Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Raf Mattioli
Diari di Cineclub n°76, X 2019
Di
Virgilio Zanolla
Il saggista e antropologo inglese Ashley Montagu ha scritto con sottile umorismo che «L’ideale è morire giovani il più tardi possibile»: questa sorte non toccò, purtroppo, a uno dei più interessanti giovani attori apparsi alla ribalta del nostro cinema negli anni Cinquanta, Raf Mattioli.
Omonimo e lontano parente dell’ex presidente della Banca Commerciale
Italiana (1895-1973), Raffaele Mattioli era nato a Napoli il 18 ottobre 1936: lo
stesso giorno in cui un terremoto di magnitudo 5.6 sconvolse l’altopiano del
Cansiglio, tra Belluno, Treviso e Pordenone, causando 19 morti e gravissimi
danni.
Di famiglia agiata, era primogenito di Domenico Mattioli, direttore di
banca e fratello d’un celebre cardiochirurgo, e di Anna Maria Ricciardi, figlia
del noto editore partenopeo Riccardo; tre anni dopo di lui nacque la sorella
Marina.
Quand’era ancora ragazzo la vita di Raffaele venne funestata da una
tragedia: perché il padre, cui era molto legato, colpito da fortissimo esaurimento
nervoso si tolse la vita; egli si sentì molto responsabile nei confronti di madre e
sorella, sviluppando un carattere serio, riservato e malinconico.
Amante degli sport, da adolescente Raffaele aveva giocato a calcio militando come centromediano nella partenopea Olimpic, in seconda divisione. Iscritto al primo anno della facoltà di Legge e con la mai nascosta ambizione di diventare attore cinematografico, profittando dell’esigua distanza tra Napoli e Roma egli prese parte a svariate audizioni, senza fortuna. Finché nell’estate del ’56 si presentò a un provino per il ruolo di Oberdan, il protagonista maschile nel film Guendalina, che Alberto Lattuada si apprestava a dirigere, e benché non avesse alcuna esperienza davanti al set, venne scelto tra decine di partecipanti: il regista di Vaprio d’Adda era rimasto colpito, oltreché dal suo bell’aspetto, anche dall’aria timida e dai modi gentili del non ancora ventenne giovanotto.
Girato in bianco e nero tra Viareggio, Forte dei Marmi e Pisa, Guendalina è la storia d’una diciassettenne figlia di una coppia in crisi: lui, Guido, ingegnere, ricco, donnaiolo e sempre fuori casa con la sua rombante auto, lei, Francesca, bella, trascurata e annoiata. Costretta da un litigio dei genitori, in odor di divorzio, a restare con la madre a Viareggio anche dopo le vacanze, e rimasta sola per la partenza degli amici, la capricciosa Guendalina si mette a frequentare Oberdan, un giovane studente di architettura di famiglia piccolo borghese, serio, laborioso e leale; le diversità di carattere e la distanza sociale non impediscono che pian piano essi s’innamorino l’uno dell’altra. Ma quando Oberdan s’è già conquistato la stima di Guido, avviene l’imponderabile: perché quest’ultimo si riconcilia con la moglie, e decide di partire con la famiglia per un lungo viaggio che li porterà a soggiornare all’estero: Oberdan riesce a malapena a giungere alla stazione in tempo per vederli partire, con Guendalina in lacrime mentre il treno scompare ingoiato dalla galleria.
Apparso sugli schermi italiani il 20 febbraio 1957, Guendalina - per il quale Lattuada ottenne quell’anno il Davide di Donatello per la migliore regia e nel ’58 un Nastro d’Argento allo stesso e a Valerio Zurlini, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi per il miglior soggetto e sceneggiatura - è un’opera attenta e delicatissima nello studio dei sentimenti adolescenziali.
Per la quasi esordiente Jacqueline Sassard e l’esordiente Raffaele, qui apparso per l’unica volta col nome di battesimo per esteso, costituì la rivelazione artistica: quest’ultimo si segnalò per il garbo e la sensibilità con cui aveva disegnato il suo personaggio; ma dettero ottima prova di sé anche gli altri interpreti, a partire da Raf Vallone (Guido) e Sylva Koscina (Francesca), che pur avendo solo sei anni in più della Sassard, invecchiata ad arte con delle occhiaie interpretò con lodevole credibilità il ruolo di sua madre.
L’esito favorevolissimo del film, che suscitò interesse anche al Festival di
Cannes, attirò su Raffaele l’attenzione d’altri registi.
