Letter@perta
Il brigante abruzzese
di Dante Fasciolo
C’era una volta, ora non più.
La bisaccia e lo schioppo e la croce,
non mancano mai nel tuo abbigliamento;
c’è poi il cappello di feltro e di lana,
e, indispensabili, pesanti scarponcini di cuoio.
Sei così da capo a piedi, di giorno e di notte,
in estate e in inverno, e la tua barba nera
cresce ogni giorno di più, perché sempre di più
s’allontana il giorno di un’autoaccorciatina.
Vivi per lo più in montagna,
e scendi a valle con i tuoi compagni
per fare scorribande, rapine e omicidi:
per indole violenta, per fame, per vendetta.
Di qua e di là della Majella, al nord e al sud
del vasto e selvaggio e impenetrabile territorio d’Abruzzo,
sposti i tuoi rifugi e ti lasci influenzare e guidare
dai comandi borbonici o pontifici, tuoi riferimenti.
Tanti i tuoi nomi sinonimi di terrore:
Antonio La Vella a Sulmona, Pasquale Mancini a Pacentro,
e Marcucci, Mecola, Tamburini, Valerio, Croce di Tola…
tristemente attivi fino al 1870, fine della guerra.
Restano parole: “i cafoni veggono nel brigante
il vindice dei torti che la società loro infligge”…
scolpite con altre nelle rocce della tavola del brigante
gelosamente custodita da Madre Majella.