Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Suzanne Grandais
Diari di Cineclub n°66, VII 2020
Di
Virgilio Zanolla
Negli anni Dieci del Novecento, quelli centrali del muto, in Europa ogni scuola cinematografica di rilievo aveva la sua o le sue ‘divine’: l’Italia, la Bertini e la Borelli, la Danimarca Asta Nielsen, la Germania Henny Porten, la Gran Bretagna Gladys Sylvani, la Russia Vera Kholodnaja... A Suzanne Grandais l’appellativo ‘divina’ sarebbe stato forse un po’ largo, perché suonava compassato: per i personaggi che incarnava e la sua recitazione di moderna asciuttezza ella infatti venne definita ‘la Mary Pickford del cinema francese’, e Louis Delluc la paragonò a Pearl White. Dobbiamo molte notizie sulla sua vita alle appassionate ricerche di Didier Blonde.
Era nata a Parigi, in casa d’una levatrice, al civico 161 dell’avenue de Clichy, il 14 giugno 1893, e si chiamava in realtà Suzanne Gueudret; figlia secondogenita del trentacinquenne Victor Claude, conduttore di omnibus, e della ventiduenne Marie-Louise Audeux, domiciliati in rue de Poteau 7, a Montmartre.
Alla carriera d’attrice sembrava predestinata, perché la madre, lavorando come figurante nei teatri per arrotondare le entrate familiari, aveva modo di proporre le figlie all’attenzione dei vari metteur en scène; del resto anche Gabrielle, la sua primogenita, divenne attrice e cantante col nome di Gaby Sonia.
A sei anni, Suzanne apparve come figurante in alcuni shorts girati dalla Société Française des Films Eclair, e posò per delle cartoline postali coi soliti temi (auguri di Natale, di Pasqua, di Buon Compleanno, la Sacra Famiglia, ecc.). A otto, esordì in palcoscenico nel Théâtre du Château d’Eau al 50 di rue de Malte, il futuro Alhambra, nel ruolo di Georgette in Trente ans ou la vie d’un joeur, un popolare melodramma di Victor Ducange; fu poi la giovane Nanà nella ripresa di un adattamento teatrale del romanzo L’Assommoir di Émile Zola.
Nel 1905, quando contava dodici anni e aveva da poco ottenuto la licenza elementare, il padre morì, travolto dai cavalli dell’omnibus che guidava. La famiglia si trasferì in un più modesto appartamento al 10 di rue Championet; Suzanne imparò a cucire e trovò lavoro come apprendista presso un laboratorio che confezionava gilet; ma non lasciò il mondo dello spettacolo: e presto trovò spazio come ballerina nei music-hall. Aveva solo quindici anni quando tra le quinte del Moulin Rouge conobbe il trentunenne Robert Saidreau (alias Jean-Marie Robert Sordes), futuro attore, sceneggiatore, regista e produttore cinematografico: un bell’uomo distinto del quale s’innamorò, e nonostante i sedici anni di differenza che correvano tra loro lasciò madre e sorella per andare a vivere con lui.
Grazie anche a Saidreau, ella lavorerà - all’inizio come generica o con modesti ruoli - in vari teatri: l’Antoine, il Sarah Bernhardt, la Porte Saint-Martin, il Variétés, assumendo il cognome d’arte di Grandais: in quello stesso 1908 apparve al Variétés come figurante nella commedia Le Roi di Robert de Flers e Gaston de Caillavet; nell’ottobre 1909 fu poi la modella «M.lle Suzy» nel dramma La Griffe di Henry Bernstein, accanto a Lucien Guitry, al Théâtre de la Porte Saint-Martin; prese parte anche ad alcune riviste ai Capucines, all’Olympia, al Moulin Rouge. Nei ‘tempi morti’ tra l’uno e l’altro spettacolo continuava a lavorare come generica al cinema presso le case di produzioni Gaumont, Lux ed Eclair, dove talvolta otteneva piccoli ruoli.
In teatro riuscì finalmente a mettersi in luce con la commedia burlesca in tre atti Le Château des loufoques, scritta da Benjamin Rabier ed Émile Herbel e messa in musica da Albert Chantrier, andata in scena per la prima volta il 17 ottobre 1910 al Théåtre de Cluny, al 71 del Boulevard Saint-Germain; la sua parte, quella della ‘seconda donna’, fece scrivere al reputato critico Edmond Stoulling: «La signorina Grandais (diciassette anni e quattro mesi) ha fatto del ruolo di Armandine una figura sveglia e distinta che spicca con gentilezza in quest’immensa burla». La compagnia poi intraprese una tournée nell’America latina, nella quale Suzanne ricoprì i ruoli di Lorget ne L’Aiglon di Rostand, de la Poule Blanche in Chanteclerc dello stesso Rostand e di Nichette ne La Dame aux camélias di Alexandre Dumas fils.
