Liguria - Golfo del Tigullio
Il Sentiero ardesia
Passeggiata circolare a piedi con partenza e arrivo a San Salvatore, frazione di Cogorno. Si sviluppa sulle colline dell’entroterra di Lavagna, lungo sentieri e creuse. Non presenta alcuna difficoltà.
Della lavagna sappiamo tutto. A scuola ci puntavamo dritti gli occhi, ci stavamo davanti o dietro a seconda se si era bravi o cattivi.
A volte il gessetto, quando strideva sulla sua superficie, ci metteva un brivido addosso.
É sempre stata qualcosa di familiare e raramente un oggetto viene identificato così bene con la materia stessa che lo compone.
L’ardesia ligure ha questo nome: lavagna.
Alcuni dicono l’abbia preso dall’omonima località della Riviera di Levante, altri ne fanno derivare il termine dal greco antico ‘las’, cioè pietra. Dal Medioevo in poi, la sua estrazione è documentata in diversi luoghi dell’entroterra ligure.
«Et è in questo territorio – riferisce nel 1537 l’annalista Agostino Giustiniani – una lapicina o sia vena di pietra rara, e qual si trova in pochi paesi. Et la pietra, prima che sia veduta dall’aria e dal sole, è di sua natura molto tenera, e facile a tagliare quasi come un melone, et una rapa (…); e se ne fanno lastre di tre palmi in quadro sottili quanto è una costa di coltello, nominate dai Genuesi ‘abaini’, delle quali coprono le case loro, et è questa copertura bellissima al vedere, ma ancora molto utile perché dura lungo tempo, se ne fanno lastre per far scilicati di case, colonnette, friggi, architravi e cornici et ornamenti di porte…».
Questo utile dono della natura proviene dalle pieghe sepolte della montagna. Si trova lì da tempi remotissimi (dall’inizio dell’era terziaria, 60 o 70 milioni di anni fa), intercalato a pacchi di scisti argillosi e calcarei, messo in pile perfettamente piane, pronto ad essere sfogliato proprio come un libro. Di questo duro ‘pane’, come si usava dire da queste parti, hanno vissuto generazioni, prima sulle montagne dietro Lavagna, poi nella Val Fontanabuona.
Oggi, per riscoprire la tradizione dell’ardesia, i modi di lavorazione, gli originari luoghi di estrazione è stato allestito un museo ‘itinerante’, con attrattive sparse ovunque. Noi, che siamo portati all’osservazione cammin facendo, di tutte abbiamo scelto il Sentiero dell’ardesia, ovvero l’itinerario escursionistico che attraversa la zona dove per la prima volta si estrasse questa pietra. Visiteremo dunque la valle e le pendici del monte Sangiacomo, nel comune di Cogorno, a pochi chilometri da Chiavari e dal golfo del Tigullio.
Si tratta di una passeggiata in una zona ancora ben coltivata, densa di case sparse e di piccoli nuclei abitati, una sorta di spaccato della Liguria più autentica e tradizionale. Ma soprattutto percorreremo lo stesso itinerario che un tempo decine di donne coprivano più volte al giorno trasportando sulla testa enormi lastre di ardesia. Noi, in tutta tranquillità, impiegheremo una mezza giornata, compresa una buona sosta ristoratrice.
Si scende dall’autobus proveniente da Chiavari alla fermata posta poco prima del semaforo di San Salvatore (alt. 10), abitato moderno allungato sulla strada provinciale. Subito si imbocca la perpendicolare via Valparaiso; in fondo ad essa, si piega a sinistra (via della Fea) e si raggiunge il bel sentiero selciato che, fra orti e campi, sale in direzione della vicina collina dove si adagia il nucleo più vecchio dell’abitato.
- Una strada romana? Il sentiero porta la curiosa denominazione di Via Antica Romana, premessa per un illustre passato. Vi propongo due ipotesi, scegliete quella che vi pare migliore. C’è chi ha sostenuto che in antico il mare entrasse per buon tratto nella valle e che dunque la strada litoranea – la celebre Via Aurelia – fosse costretta a un lungo giro passando appunto da queste parti. Altri invece sostengono che questo nome fosse una traduzione scorretta del francese «roman», che significa romanico e non romano, e che dunque la via fosse piuttosto un tracciato mulattiero di epoca medievale che seguiva tutta la costa fino a Genova, dove entrava attraverso il ponte di Sant’Agata.