Nello stesso ’57 Mario Camerini lo volle nel suo Vacanze ad Ischia, una commedia sentimentale a
colori che si valeva della partecipazione di attori quali Vittorio De Sica, Paolo
Stoppa, Peppino De Filippo, Antonio Cifariello, Nino Besozzi e Maurizio Arena,
e attrici come Isabelle Corey, Nadia Gray, Myriam Bru e Marisa Merlini.
Raffaele (d’ora in poi Raf) era Salvatore, fascinoso conduttore di moto-taxi e
suonatore di clarinetto nella banda del paese, che s’innamora di Denise (la Bru),
una bella turista francese venuta ad Ischia col marito; situazione che anticipa in
qualcosa il secondo episodio di Una Rolls-Royce gialla di Anthony Asquith
(1964) con Alain Delon e Shirley McLaine. Una delle scene più belle è quella in
cui, mentre Denise prende il sole in spiaggia col consorte, per addormentare lui e
poterle parlare, suonando il clarinetto Salvatore passa con superba disinvoltura
dalla frizzante musica di un’ouverture rossiniana al Silenzio.
Il successivo impegno di Raf fu, sempre nel ’57, la parte di Vasco, fratello
del protagonista, ne Il corsaro della mezzaluna di Giuseppe Maria Scotese, film
storico a colori di non grandi pretese, con John Derek e Gianna Maria Canale.
Ad esso seguì, nel ’58, Giovani mariti di Mauro Bolognini: film in bianco e nero
girato a Lucca, con Cifariello, Franco Interlenghi, Antonella Lualdi, la Koscina,
la Corey, Gérard Blain e altri ottimi attori; racconta la vita agra d’un gruppo di
‘vitelloni’ ai quali il matrimonio non ha tolto le velleità di divertirsi; dove il
personaggio interpretato da Raf, il timido Giulio innamorato di Laura (la Corey),
era uno dei pochi davvero positivi.
Quindi, nello stesso anno, La legge di Jules Dassin: opera in bianco e nero, di produzione italo-francese tra la commedia e il dramma, ambientata in Corsica ma girata nel Gargano, a Carpino e tra Rodi Garganico, Ischitella, Peschici e San Menaio. Storia di truci tradizioni paesane che contrastano coi sentimenti e le inclinazioni amorose dei protagonisti, il film si giovava d’un cast di prim’ordine, con la Lollobrigida, Mastroianni, Pierre Brasseur, Yves Montand e Melina Mercouri; Raf aveva una parte di tutto rispetto: quella di Francesco, il figlio del caporione Matteo Brigante (Montand), che innamorato riamato di Donna Lucrezia (la Mercouri), moglie del giudice del paese, non potendo averla abbandona la casa paterna, mentr’ella si uccide.
Il ’59 fu per Raf un anno d’intenso lavoro sul set, dove apparve in quattro film. Nel primo, la deliziosa commedia sentimentale in bianco e nero Primo amore di Camerini, lavorò accanto ad attrici quali Carla Gravina, Lorella De Luca, Christine Kaufmann e Paola Quattrini, impersonando Piero, un bravo ragazzo invaghito di Francesca (la De Luca), che finisce per mettersi con Sonia (la Kaufmann), sorella del suo ex rivale in amore Marco e da sempre innamorata di lui. Nel secondo, il drammatico e splendido Estate violenta di Valerio Zurlini, anch’esso in bianco e nero, protagonisti furono Jean-Louis Trintignant, Eleonora Rossi-Drago e la Sassard; lui ebbe la parte di un amico del protagonista, Giorgio, che ha del tenero con Maddalena (Federica Ranchi). Nel terzo, ragazzi del Parioli, uno dei migliori esiti di Sergio Corbucci, fu protagonista accanto ad Ennio Girolami, e affrontò il ruolo più difficile della sua brevissima carriera: quello di Bob, un ragazzo di famiglia agiata, annoiato e scapestrato, che profittando dell’assenza da casa dei genitori, spacciandosi per produttore cinematografico organizza assieme all’amico Fabrizio un finto provino per sedurre due ingenue ragazze di paese, Grazia (Valeria Moriconi) e Nuccia (Scilla Gabel). Ma mentre, ubriaca, Grazia cede alle velleità di Fabrizio, Nuccia si ribella a quelle di Bob, il quale, ebbro, d’un tratto la spintona facendole battere la testa: e la crede morta. Per fortuna Susy (Alessandra Panaro), un’amica che innamorata di Fabrizio ha tenuto loro bordone, accerta che è solo svenuta: e rianimata, Nuccia può lasciare l’appartamento, risarcita da Bob con una cospicua somma di denaro pur che taccia su quanto le è avvenuto. Amareggiato e nauseato dal proprio comportamento, Bob se la prende con Fabrizio, che col suo cattivo esempio l’ha indotto a perdere il controllo: i due sembrano venire alle mani, ma tutto invece finisce in una burla schiamazzante: la presa di coscienza di Bob è durata lo spazio di un minuto.
