Il grande secco
di Ruggero Scarponi
Manar, il pastore di greggi, viveva nella regione di Rhu. Suo padre il vecchio Khamir lo aveva condotto sui pascoli fin da fanciullo, affinché apprendesse quanto era necessario.
Ora che Manar si era fatto adulto si trovò un giorno in grande difficoltà.
Da mesi, infatti, il cielo non riversava acqua sulla terra e i pascoli si erano trasformati in gialle distese polverose.
Manar, seguendo gli insegnamenti paterni, aveva condotto le greggi ovunque potessero trovare un po’ d’acqua e di erba.
Ma il cielo sembrava si fosse dimenticato di quella parte del mondo, lasciandolo secco e arido, senza una goccia d’acqua.
Allora Manar, che era un uomo buono e timorato di Dio, pensò di offrire qualche giovane agnello in olocausto, per ottenere la fine della siccità.
Ma dei suoi sacrifici sembrava che il cielo non ne tenesse conto, ancorché i profumi delle carni arrostite, condite con erbe ed aromi, si spargessero ovunque nel vasto orizzonte.
Sconsolato Manar si mise a pregare senza tregua.
Signore! Tu che siedi al di sopra delle nuvole, lascia che un po’ della tua acqua scenda su questa terra, sì che uomini e animali ne possano ricevere refrigerio.
Signore! Le pozze dove si dissetano gli animali si stanno inesorabilmente seccando e la poca erba rimasta nei campi si disfa in una polvere che il vento disperde nelle anguste giogaie dei monti.
Signore! I miei peccati devono essere davvero grandi al tuo cospetto se la tua ira minaccia la vita degli uomini e degli animali.
Ma il cielo restò limpido e il sole inondava impietoso le morte pianure.
Manar, stremato dagli stenti e dall’angoscia, salì un mattino su un’alta montagna. Si trascinò come un animale ferito sentendosi venir meno le forze a causa delle privazioni che duravano ormai da tanti mesi.
Recava con sé un giovane agnello, l’ultimo animale che lui stesso aveva nutrito e dissetato a costo di patire fame e sete pur di mantenere in vita la speranza di un futuro migliore.
Con grande fatica accatastò delle pietre per farne un’ara e su di quelle uccise l’agnello.
Signore! Esclamò rassegnato, al limite delle forze, ti offro in olocausto l’unico bene che mi sia rimasto. Nulla ti chiedo. E così sia.
Manar sopravvisse ancora qualche giorno mangiando le carni di quel suo ultimo agnello, poi terminato il cibo e l’acqua, si distese dentro una grotta e attese di morire.
Il cielo continuò a mantenersi limpido per molti giorni ancora, dopo la morte di Manar.
E dopo altri e altri giorni, un mattino il cielo si coprì di nubi che si fecero nere e minacciose. Prima del giungere del tramonto si scatenò un violento temporale che durò per molti giorni.
La pianura da secca e bruciata che era dai raggi del sole si trasformò in un vasto lago ricolmo di acque turbolente. Torrenti e ruscelli gorgogliavano sui monti e sulle colline.
Quando al fine cessarono le piogge e la terra si fu dissetata a sufficienza, al semplice riverbero di un fioco sole autunnale, rinverdì tutta, la pianura.
In breve, uomini, animali e piante tornarono padroni di quella parte del mondo.