Giunti fra le rustiche case di San Salvatore (alt. 37) e usciti, per così dire, allo scoperto, la vostra attenzione sarà immediatamente rapita dal gioiello del luogo: l’insigne Basilica dei Fieschi. Il posto è tranquillo, senza auto. Vale la pena sostare, sedersi di fronte alla facciata di questa nobile chiesa e ammirare.
- La Basilica dei Fieschi. Guardando l’affresco nella lunetta del portale, si scorge fra le sante persone radunate sotto il Cristo papa Innocenzo IV colui che ebbe il vanto di erigere nel 1244 questo monumento alla gloria dei Fieschi. Mal gliene incolse perché Federico II, suo acerrimo avversario nelle lotte di potere fra Chiesa e Impero, glielo fece immediatamente distruggere. Tutto era iniziato per via di un tentativo di rapimento ai danni del papa (fallito) e della conseguente scomunica. Cosa attendersi allora da un principe ritenuto «superbissimo, soverchiatore, pagano, eretico, saracino, versipelle, epicureo» se non questo grazioso gesto di vendetta. Delle altre successive e reciproche ritorsioni non è bello riferire, così come del triste destino per la discendenza dell’imperatore (figli e nipote morti ancor giovani in modo tragico). La chiesa invece risorse, nel 1276, per opera di un altro papa di casa Fieschi, Adriano V.
Cogorno, Basilica dei Fieschi. L’edificio sembra nascere dalla nuda terra con i suoi blocchi di pietra grigia, farsi adulto quando si intercalano i corsi di marmo e scisto nero. Un grande occhio centrale e un bel portale modanato gli attribuiscono infine tutta la nobiltà che merita. L’interno è disegnato sulla sagoma esterna, con l’alta navata centrale e le due minori laterali. Giunti al transetto, invece della cupola, si erge una poderosa torre (l’avrete notata bene dall’esterno) che richiama certe abbazie della Borgogna e del Nord. Ma la piazzetta, col suo acciottolato policromo, si dispone come uno scenario fatto anche di altri personaggi: il palazzo comitale, che sembra rimasto tale dai tempi della devastazione saracena del 1567, e il vicino oratorio barocco.
É il momento di lasciare San Salvatore passando accanto al cimitero. Qui s’incontrano i primi cartelli metallici con l’indicazione “Sentieri del Sangiacomo”. Non sono frequenti, per cui è sempre bene tener d’occhio la cartina. Si lascia la strada e si sale su bei percorsi gradonati: sono le antiche vie dell’ardesia. Si traversano diverse strade secondarie e si trascurano le molte diramazioni verso gli orti. La pendice, piuttosto acclive, è sistemata a fasce, lunghi terrazzi dove allignano gli ulivi e qualche tralcio di vite.
- Le fasce. In questo paese di pietre, chiuso fra il mare e la montagna, l’invenzione delle fasce ha dell’ingegnoso. Sono ripiani sovrapposti e continui, di modo che la pendice del monte risulta alla fine tutta modellata a gradini. Li sostengono accurati muriccioli in pietra a secco o alte zolle erbose. Qui, in particolare, sono infinite lame di ardesia conficcate di taglio che danno corpo ai muri. Sulle fasce – termine molto appropriato poiché dà l’idea di un qualcosa che cinge e stringe la montagna – si è coltivato tutto il possibile: frutteto, fiori, vigna, orto, ulivo, ma anche castagne o semplice prato. Impossibile l’uso dell’aratro per lo spazio limitato, si è sempre ricorso alla rudimentale zappa. Con quanta fatica, potete immaginarlo.
A un tratto il sentiero sbocca su una strada privata, di fronte a un diruto arco in pietra: si piega a sinistra in salita, si lambisce Ca’ da Pria, e si continua, ora verso destra, per gradini fino a raggiungere la strada di Breccanecca (alt. 226). Seguendola per circa 300 metri si giunge all’abitato e a una trattoria, il nostro itinerario invece traversa la strada e rimonta subito la montagna.