Nel suo oscillare tra insicurezza ed azzardo, timidità e sfrontatezza, ravvedimento e nuova spregiudicatezza, Raf diede la misura delle sue qualità d’attore, in una pellicola che ritraeva impietosamente la Roma-bene pochi mesi prima che uscisse La dolce vita, guastata soltanto dal personaggio del ragionier Spallotta (un grande Nino Manfredi), che con la sua comicità ne zavorra il tono drammatico. Il quarto film, Tunisi Top Secret di Bruno Paolinelli, una commedia sentimentale a colori di produzione italo-germanica, basata su una trama improbabile, vedeva tre intraprendenti ragazze in cerca d’uno scoop giornalistico su un misterioso principe arabo, finire tra le braccia di due agenti inglesi e d’un medico tunisino: le tre ragazze erano Martinelli(Kathy), Gina Albert (Barbara) e Giorgia Moll (Simone), i due agenti Massimo Serato (Nikos) e Claus Biederstaedt (George), e Raf il timido medico tunisino Fuat.
Ai primi del 1960, il nostro attore prese parte al film Le baccanti di Giorgio Ferroni: un peplum a colori ispirato all’omonima tragedia di Euripide, dov’era il servo di Penteo (Alberto Lupo) Lacdano, destinato da una profezia sia a diventare re che all’amore di Manto (Alessandra Panaro), figlia dell’indovino Tiresia (Akim Tamiroff), la quale, designata a vittima sacrificale, verrà salvata dal dio Dioniso (Pierre Brice). In costume, coi capelli più lunghi e l’eterna aria da bravo ragazzo, Raf fece di tutto per renderlo credibile. Fu la sua ultima fatica da interprete.
Raf era fidanzato ufficialmente con Livia Còmola, una bellissima ragazza
bionda, anch’ella sportiva (era una delle migliori racchette del Tennis Club
Napoli), figlia unica di Giuseppe e Lydia, agiati membri della nobiltà
partenopea; si erano conosciuti ancora adolescenti a Positano e la loro storia
d’amore, contrastata per molto tempo dalla famiglia di lei, avrebbe finalmente
dovuto sfociare nel matrimonio entro la fine di quell’anno. Erano appena
terminate le riprese de Le baccanti e Raf si trovava a Roma, dove alloggiava nel
tuttora attivo Hôtel Panama in via Salaria 336, in una stanza tranquilla con vista
sui prati di Villa Ada. La sera dell’11 ottobre 1960 lui e Livia l’avevano
trascorsa nel night “Club 84” di via Veneto, quindi l’attore aveva accompagnato
in auto la fidanzata alla sua dimora, e alle tre di notte era rientrato in albergo,
apparendo in perfetta forma e pregando il portiere di svegliarlo l’indomani alle
dieci antimeridiane. Ma la mattina dopo, tra le sette e mezza e le otto, Livia
cercò inutilmente di contattarlo al telefono, e allarmata, pregò la reception
dell’albergo di verificare se egli fosse già uscito: poiché la stanza era chiusa
dall’interno, il portiere si procurò un passepartout e alla fine entrò, trovando
l’attore sdraiato sul letto, in pigiama e privo di vita, sei giorni prima di compiere
il suo ventiquattresimo compleanno.
L’autopsia eseguita dal professor Carella accertò che Raf era morto verso le
5 del mattino per un’ischemia causata - s’ipotizzò - dall’eccessivo stress: perché,
ragazzo con la testa sul collo, mentre s’impegnava nel cinema non aveva mai
smesso di studiare legge, e si preparava ad affrontare gli esami; ma qualcuno
rammentò come tempo prima, giocando a tennis, egli avesse lamentato forti
dolori al braccio sinistro e al torace. La sua salma venne tumulata nella tomba di
famiglia a Majoli. Per difficoltà non legate alla morte di Raf, il film Le baccanti
uscì sugli schermi italiani soltanto il 2 marzo ’61. Livia Còmola sposò nel ’63 il
conte Luigi Leonetti di Santo Janni, dal quale poi divorziò; è morta il 14
febbraio 2016, sopravvivendo quasi cinquantasei anni allo sfortunato fidanzato.