Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Marcelle Romee
Diari di Cineclub n°55, XI 2017
Di
Virgilio Zanolla
Non tutti gli attori francesi in voga nei primi anni del sonoro ebbero sorte propizia dopo essersi affermati agli occhi del pubblico: abbiamo già visto il caso di Henri Garat, morto quasi dimenticato e in precarie condizioni finanziarie, oggi presentiamo quello, pur ben diverso, di un’attrice de ces années: Marcelle Romée.
Marcelle Arbant, questo il suo nome anagrafico, era nata il 7 febbraio 1903 a Neuilly-sur-Seine, città otto chilometri a nord-ovest di Parigi che col cinema, benché quasi sempre indirettamente, ha avuto molto a che fare: oltre alla Romée, infatti, vi nacquero Jean Cocteau, Pierre Mondy, Jean-Paul Belmondo e Carole Bouquet, vi trascorsero l’infanzia Michèle Morgan e Simone Signoret, vi abitarono Claude Chabrol e Jean Reno e vi morirono tra gli altri Pierre Fresnay, Yvonne Printemps, Jean Gabin, Tino Rossi, Anatole Litvak, François Truffaut e Patachou.
Sulle sue origini e sulla sua infanzia non si hanno molte notizie: dalla tomba di famiglia, nella division 65 del cimitero parigino di Père-Lachaise, si sa che il padre, Louis, un esponente della piccola borghesia di provincia, morì un anno dopo di lei all’età di settantasette anni. Ragazza attiva e solerte, Marcelle si diplomò molto presto istruttrice di educazione fisica e ottenne un posto d’insegnante presso una scuola di Parigi. Il suo sogno segreto era il teatro: segreto, perché i genitori non vedevano di buon occhio le sue aspirazioni artistiche; per questo motivo, senza dir nulla in casa ella seguì i corsi di recitazione del celebre attore Jules-Louis-Auguste Leitner (1862-1940) della Comédie-Française, iscrivendosi al Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique di Parigi dove lui insegnava. I suoi compagni di corso, che l’avevano soprannominata ‘la cavalletta verde’ sia a motivo del corpo flessuoso e sottile, sia per un abito di quel colore che ella indossava di preferenza, non tardarono a rendersi conto della sua bravura; dotata di un fisico gradevole e di un volto intenso, la cui espressività era accentuata dalla mobilità dello sguardo, Marcelle s’impose subito come uno degli allievi più promettenti, tanto che nel 1926 ottenne il primo premio nella rappresentazione tragica; a quel punto non poté né volle più nascondere le sue ambizioni alla famiglia, e fu accolta come pensionante alla Maison de Molière, ovvero alla Comédie-Française, col nome d’arte di Marcelle Romée.
La sua carriera di attrice teatrale ebbe inizio nel ’27 con Les Flambeaux de la noce di Saint-Georges de Bouhélier, ebbe un’impennata nel ’30 con Le trois Henry di André Lang, e proseguì sicura nel segno dei classici, con L’avaro di Molière, in cui ella interpretò Elise, con Il misantropo dello stesso autore, dove fu Eliane, col Ruy Blas di Hugo, che la vide nella parte della regina. La stima dei colleghi la spinse ad un’audacia che nell’illustre compagnia fu motivo di scandalo: Marcelle infatti dapprima chiese di poter entrare come socia nella Comédie-Française, poi, quando i soci pensarono di rispondere favorevolmente alla sua richiesta, lei rifiutò la proposta, temendo di vedersi relegata nell’àmbito di ruoli convenuti.
C’era anche che, nel frattempo, aveva scoperto il cinema. A proporle il primo ruolo fu, nel 1930, il regista e sceneggiatore Louis Mercanton, che la volle per il personaggio di Leslie Bennet ne La lettre, un dramma che lo scrittore britannico William Somerset Maugham aveva tratto dal proprio racconto omonimo e che venne girato negli studi Paramount di Joinville-le-Pont, nella valle della Marna; il film, interpretato anche da Gabriel Gabrio, Hoang Thi-The, Paul Capellani e André Roanne, è la storia di una moglie infedele che uccide l’amante, e dopo essere riuscita a farsi dichiarare non colpevole nel processo che ne segue, confessa al marito di amare ancora l’uomo che ha ucciso. Con la sua recitazione moderna e incisiva Marcelle diede grande credibilità al personaggio: come riconobbe il critico di “Cine-Miroir” ella apportò al cinema francese «il suo talento giovane e ardente, la sua sincerità nell’espressione, la sua conoscenza della dizione, pura, chiara, e sempre profondamente umana», non sfigurando nel confronto con Jeanne Eagels, la star di Broadway che per prima aveva interpretato il ruolo in teatro.