Lungo la salita è doveroso soffermarsi sui mille impieghi dell’ardesia, o “schêuggiô dôçe”, pietra dolce, come si dice da queste parti: qua un muro o un selciato, là un limite di proprietà; più sotto un tetto e una scala, nel prato a fianco una vasca e piccole pietre bucate a far da mensole ai pali delle vigne. Non tutti gli usi sono propri, forse. I muretti avrebbero richiesto pietre più solide e squadrate, ma probabilmente l’abbondanza di ardesia, la facilità del trasporto e soprattutto l’imperativo di non sprecar nulla hanno spinto per queste soluzioni.
Alternando brevi tratti su asfalto e altri invece sul vecchio percorso gradonato si guadagna quota. La visuale s’allarga sulla foce dell’Entella, su Chiavari e Lavagna, sul golfo del Tigullio.
Occorre seguire la linea di massima pendenza evitando le diramazioni di mezzacosta. Infine il percorso si attesta sulla strada asfaltata che accede, dopo un lungo rettifilo, alla chiesuola di San Giacomo (alt. 547), culmine dell’itinerario, uno dei tanti piccoli luoghi di fede che punteggiano le montagne liguri.
Lasciata alle spalle la chiesa s’inizia a scendere, sempre lungo la strada asfaltata. Fatti pochi passi però, una rampa in discesa, verso destra, invita a raggiungere il percorso mulattiero più antico che si snoda parallelo ma immerso nel castagneto. Si tratta di un percorso recentemente recuperato. Sembra subito di grande bellezza. Imboccandolo infatti, ci si avvede che il piano del calpestìo è fatto di enormi placche di ardesia, della dimensione anche di alcuni metri quadrati. Giustapposte le une all’altre e intervallate da bassi gradini compongono un nastro continuo, talvolta rilevato sul terreno, altre volte contenuto da lastre messe di taglio. Si notano anche, semisepolti dalla vegetazione, gli accessi a vecchie cave di ardesia.
- L’estrazione dell’ardesia. Nelle cave più antiche, dove il lavoro si svolgeva in condizioni durissime con grave pregiudizio della salute (era altissimo il tasso di mortalità per silicosi), si praticava lo scavo ‘a tetto’. Il cavatore estraeva dallo strato di ardesia collocato sopra la sua testa, fessurando e approfondendo i contorni fino al momento in cui, con un lavoro di leve e cunei, un intero blocco non si staccava precipitando su un sottostante letto di detriti. Diviso in pezzi più piccoli, il tutto passava allo ‘spacchino’, il vero artefice del lavoro, colui cioè che con mazzuolo e scalpello procedeva allo sfogliamento in lastre sottilissime, di due in due fino a uno spessore di 4-5 millimetri ciascuna. Oggi, il sistema di estrazione è mutato e si è meccanizzato, ma talvolta per prodotti di qualità l’ardesia viene ancora sfaldata a mano.
L’area del Sangiacomo arrivò a contare, verso la metà dell’Ottocento, 160 cave attive con circa 400 cavatori e un numero pari di donne, impiegate per il trasporto a valle. All’inizio del Novecento l’attività estrattiva si spostò nella Val Fontanabuona dove sono tuttora situate le maggiori cave.
Breccanecca. La nostra bella mulattiera finisce sull’asfalto. Si piega a destra e si continua in discesa per lungo tratto, fin quasi alle porte di Breccanecca. Qui riprende il sentiero, aggirando una valletta fra tralci di vitalba e di edera, seguendo poi una costa in ripida discesa. Ancora diverse recenti strade tagliano il percorso, ma si raccomanda di seguire la traccia storica che alterna sentiero e viottoli gradonati. Infine si giunge al parcheggio che sta alle spalle della collina di San Salvatore (da qui una bella veduta della torre nolare della basilica). Piegando a sinistra si punta, lungo vie comunali, al centro moderno dell’abitato e alla fermata dell’autobus per il ritorno, ubicata di fronte alla filiale del Banco di Chiavari.