In quel 1910 ella «nacque» anche nel cinema, dove pure lavorava fin dal 1899, grazie al trentasettenne René d’Auchy, attore e regista, conosciuto l’anno prima come collega ne La Griffe, e del quale nel frattempo era divenuta la compagna. D’Auchy la fece entrare alla Gaumont «dalla porta principale». I due andarono a vivere assieme al 7 di rue Dieu. La prima occasione di mettersi in luce sul set Suzanne l’ebbe nel dicembre dell’11 grazie al regista Louis Feuillade, che la volle come protagonista in Chef-lieu de canton accanto a René Navarre, Paul Manson e Renée Carl. Da allora, e fino agli inizi del 1913, Suzanne lavorò in quasi cinquanta films, lunghi dall’uno ai tre rulli, diretta sia da Feuillade (tra cui Erreur tragique, Le Nain, Le Destin des mères, Le Cœur et l’argent, Amour d’automne), sia da Léonce Perret, che l’aveva in grandissima considerazione: nei suoi film egli recitò spesso con lei, nel ruolo del vilain: Le Chrisanthème rouge, Le Léonce, dov’ella era protagonista con lui (Le Homard, Un nuage passe, Les Epingles, Les Bretelles,*** ecc.).
Due opere in particolare destano la nostra attenzione, quali esempi di «cinema nel cinema»: Erreur tragique e Le Mystère des roches de Kador (nella versione italiana, Il mistero della rupe). Nel primo, assistendo a una comica in un cinema, un marchese scopre in essa la presenza della moglie a braccetto d’un tizio: stupito, acquista la pellicola dalla Gaumont e osservandone attentamente i fotogrammi non ha più dubbi; questo fatto lo porta a sospettare che ella l’abbia tradito, e quando trova in casa una lettera a lei indirizzata da un uomo decide di ucciderla; ma la persona in questione è il fratello, che la moglie non vede da molto tempo: e solo un miracolo evita alla stessa una fine miserrima. Il film è interessante sia perché mostra l’interno di un cinema dell’epoca durante una proiezione, sia per la singolarità dell’idea, in quanto nella comica Suzanne de Romiguières (la Grandais) e il fratello non sono attori bensì occasionali passanti colti per strada durante le riprese: ciò che evidenzia il grado d’improvvisazione che si aveva a quei tempi. Il secondo film, girato in Bretagna in una spiaggia rocciosa presso Quimper, mostra Suzanne de Lormel (l’attrice) che, orfana e ricca ereditiera, scampa per miracolo con l’innamorato, il capitano d’Erquy, a un duplice attentato ordito dal cugino e tutore Fernand (Léonce Perret) per impadronirsi del suo patrimonio; poiché il drammatico evento le ha fatto perdere la memoria, il professore che l’ha in cura, con l’aiuto di d’Erquy e d’una ragazza abbigliata come Suzanne ricostruisce la scena del crimine in un film girato sul luogo dell’evento, e mostrandolo alla sua paziente questa torna a ricordare: finché il colpevole viene smascherato e tratto in arresto; il cinema - vien suggerito - può dunque assumere anche una funzione terapeutica e salvifica. In entrambe le opere, e negli altri dei quasi novanta film a cui Suzanne prese parte, la sua recitazione è sempre naturale, mai sopra le righe.
È probabile che Mary Pickford abbia assistito a una proiezione de La Dentellière, giacché quattro anni dopo l’uscita del film, in Hulda from Holland di John O’Brien (’16) interpretò un personaggio assai simile. Nel febbraio del ’13, non avendo ottenuto dalla Gaumont l’aumento di stipendio che riteneva di meritare, Suzanne firmò assiene a d’Auchy un contratto di un anno con la Deutsche Kino Gesellshaft (DGK) di Colonia, per la realizzazione di dodici films da girare in Francia, da pubblicizzare col nome «Serie artistica Suzanne Grandais»; li avrebbe diretti d’Auchy assieme a Marcel Robert (alias Robert Péguy). Ma solo un mese dopo la firma del contratto, durante le riprese d’un film, ella cadde da cavallo riportando una frattura alla base del cranio che la tenne tre giorni tra la vita e la morte. Fortunatamente guarì, tornando quasi subito sul set; e poiché era una ragazza intrepida, quell’anno stesso, durante le riprese di Das Luft-Torpedo (La Torpille aérienne), non esitò a farsi precipitare nelle acque dell’Oise presso l’Isle-Adam dal pilota Jean Mermoz, che simulò un incidente aereo.
