Grandi autori - film indimenticabili
La guerra vista dal cinema
Di Fabio Massimo Penna - Diari di Cineclub n.105 - maggio 2022
Due anni di pandemia. La guerra in Ucraina. Questi tempi bui ci portano indietro nel tempo facendoci tornare con la mente all’orrore delle due guerre mondiali che hanno devastato il Novecento. Per un’amara coincidenza l’ultimo anno della prima guerra mondiale vide il mondo devastato dalla pandemia della spagnola, situazione che ricorda quella che stiamo vivendo ora con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia avvenuta durante la pandemia da covid.
Nella storia del cinema spesso i registi hanno usato il grande schermo per scrivere il loro “no” alla guerra attraverso pellicole antimilitariste con le quali gli autori urlavano la loro estraneità ai conflitti e alle loro perverse logiche.
La guerra ha sempre frequentato il cinema perché, come afferma Stanley Kubrick: “A prescindere dal suo orrore la guerra costituisce una situazione drammatica pura: forse perché è una delle poche situazioni che ancora rimangono in cui gli uomini prendono apertamente posizione a favore di quelli che ritengono i loro principi” (Sergio Toffetti, Stanley Kubrick, Moizzi, Milano, 1978).
Al di là dei film girati per esaltare il patriottismo (In Orizzonti di gloria un personaggio afferma “la patria è l’ultimo rifugio delle canaglie”) la cinematografia mondiale è attraversata da una corrente pacifista tesa a ricordare come il conflitto armato sia sempre e solo dolore e morte.
Claude Autant-Lara affronta in maniera diretta la questione morale dell’assurdità della guerra in Non uccidere (1961) film ispirato alla vera storia di un francese renitente alla leva che viene condannato duramente dal tribunale militare. A far da contraltare alla sua condanna vi è l’assoluzione di un sacerdote che, arruolato nella wehrmacht, uccide un partigiano.
L’opera è un saggio sul diritto di rifiutare di prendere parte alla vita militare e all’insensatezza dei combattimenti.
In una sequenza emblematica i giudici del tribunale mostrano la propria incapacità di comprendere le ragioni etiche del rifiuto della guerra da parte del protagonista (“se non sono motivi religiosi che la spingono a rifiutare le armi, allora il suo comportamento è incomprensibile”).
Nel 1930 con All’ovest niente di nuovo Lewis Milestone aveva mostrato l’orrore del conflitto armato attraverso la storia di tre giovani tedeschi che partono volontari per la prima guerra mondiale. Dopo aver assistito a misfatti ed efferatezze disumane i tre vengono uccisi. Film che coniuga il realismo a una grande spettacolarità, All’ovest niente di nuovo diviene con il tempo un vero e proprio manifesto del pacifismo.
Dopo la seconda guerra mondiale due pellicole spiccano come capolavori assoluti del cinema antimilitarista: Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick e Per il re e per la patria (1964) di Joseph Losey.
Il film di Kubrick subì l’ostracismo della censura e in Francia potè essere visto integralmente solo quindici anni dopo la sua uscita. Il racconto della fucilazione di tre soldati francesi accusati di codardia di fronte al nemico è un esempio dei tanti episodi di follia militare avvenuti durante il primo conflitto mondiale.
Kubrick nel corso della sua carriera mostra in maniera inequivocabile l’assurdità della guerra attraverso pellicole nelle quali per i protagonisti è impossibile identificare il nemico: in Fear and desire (1953) i soldati uccisi hanno lo stesso volto dei loro uccisori, in Orizzonti di gloria il generale Mireau ordina di sparare contro i suoi stessi uomini, ne Il dottor Stranamore (1964) l’esercito americano assedia una base statunitense e in Full metal jacket (1987) una squadra di marines viene falcidiata da una ragazzina vietnamita di dodici anni. Al regista di New York si deve, inoltre, il più poetico manifesto contro la guerra. Nel finale di Orizzonti di gloria un gruppo di soldati si rifocilla in una taverna in una pausa nella terribile guerra di trincea del 1916. Sul palco una ragazza tedesca lentamente comincia a intonare una canzone. I militari iniziano a canticchiare con lei e a questo punto il regista del Bronx ci regala una indimenticabile carrellata di primi piani dei soldati: i loro occhi sono spenti, privi di speranza e le loro espressioni meste e stordite dal dolore sono un atto di accusa potente nei confronti dei guerrafondai. Nessuna parola, solo sguardi privi di luce. Le immagini da sole dicono tutto ed è cinema puro. Anche nel suo lavoro Joseph Losey punta il dito contro la totale assenza del senso di giustizia durante i conflitti.
Il protagonista di Per il re e per la patria è un soldato condannato a morte per diserzione. L’uomo ha abbandonato il fronte perché colpito da uno choc. In guerra, però, i sentimenti umani, come quello della paura, non sono previsti. Per superare il trauma subito il povero militare dovrà affrontare il plotone di esecuzione.
Si inscrive con forza nel novero delle pellicole antimilitariste Uomini contro (1970) di Francesco Rosi in cui, attraverso gli occhi di un giovane tenente costretto ad assistere alle folli decisioni di un generale e a inutili massacri durante il primo conflitto mondiale, il regista sottolinea l’insensatezza della guerra. In questi tempi assurdi che stiamo vivendo vi è chi ha sventolato anche la minaccia di una guerra nucleare. Questo massimo esempio di follia umana ci riporta al periodo della cosiddetta “guerra fredda” e al capolavoro kubrickiano Il dottor Stranamore.
Il regista volge i toni dell’opera verso la satira politica. Le ragioni per un conflitto atomico sembrano talmente illogiche da spingere il regista statunitense a virare verso la farsa.
The day after (1983) di Nicholas Meyer ipotizza gli effetti della guerra nucleare sull’umanità, dipingendo un drammatico scenario post atomico.
Potremmo continuare a lungo a elencare esempi di cinema contro la guerra. Ma che vale? In un mondo nel quale l’uso della ragione sembra oramai diventato un inutile esercizio intellettuale, i registi possono solo ricordare l’orrore dei conflitti ma non possono fermare le bombe. Dopo anni passati a contare le vittime di un virus maledetto, la nostra anima non vuole più sentire esplosioni o vedere carrarmati.
Al cinema chiediamo di restituirci quella capacità di sognare che questi anni bui sembrano averci sottratto.