Il secondo film dell’attrice fu un altro dramma: Le cap perdu (1931) di Ewald André Dupont, basato su una storia di Frank Harvey, dov’ebbe accanto Harry Baur, Henri Bosc e Jean Max. Nel ruolo di Hélène, moglie infedele del guardiano di un faro, che dopo essere stata la causa di un omicidio viene allontanata dal marito, Marcelle fornì un’altra intensa interpretazione. Seguì Une nuit à l’hôtel (id.) di Leo Mittler, con Jean Périer, Betty Stockfeld, Maurice Lagrenée e Willy Rozier, ambientato in un palazzo della Costa Azzurra: una sorta di grottesca tragicommedia basata su una girandola di tradimenti, che culmina col suicidio di Marion Barnes, appunto Marcelle.
Subito dopo, la chiamò il regista Anatole Litvak per vestire i panni di Cœur de Lilas nel film omonimo (’31; Cœur de Lilas è anche il titolo italiano) accanto ad André Luguet e Jean Gabin (e un quasi esordiente Fernandel): un’opera poco conosciuta dallo spettatore italiano, pur trattandosi di un bellissimo film, che impose definitivamente l’attrice all’attenzione della critica. Girato tra uno studio di Montmartre, le fortificazioni, alcuni quartieri della banlieue, le Halles e le rive della Marna, questo intrigante poliziesco racconta di un ispettore, André Lucot (André Luguet), che per scoprire l’assassino del direttore di una fabbrica s’introduce sotto mentite spoglie nell’ambiente malavitoso d’una pensione-osteria dove vive Couchoux, una bella ragazza detta Cœur de Lilas, un cui guanto è stato trovato accanto al morto. Ben presto i due si sentono reciprocamente attratti: e Lucot, che la crede innocente, deve scontrarsi con l’innamorato di lei, l’apache Martusse (Gabin). Quando, durante una gita sull’Île d’Amour dove si festeggia un matrimonio, Cœur de Lilas apprende dalla bocca di Martusse che Lucot è un poliziotto alla ricerca dell’omicida, dopo aver detto la verità a quest’ultimo fugge da lui e al termine di una pazza corsa lungo gli argini della Marna finisce per consegnarsi alla polizia e confessare la sua colpa. Tra Luguet, Gabin e la Romée è davvero difficile stabilire chi sia il più bravo: sono tutti affascinanti e credibili, perfettamente in parte; Marcelle offre una grande prova drammatica, ricca di sfumature, dove sguardi e silenzi hanno la stessa intensità di certe frasi gridate.
Cœur de Lilas fu per lei il canto del cigno. L’attrice, ormai considerata una delle interpreti più valide del cinema e del teatro francese, soffriva infatti da tempo di attacchi depressivi, al punto che dové rinunciare a partecipare a un nuovo film la cui lavorazione era già iniziata per ricoverarsi ne La Villa des Pages, una casa di cura tuttora attiva, al 40 di rue Horace Vernet a Vésinet. Ma poco prima dell’alba del 3 dicembre 1932, sfuggita alla sorveglianza dei custodi, s’avviò a piedi verso l’antico ponte stradale di Chatou, situato in rue du Port e da tempo scomparso: raggiunto il quale, dopo qualche attimo d’incertezza si gettò nella Senna. Un testimone oculare affermò che prima di annegare nell’acqua gelida ella mosse qualche bracciata. Questa circostanza sollevò molti dubbi riguardo all’intenzionalità del gesto da parte dei colleghi della Comédie-Française: essi infatti rammentavano che Marcelle, soprannominata anche ‘la capra’ per via della sua agilità, era un’ottima nuotatrice: tuttavia le circostanze della malattia nervosa finirono per persuadere tutti. Alle sue esequie presero parte tanti amici e anche diversi attori. Marcelle Romée aveva ventinove anni, nove mesi e ventisei giorni.