In Germania, quando a Berlino si tenne la prima proiezione del film So ist das Leben (Chacun sa destinée), Suzanne venne presentata come «la regina del cinema». Tuttavia, dopo la realizzazione di sei dei dodici films la DGK si ritirò dall’impegno: le opere uscite in Germania erano state ferocemente boicottate in Francia, sia per motivi di concorrenza commerciale sia per i crescenti attriti tra le due nazioni, che presto avrebbero portato al conflitto armato. Dopo un inutile processo, nella primavera del ’14 d’Auchy trovò un finanziatore per poter avviare la «Seconda serie artistica Suzanne Grandais» ad opera della loro neonata casa di produzione, Les Films Suzanne Grandais: ma dopo la realizzazione dei primi quattro films lo scoppio della Prima guerra mondiale pose fine al progetto.
D’Auchy, chiamato al servizio ausiliare, portò Suzanne con sé nella Manche, a Villedieu-les-Poêles: e gelosissimo, non esitava a chiuderla a chiave nel suo appartamento ogni sera in cui doveva allontanarsi. Nel settembre del ’15, però, com’egli venne mobilitato in un’unità di radiologia nel Servizio Sanitario, ella se ne fuggì troncando la loro relazione, e tornò a lavorare nel cinema diretta per qualche films dall’amico Perret. Nella primavera del ’16, l’Eclipse le propose una «Terza serie artistica Suzanne Grandais» di dieci film, dei quali sarebbe stata assoluta protagonista; alcuni di questi, come Suzanne e Midinettes, diretti entrambi da René Hervil e Louis Mercanton, ebbero vasta distribuzione, assicurandole grande popolarità in vari paesi; tanto che quell’anno, in Messico, una sala cinematografica venne intitolata a suo nome.
Suzanne, che a Parigi divideva un appartamento al 18 di rue Laugier con l’amica Anna Defradas detta Lily (d’una quindicina d’anni maggiore di lei, mantenuta da un ricco signore), intrecciò una relazione con un gioielliere la cui identità rimane sconosciuta. Nell’autunno del ’19 ella firmò un contratto con la Phocéa-Film di Marsiglia, per interpretare dodici films, diretti da più registi, tra cui René Hervil e Charles Burguet: prese così domicilio in questa città. Dopo le prime tre pellicole, tra la tarda primavera e l’estate del ’20 Suzanne venne impegnata nella quarta, L’Essor, un’opera d’oltre 10.000 metri di girato, suddivisa in dieci episodi, ciascuno ambientato in una delle località francesi devastate dalla guerra, per testimoniare lo sforzo nazionale nella ricostruzione e nel ritorno alla vita normale.
Il 28 agosto 1920 ella si trovava a Vittel, in Alsazia, e avendo terminato le riprese locali, per tornare a Parigi in giornata prese posto su un’auto dove, oltre all’autista, viaggiavano i coniugi Borguet e Marcel Ruette, l’operatore. Dopo una sosta a Provins per il pranzo, la comitiva riprese il tragitto, ad andatura decisamente moderata. Era stato appena superato Jouy-le-Châtel nel cantone di Nangis, quando all’incrocio delle strade da Sézanne e Coulommiers, in un posto chiamato Le Prévert presso Vaudoy-en-Brie, l’improvviso scoppio di un pneumatico causò una brusca sterzata all’auto, che si rovesciò da una parte, precipitando da un terrapieno su un campo di barbabietole: l’autista e i Borguet, seduti sul lato opposto, vennero sbalzati fuori dal veicolo, ma se si eccettua lo spavento se la cavarono con qualche escoriazione; non così Suzanne e Ruette, che restarono uccisi sul colpo, lei col capo orribilmente schiacciato dall’auto e la parziale fuoriuscita del cervello. L’attrice aveva ventisette anni, due mesi e quattordici giorni. I suoi funerali, con largo seguito di colleghi e pubblico, si tennero a Parigi nella chiesa della Trinité; il corpo fu inumato nel cimitero di Saint-Vincent a Montmartre. Pochi giorni prima di partire, Suzanne aveva ricevuto la lettera di una bambina, che la scongiurava di non mettersi in viaggio in quel momento, perché in tal caso - aveva sognato - sarebbe morta; lei però non credeva alle premonizioni. Oggi la famiglia Quagnot, proprietaria del campo in cui ella perse la vita, conserva ancora la stele eretta un tempo sul luogo per commemorare l’artista.