Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Lia Franca
Diari di Cineclub n°43, X 2016
Di
Virgilio Zanolla
Se tra gli interpreti del nostro cinema c’è un’attrice ben poco conosciuta, a dispetto della ‘familiarità’ della sua presenza fisica (familiarità ottenuta con un solo film), non può sussistere dubbio: questa è Lia Franca. Su di lei le poche notizie raccolte finora sono quasi pari alle imprecisioni. Vediamo allora di fare finalmente un po’ di luce sulla sua vita, giacché il suo talento lo merita.
Nata a Trieste il 2 ottobre 1912 e battezzata in S. Antonio Nuovo, si chiamava Livia Caterina Petra Penso; Livia era un nome piuttosto popolare a Trieste: lo portava anche la moglie di Ettore Schmitz-Italo Svevo, Livia Veneziani; ma in più d’una scheda biografica che la riguarda Livia è registrata come Libia: se non si tratta di errore, si può credere che, siccome pochi giorni dopo la sua nascita il regno d’Italia concluse vittoriosamente il conflitto con la Turchia iniziato l’anno precedente, che aveva quale principale motivo del contendere il possesso della Libia, l’entusiasmo per tale esito abbia indotto i suoi genitori a un parziale ‘aggiustamento’del suo nome.
Appassionata del cinema fin da bambina, Livia seguiva con enorme interesse ogni notizia che lo riguardava. Restò dunque molto impressionata quando, nel 1926, apprese che il concorso indetto in Italia dalla Fox Film Corporation per trovare un attore e un’attrice in grado di rimpiazzare in popolarità l’appena scomparso Rodolfo Valentino era stato vinto dal milanese Alberto Rabagliati, futuro divo della canzone italiana negli anni Trenta e Quaranta, e dalla triestina diciassettenne Marcella Battellini. La loro affermazione favorì altri concorsi di bellezza a finalità cinematografiche, il più autorevole dei quali a livello locale fu, nella primavera del ’27, Miss Trieste: che dava a chi vinceva il privilegio di un contratto con la casa cinematografica americana Paramount e pagava il viaggio fino ad Hollywood.
Le selezioni, organizzate nel triestino Cinema del Corso, vennero riprese in un cortometraggio, Il trionfo di Venere, che nei giorni 20-23 maggio di quell’anno fu proiettato nella stessa sala triestina. Livia, pur se non ancora quindicenne, vi partecipò: e poiché era molto graziosa, si classificò al primo posto, ex æquo con Argelia Lazardi ed Ermy Metlica. Ma tale affermazione non recò alle tre ragazze alcun vantaggio professionale: infatti nessuna di loro venne posta sotto contratto dalla Paramount, né poté recarsi in America. Così Livia, con intraprendenza insospettabile in una quindicenne, l’anno dopo scappò di casa e si recò a Torino, dove ‘corteggiò’ il produttore ligure Stefano Pittaluga (proprietario e direttore della Società Anonima a lui intestata, nonché di oltre duecento sale cinematografiche, e allora il vero ‘deus ex machina’ del nostro cinema) per poter lavorare in qualche film; ma ricevutala, questi la giudicò ancora acerba.
Livia non rinunciò al suo sogno: e rientrata a Trieste, tanto fece che poco tempo dopo riuscì a trasferirsi a Roma, e qui nel 1930 uno stupefatto Pittaluga la ritrovò sul set del suo primo impegno d’attrice, il cortometraggio Arietta antica di Mario Almirant. A quella pellicola (ancora muta) seguirono nel 1931 i film, - tutti sonori - Corte d’Assise di Guido Brignone, con Elio Steiner, Marcella Albani, Giorgio Bianchi e Renzo Ricci; La stella del cinema di Mario Almirante, con Grazia del Rio, Elio Steiner, Marcella Albani, Armando Falconi e cinque giovani attrici di belle speranze: oltre a lei, Sandra Ravel, Leda Gloria, Dria Paola e Isa Pola; e Resurrectio di Alessandro Blasetti. Se nei primi due Livia, finalmente col nome d’arte di Lia Franca, ebbe solo particine, tanto che in certe schede dei film non risulta neppure nei cast, nel terzo, che era il secondo lungometraggio di Blasetti, ella venne finalmente promossa protagonista, accanto a Daniele Crespi; questo fu il primo film sonoro girato in Italia, che solo per questioni di programmazione uscì dopo La canzone dell’amore di Gennaro Righelli: pertanto, è stata lei la prima attrice del nostro cinema a ‘parlare’. Il suo ruolo, interpretato con molta sensibilità, era quello di una ragazza che, conosciuto il direttore d’orchestra Pietro Gadda (Crespi), il quale coltivava propositi suicidi per l’abbandono da parte dell’amante, lo segue e l’accompagna, sollevandone l’umore, fino ad essere invitata da lui al suo prossimo concerto.
Lia si può vedere e sentire, come se stessa, anche in un breve ‘corto’ della Cines girato nei propri stabilimenti e presente su You Tube. L’ottima prova sostenuta nel film blasettiano impose la giovanissima all’attenzione di Mario Camerini, l’altro grande regista dell’epoca dei ‘telefoni bianchi’. Questi nel 1932 preparava a Milano Gli uomini, che mascalzoni..., e puntò su di lei per il ruolo di Mariuccia Tadini, commessa di profumeria e figlia di un tassista. Il film, un gioiello, riscosse molto successo anche all’estero. Con una nuova e più moderna acconciatura e abbigliata in modo da fare risaltare la sua snella ed elegante silhouette, Lia offrì un’interpretazione memorabile, i cui consensi misurò già in agosto, quando presenziò alla prima edizione del Festival di Venezia. Impossibile scordare sequenze come la sua velocissima colazione prima di recarsi al lavoro, il suo sorriso sul tram quando Bruno (Vittorio De Sica), l’autista suo corteggiatore che segue il mezzo in bicicletta, viene innaffiato da una pompa idraulica… eccetera eccetera.
All’appena ventenne e ambiziosa attrice si schiudevano rosee prospettive. Invece, misteriosamente, tutto d’un tratto ella abbandonò il cinema. Sui motivi di quest’incredibile rinuncia nulla si sa. Una sua nipote, asseriva che Lia era rimasta scottata da una delusione d’amore, avuta proprio dal suo ultimo partner sul set, Vittorio De Sica. Conosciuto il produttore Giuseppe Sequi (molto più grande di lei), lo sposò a Roma, nella chiesa del Gesù, il 14 ottobre 1934, e da allora si dedicò all’agenzia del marito, che importava film dall’America facendoli doppiare e immettendoli nel circuito nazionale, e alla famiglia: ebbe una figlia, Anna Maria, poi nota imprenditrice. L’unione tuttavia non dové rivelarsi felice, perché nel dopoguerra Livia tornò a Trieste. Nei suoi ultimi anni, l’attrice tornò ad abitare nella Città Eterna, dove si spense a settantacinque anni il 23 luglio 1988.