Una riflessione oltre il quotidiano della guerra in Ucraina
Di fronte al terrore
di Amanzio Possenti
E’ vero che ci stiamo abituando al terrore?
L’ipotesi-domanda giornalistica avanzata in questi giorni di
doloroso e corale coinvolgimento negli orrori della guerra in Ucraina andrebbe - a mio giudizio – allargata
oltre i fatti terribili che mutilano l’umanità.
Se è incontestabile che il terrore ci agguanta e sta impedendo
la nostra capacità e sensibilità reattiva, tuttavia abituarci al suo impatto distruttivo, no, non credo proprio
sia condivisibile: se non sotto l’inevitabile (e comprensibile) profilo emotivo che va distinto da quello
esistenziale, capace di donarci forza inattesa e vigorosa nei momenti più bui.
L’abitudine al male, quale è appunto il terrore, è sfregio grave soprattutto per il cristiano che vive nella fede rivolta al Bene – a Cristo - e ne fa senso e fine della propria speranza. Certo, il male non solo c’è, è forte, guerriero instancabile e implacabile, senza freni, essenza di tentazione permanente, devastante, intimamente dannosa, ma...Come e cosa fare?
Per il credente il male non solo non prevarrà - è Cristo a darne conferma nel Vangelo - ma ad esso non
dovrà abituarsi così da subirlo come ineluttabile ed inevitabile; solo in questo caso infatti la sua presenza
potrà trasformarsi in abitudine dannosa.
L’amore e la misericordia divina – cui ricorrere quando
l’abitudine sembra mistificare la realtà e renderci acquiescenti - accompagnano la sconfitta del male, del
terrore dunque. La fede induce a combatterlo quale insidiosa presenza interiore che invita
all’abitudinarietà acritica anziché alla confidenza condivisa.