La Teoria del Tutto
Ovvero: perché mi sono innamorata di Eddie Redmayne
di Giada Gentili
"La Teoria del Tutto" è un film, anzitutto, sull'amore e visto che siamo in periodo di San Valentino mai argomento fu più in tema per il periodo. Eddie Redmayne e Felicity Jones hanno rivestito di dolcezza l'incredibile storia di Stephen Hawking, della sua malattia, del suo genio. Non entrate in sala colmi di cinismo alla Sheldon Cooper o con l'aspettativa di capire le particelle subatomiche, Anthony McCarten, lo sceneggiatore, ha scelto un punto di vista preciso da cui guardare la storia del fisico: la sua crescita interiore accanto alla moglie, Jane Wilde Hawking, la quale ha scritto l'autobiografia da cui è stato tratto il film. Redmayne dopo averci mostrato tutto il suo fascino inglese nella pubblicità per Burberry, ci ha dato prova del suo talento artistico davanti la macchina da presa, al di là delle limitazioni fisiche del suo personaggio, l'intensità dell'interpretazione (che gli è valsa una nomination agli Oscar 2015 come Miglior attore protagonista e un Golden Globe) emerge in ogni sguardo, sorriso accennato e fibra dei capelli.
Dopo qualche modesto ruolo in film mastodontici “Elizabeth: The Golden Age†o “Les miserables†l'attore britannico è riuscito ad imporsi nella Hollywood 2014/15, quella divisa tra l'entusiamo per sostanziosi blockbuster tipo “Interstellarâ€, “American Sniper†e piccole produzioni plaudite dall'Academy e dal pubblico come “Birdmanâ€, “Whiplashâ€. Lui è stato scelto e ha accettato il primo ruolo da protagonista che non gli ha permesso certo di giocare sui suoi punti di forza, non un lord con la mano destra nel taschino, o uno scrittore che fuma la pipa davanti al camino, ma un personaggio complesso da raccontare, tanto verbalmente quanto, sopratutto, visivamente. "La Teoria del Tutto" in definitiva non è solo un buon film, emotional alle lacrime, flat tanto nelle immagini quanto nello stile narrativo, è l'ascesa di Eddie Redmayne, che avrebbe potuto spiegare la fisica anche a Dannie Zuko.