figura della poetessa Sulpicia (I sec. a.C.), che può essere definita la Saffo romana e che rappresenta l’unica voce femminile della poesia latina di età classica.
Sappiamo che apparteneva all’alta società romana; figlia di un celebre oratore, Servio Sulpicio Rufo, e di una donna appartenente alla gens Valeria, sorella di Messalla Corvino, protettore dei poeti elegiaci, tra cui Ovidio e Tibullo. La sua appartenenza alla classe aristocratica le consentì di frequentare insigni intellettuali e la sua attività letteraria si colloca in seno al circolo di Messalla Corvino.
Sono giunte fino a noi undici brevi elegie che costituiscono il “ciclo di Sulpicia e Cerinto”. I primi cinque componimenti celebrano la bellezza di Sulpicia, il suo essere una docta puella, e il suo amore per Cerinthus (forse Cornutus, amico di Tibullo), e sono da attribuire con ogni probabilità a un poeta del circolo di Messalla Corvino. I restanti sei componimenti sarebbero, invece, attribuibili con maggiore sicurezza a Sulpicia.
Con versi molto eleganti, la poetessa canta con coraggio, convinzione e un pizzico di ribellione il suo amore per il giovane Cerinthus secondo i topoi della poesia elegiaca: l’infedeltà dell’amato che la tradisce con un’altra donna (per giunta di bassa condizione sociale), la malattia d’amore, il dolore per la lontananza dall’amato.